Martin Selmayr: l’Unione Europea è un progetto di pace
Christine Seuss - Città del Vaticano
Tedesco di Bonn, 54 anni il prossimo 5 dicembre, alle spalle diversi incarichi tra cui quello di segretario Generale della Commissione Europea, Martin Selmayr è il nuovo ambasciatore dell’Ue presso la Santa Sede. Ieri è stato ricevuto in udienza da Papa Francesco per la presentazione delle Lettere Credenziali e in un’intervista ai media vaticani il diplomatico parla della storia, dei valori e del ruolo che la compagine comunitaria riveste sullo scenario internazionale, in una fase altamente critica.
Papa Francesco chiede continuamente e instancabilmente la pace nel mondo. Ha appena citato soprattutto l’Unione Europea come esempio di pacificazione. In che misura l’Ue si vede in questo ruolo e come considera partner il Papa nella causa della pace?
Storicamente l’Unione Europea è ed è sempre stata un progetto di pace. L’Unione Europa significa il superamento di secoli di guerre tra Paesi europei, lavorando insieme attraverso i confini e risolvendo conflitti e divergenze in modo pacifico, mediante istituzioni e interessi comuni. È questa l’Unione Europea. E l’Unione Europea è un progetto straordinariamente positivo dei 27 Stati membri. Da quando sono diventati membri dell’Unione Europea non c’è mai stata una guerra. Quindi questo è un risultato conseguito dall’Unione Europea. Sono cresciuto sul confine tra Germania e Francia, dove si vedono ancora le tracce della seconda guerra mondiale nel suolo, nella natura – Verdun, per esempio.
E penso che oggi possiamo recarci dall’altra parte del confine senza nemmeno accorgerci che siamo dall’altro lato, se non perché forse a volte il cibo è più buono o il paesaggio più bello. Dunque è questa la forza dell’Unione Europea. E questa idea che è possibile superare le differenze, che è possibile superare conflitti centenari e odio lavorando insieme è il messaggio di speranza che dà l’Unione Europea. Non è straordinario che il progetto europeo, con la Dichiarazione di Schuman, sia nato appena cinque anni dopo la fine della seconda guerra mondiale? Quindi, cinque anni dopo che i tedeschi avevano ucciso cittadini francesi, la Francia è andata incontro alla Germania per mezzo del Piano Schuman, per unire le industrie di acciaio e carbone e per assicurare che non si sarebbero mai più fatte guerra. Se questo non è un messaggio di speranza nei tempi bui che stiamo vivendo… Alcune persone hanno perso la speranza, ma se si fa un confronto con ciò che è stato possibile all’epoca nell’Unione Europea, penso che possiamo cogliere quell’esempio e che ci dovrebbe far sperare che la diplomazia, il lavorare insieme, il cercare soluzioni comuni – perfino tra interlocutori in apparenza incompatibili – è possibile. Penso che valga la pena tentare e che non dovremmo mai stancarci di farlo.
E il fatto che Papa Francesco lo stia chiedendo senza mai stancarsi, come lei giustamente dice, è secondo me una buona ragione per unire gli sforzi e proseguire in questa direzione. Lui ha il suo ruolo. I politici e i diplomatici hanno il loro. Ma ritengo importante che ci ascoltiamo reciprocamente e che non ci stanchiamo di cercare soluzioni per la pace. La pace, però, deve essere una “pace giusta”. Penso che questo sia molto importante. Dobbiamo quindi fare attenzione a non cercare la pace a ogni costo, bensì cercare una pace che sia giusta e che non premi mai una guerra di aggressione. Penso che ciò sia molto importante quando parliamo di pace.
Secondo lei quali sono oggi i pericoli per la tanto invocata unità dell’Unione, ancora in via di sviluppo?
Dobbiamo lavorare ogni giorno sull’unità dell’Unione Europea perché abbiamo 27 Stati membri. Ma penso che coloro che parlano sempre di mancanza di unità ignorano la forte unità che esiste sul 96 percento di tutte le questioni. L’Unione Europea è stata spesso definita morta o moribonda dai profeti di sventura, ma in realtà l’Unione Europea c’è ed è unita ogni volta che conta.
Lo vedo qui a Roma, con le agenzie delle Nazioni Unite che hanno sede qui, dove le istituzioni dell’Unione Europea lavorano insieme per trovare soluzioni comuni, come ad esempio la sicurezza alimentare nell’ambito del Programma alimentare mondiale della FAO. Lo vedo anche nella nostra risposta alla guerra di aggressione della Russia. Molti hanno detto che non saremmo mai stati uniti e che avremmo dovuto rinnovare le misure restrittive ogni sei mesi e che non ce l’avremmo fatta. Stiamo riuscendo a farlo da diversi anni ormai.
Ritengo dunque che la nostra unità sia più forte di quanto la gente creda. I vantaggi di far parte dell’Unione Europea – di essere il team Europa che lavora insieme – sono molto più grandi rispetto al fare da soli. Alla fine lo capiscono anche gli scettici più convinti e, sebbene possano sollevare qualche dubbio, alla fine si uniscono al team Europa. È questo lo spirito con cui lavoriamo. L’unità non è ovvia, ma non ho rinunciato a sperarci. La vedo concretamente ogni giorno.
Un importante punto di confornto è l’accoglienza dei rifugiati nell’Unione. Dove vede il contributo del Papa in proposito?
Il Papa ha giustamente e costantemente ricordato all’Europa che siamo uno dei continenti più ricchi al mondo e che pertanto abbiamo il dovere morale e la responsabilità di prenderci cura e offrire rifugio a quanti fuggono da guerra, aggressione e terrore. Secondo me questo è importante, ed è la base della politica migratoria dell’Unione Europea.
D’altro canto, abbiamo anche 27 democrazie sotto pressione, e non è di nessuna utilità se queste democrazie s’indeboliscono mentre cercano di affrontare la sfida della migrazione. Quindi ritengo che dobbiamo unire le due cose: dare ai nostri cittadini la certezza che la loro vita, la loro sicurezza personale e la loro famiglia sono al sicuro, proseguendo al tempo stesso il lavoro umanitario svolto dall’Unione Europea. I diritti fondamentali dell’asilo devono rimanere al centro della politica dell’Unione Europea, cosa che però è molto più complicata di quanto possa sembrare. Chi dice che esistono soluzioni facili alla sfida costante della migrazione e dell’asilo non dice la verità. Servirà un duro lavoro quotidiano, ed è bene che il Santo Padre ci ricordi l’importanza dell’umanità e della solidarietà in questo. D’altra parte, è importante anche che restiamo realisti riguardo a ciò che le nostre società possono gestire e sulla necessità di fornire i mezzi per integrare quanti arrivano nel nostro continente, poiché deve essere questo l’altro lato della medaglia.
Secondo lei, dove si colloca attualmente l’Unione Europea sulla scena internazionale?
L’Unione Europea potrebbe sembrare vecchia – ha più di settant’anni – ma la sua politica estera e di sicurezza comune è relativamente giovane. Esistiamo nella nostra forma attuale – con ambasciate e un ministro degli esteri comune – solo da una quindicina d’anni, dal Trattato di Lisbona. Quindi, sotto molti aspetti siamo ancora agli inizi. E penso che dovremmo avere pazienza a riguardo.
L’Unione Europea sta appena iniziando a prendere decisioni congiunte nel campo della politica estera comune. E lo constatiamo ogni giorno: la politica estera è al centro della sovranità. Molti Stati membri provengono da esperienze storiche diverse, quindi unirli dopo appena 15 anni non è un compito facile. Per fare un paragone, nei primi 15 anni della politica agricola comune abbiamo avuto la “politica della sedia vuota” di Charles de Gaulle. È stato un tempo difficile.
Siamo ancora agli inizi della politica estera comune e stiamo facendo tante cose insieme, ma non tante quante potremmo fare. Per esempio, riguardo alla nostra posizione comune sull’escalation della crisi in Medio Oriente ogni Paese membro ha un’esperienza storica differente. Un tedesco o un austriaco vede questo conflitto in maniera totalmente diversa da un irlandese, uno spagnolo o uno sloveno. Ciò rispecchia le differenze nell’Unione, e penso che dobbiamo ascoltarci di più gli uni gli altri prima di assumere una posizione. Ogni Stato membro ha esperienze differenti con diverse parti del mondo e dobbiamo unire tali differenze.
Qualcuno giustamente definisce il lavoro dell’Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza uno dei più difficili al mondo. Sono molto felice che Joseph Borrell vi abbia dedicato un notevole sforzo negli ultimi cinque anni. Ora, il prossimo ministro degli esteri dell’Unione Europea sarà l’ex primo ministro dell’Estonia, Kaja Kallas. È una donna molto energica e impegnata che porterà una nuova prospettiva. Dobbiamo ascoltare le diverse prospettive degli altri e, sulla loro base, forgiare una politica comune. Ci vuole tempo e a volte ciò può essere frustrante, perfino per me visto che mi piacerebbe che le cose andassero più veloci. Ma poi ricordo a me stesso che stiamo ancora vivendo l’adolescenza in termini di politica estera. Ci vorrà tempo e abbiamo bisogno di pazienza.
In che misura l’Unione Europea adempie e mantiene il suo obiettivo di mettere le persone al centro, anche dal versante economico?
Il modello economico dell’Unione Europea è quello di un’economia di mercato sociale ed ecologica. Sì, l’economia di mercato è alla sua base, perché abbiamo bisogno di prosperità per adempiere ai nostri ruoli – che sia nel campo della sicurezza sociale o dell’aiuto umanitario. Ma questo sistema economico comporta anche responsabilità. Responsabilità per l’ambiente, il benessere sociale e i diritti umani.
Nel corso dei decenni, l’Unione Europea si è trasformata in un’economia di mercato responsabile. Abbiamo bisogno del commercio, ma lo uniamo alla sostenibilità e agli obiettivi che abbiamo approvato negli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Lo vedo ogni giorno nel nostro lavoro qui a Roma con le Nazioni Unite. L’Unione Europea promuove una prospera economia agricola, ma dobbiamo anche assicurare che sia buona per la nostra salute, sostenibile e che preservi l’ambiente. Tutte queste cose sono collegate, e solo se noi, come uno dei continenti più ricchi, saremo all’altezza di questa responsabilità, riusciremo a convincere altre parti del mondo a condividerla con noi.
Che impressione le ha fatto l'incontro con Papa Francesco?
Per qualsiasi diplomatico incontrare il Santo Padre è uno dei momenti più speciali che si possa sognare. Non stai semplicemente presentando le tue credenziali a un capo di Stato – sebbene il Santo Padre sia un capo di Stato -, ma anche grazie alla sua personalità e al clima creato da lui e dal suo staff è un momento molto personale per te, la tua famiglia e i tuoi colleghi.
La cosa che più mi ha colpito, e la ragione per cui non dimenticherò mai questo momento, è l’umanità, il calore e il tratto personale della cosa. Non si è trattato semplicemente dell’evento formale della consegna di una lettera; è stata un’esperienza davvero personale che mi sarà cara per il resto della vita.
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