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Ritiro sinodale, la meditazione di madre Angelini alle Lodi del 1° ottobre

Pubblichiamo il testo integrale della riflessione della religiosa benedettina alle Lodi che hanno aperto stamane la seconda giornata del ritiro spirituale dedicato a membri, delegati fraterni e invitati speciali alla seconda sessione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi

“A te il silenzio è lode”

Dolcezza e severità del cammino sinodale

Se ami la verità,

sii amante del silenzio

e Dio ti doni di sperimentare

ciò che dal silenzio è generato

 (Isacco il Siro)

Ci apriamo, insieme, al nuovo giorno: lodare Dio ne è fedelmente la soglia di luce. Il giorno ci condurrà - questa sera - alla liturgia penitenziale, compimento del ritiro. E per questo, ci lasciamo attraversare e riempire dalle parole del Salmo che abbiamo cantato; dal Vangelo che abbiamo ascoltato: un intreccio che genera fascio di luce sul cammino sinodale, pur e proprio nella dialettica tra eventi e Parola.

Vorrei rimanere su quel solo versetto, l’incipit del Sal 64  “A te il silenzio è lode”. Tibi silentium laus. Che significa? Forse che - con un tal dire - si toglie valore ai canti, o se ne svilisce il senso? O si viene come a depauperare di forza le intercessioni, le omelie, i commenti? E il dialogo sinodale che vuol essere “celebrazione”, vivente gloria di Dio, ne è sminuito di senso?

Tutt’altro. Penso che in questo versetto sta espresso il fondamento di ogni liturgia – rituale, e della vita -: alla radice di ogni preghiera, di ogni “opera per Dio” vibra il silenzioso Soffio di Dio. Si tratta di percepirlo. Questo soffio precede, e va oltre, la parola di “carne”. È quella Presenza che Elia (1 Re 19,12) percepì nella Voce di un ‘silenzio scavato’. E le sue parole lamentose si dissolsero come neve al sole. E ne nacque la nuova narrazione della storia. Altrimenti deludente, disperante. È il silenzio di Gesù dinanzi al tribunale umano. È il silenzio di Gesù che segue l’emissione dell’ultimo respiro: Gloria di Dio e annuncio di risurrezione.

«Chi ha compreso le parole del Signore, comprende il suo silenzio, perché il Signore lo si conosce nel suo silenzio» (Ignazio di Antiochia agli Efesini, XV,2).

E chi si lascia cogliere da stupore dinanzi all’incavo del silenzio di Dio, pienamente rivelato in Gesù, comprende come il silenzio è la dimensione costitutiva della parola umana vera, che come tale canta la lode dell’Altissimo. Ogni parola umana è preceduta – nella sua verità sempre parziale – ed è sostenuta, ed è oltrepassata, dal silenzio che loda Dio. Potente, esplicativa, è la cascata subito successiva dei “Tu” rivolti a Dio, che articola il silenzio solennemente indetto in apertura.  Il silenzio-lode non è il vuoto pneumatico, ma è la meraviglia dinanzi al venire di Dio tra i suoi.

 “A te ascoltatore di suppliche”

A te viene ogni carne” (v. 3).

“Parole di colpe gravano su d noi; i nostri peccati: tu li perdoni”.

Pare importante, oggi, sostare su questo versetto del salmo, per prepararsi ai laboratori di dialogo, ai tavoli di confronto; ma ancor prima, per disporci alla celebrazione penitenziale. Lasciarci riempire da questo silenzio. In principio dunque, e al fondo, sta il silenzio come altissima lode. Là dove non si può altro che ammirare l’opera di Dio: “Per te il silenzio è lode!”. Questo ci posiziona nella celebrazione penitenziale. E ci spinge anche a valutare anche tutto il peso delle pause di silenzio introdotte nel dialoghi sinodali. Non sono un diversivo: è di valore sostanziale che gli scambi di volta in volta affondino nel silenzio che precede e segue. Ascolto stupito del mai udito.

Tutto, ogni zolla di umano, è accuratamente coltivato da Dio, che nel salmo è visto presente – oltre che nella storia inquieta dell’uomo - nel creato, quale “grande agricoltore”. Scaturisce così la lode del silenzio cosmico, e dentro di noi la gioia che sconfigge le tenebre. “Tutto canta e grida di gioia” (64, 14).

***

“A te il silenzio è lode”. Conosciamo noi quel silenzio generativo, che precede la parola, che la custodisce, che incessantemente la genera? A quali condizioni il silenzio è lode? Tanti silenzi ipocriti – estranei - si annidano nelle nostre parole... Il salmo 64 sembra essere stato scritto per dare voce al nostro intimo che sente il peso del male che è nel mondo, dei peccati, e anela alla liberazione. Per dare voce al nostro cuore spesso sclerotizzato dalle ansie e dalle frustrazioni che ne rallentano il battito, ma che aspira a una pienezza di vita e a una saldezza che non tema più tempeste e tumulti. E il cuore ritrova respiro nel sintonizzarsi con quel silenzio nel quale in principio si udì la Parola (Gn 1,1).

Il silenzio è forse l’elemento più difficile da vivere nella nostra vita, anche nel cammino sinodale. Per questo, le nostre parole sono così poco comunicanti. Immersi nel caos, o nell’enfasi dei nostri concetti, non abbiamo il tempo di sfiorarlo e spesso neppure la voglia, perché ci fa paura. Quando si tace, infatti, non è subito silenzio: si è sommersi da un vortice di pensieri - dagli strascichi di un passato spesso non elaborato in memoria del cuore; dalla noia di un presente che incombe – impellente o amorfo, fermo -, e dall’angoscia di un futuro incerto e senza senso. Non è questo il silenzio che loda Dio e che è la radice di ogni dialogo costruttivo, di ogni cammino sinodale.

Lo è invece il silenzio prezioso di chi sa togliersi dal palcoscenico, e vive una sorta di solitudine feconda e aperta all’alterità, nell’ascolto della parola di Dio, del grido dei poveri e dei gemiti della creazione. Silenzio è lotta contro la banalità, è ricerca di verità, è accoglienza del mistero che si nasconde in ogni persona e in ciascun essere vivente. Non spiega la sofferenza ma la attraversa. Il silenzio può farci ritrovare il vero e autentico ritmo del dialogo sinodale.

***

Ebbene, proprio questo silenzio viene oggi evocato nel Vangelo: l’inizio del “grande viaggio”. Un Vangelo intriso di silenzio, con quel volto di Gesù che - orientandosi al Golgota – nella ferma decisione si fa saldo come pietra. La liturgia che questa sera celebreremo a conclusione del ritiro, trae senso e respiro dalla luce silenziosa di quel Volto. L’arte “sinodale” di Gesù offerta all’assemblea sinodale: per camminare, oltre a imparare lo sguardo che scopre le nuove misure del mondo – la silenziosa narrazione -, è necessario anche apprendere l’arte di relazioni gratuite, senza presa per il Divisore.

Il gruppo dei discepoli è per nascita “itinerante”. Ma qual è il passo? Il volto “indurito” di Gesù non trova risonanza coerente nell’irruenza di Giovanni: il discepolo amato, il figlio del tuono deve lasciarsi trasformare. Eppure proprio lui aveva da poco assistito ricevuto il dono grande di presenziare alla trasfigurazione ove si conversava dell’esodo di Gesù; aveva già per due volte ricevuto l’annuncio della passione del Maestro e Signore. Ma è sistematicamente scivolato via, sovrastato dal rumore interiore di pensieri di supremazia.

E ora quel volto unico, amato, scrutato con desiderio – quel volto a cui come angeli sono mandati innanzi -, è dai discepoli stessi frainteso: diventa causa d’inciampo. «Voi non sapete di che spirito siete. Poiché il Figlio dell'uomo non è venuto a perdere le anime degli uomini, ma a salvarle». Questa specifica parola instaura un processo di discernimento anche per l’Assemblea Sinodale, a cammino già inoltrato, come per i discepoli.

Questo tratto, oggi, ci riguarda da vicino. Penso riguardi questa Assemblea sinodale incastonata in una svolta epocale della storia e della chiesa, di cui confusamente intuiamo i contorni, ma non li vediamo distintamente. Gesù non si arrende all’incomprensione dei discepoli, pazientemente, amorevolmente li spinge avanti. E un silenzio di conversione va preparando in loro l’irruzione della novità pasquale nella sequela.

Ed è a partire da questo primo inciampo – il rifiuto in Samaria - che Gesù intraprende, e capisce, e gli si configura in cuore con evidenza decisiva, dura, la via verso Gerusalemme. Così è lo stile del Vangelo: camminando si apre cammino, attraverso ostacoli. Così, forse, sarà il cammino sinodale. Ogni Samaria è il luogo dei sorprendenti incontri.

Quel Volto umanissimo e divino, scavato nella pietra, è rivelante. “Si voltò e li rimproverò”: luce sulla celebrazione penitenziale. Liberare lo sguardo da ogni impazienza e attivismo imprenditoriale, da pretese, da risentimento e lamento. Da parole “molte”. Per ospitare la passione di desiderio che silenziosamente attira verso il compimento della volontà del Padre. Fino alla kenosis del Getsemani e del cenacolo: “Questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto mi ha dato”. Lo sguardo fisso su Gesù, volto umano di Dio. Senza vie di fuga, senza uscite di sicurezza. Sguardo che, illuminato dal Mite e Umile di cuore, ridà contorni alla visione sugli altri, sulla storia, sul mondo. Lo sguardo su Gesù apre fondata speranza. Questo ci fa cantare il salmo – “Per te il silenzio è lode”: splendida lode.

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01 ottobre 2024, 09:40