Sinodo dei vescovi Sinodo dei vescovi

Ritiro sinodale, le meditazioni di padre Radcliffe per il 1° ottobre

Pubblichiamo il testo integrale delle due meditazioni del padre domenicano tenute stamane, nella seconda giornata del ritiro spirituale dedicato a membri, delegati fraterni e invitati speciali alla seconda sessione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi

Pesca della Resurrezione

Giovanni 21:1-14

“Quella notte non presero nulla”. Ogni apparizione del Risorto inizia nell'oscurità. Per Maria Maddalena si trattava dell’oscurità nel non sapere che il Signore era risorto. Egli però è lì ad aspettarla. Per i discepoli nella stanza chiusa, si trattava dell'oscurità della loro paura. Cristo è risorto la domenica di Pasqua, vincendo la notte, e tuttavia ogni volta ci ritroviamo nell'oscurità. L'oscurità della guerra, la crisi degli abusi sessuali e via dicendo.

Qual è la notte che avvolge questi discepoli che sono andati a pescare? Siamo tornati nel mondo ordinario. Pietro dice: “Vado a pescare”. Sono tornati alla vecchia routine. È quasi come se non fosse successo niente a Gerusalemme. Le loro reti sono vuote. Essi sono vuoti. Lo straniero chiede se hanno qualcosa da mangiare da mangiare. Rispondono tutti insieme No. In greco ou. La parola è vuota quanto loro. Ou! I pescatori di esseri umani non riescono a catturare nemmeno il più piccolo dei pesciolini.

Tutti abbiamo conosciuto quei momenti in cui sembra che non riusciamo a ottenere nulla. L'entusiasmo iniziale è svanito. Mentre iniziamo la seconda Assemblea sinodale, scommetto che alcuni di noi la pensano così. Coloro che avevano iniziato con entusiasmo e trepidazione potrebbero chiedersi se stiamo andando da qualche parte. Alcuni di noi non ci hanno mai creduto comunque. Ou! La domanda più comune che ho ricevuto sul Sinodo in questi ultimi undici mesi è stata scettica: è stato ottenuto qualcosa? Non è tutto uno spreco di tempo e denaro?

Lo straniero, tuttavia, è lì sulla spiaggia prima ancora che possano vederlo. Dio è sempre lì per primo, prima ancora che ce ne accorgiamo. Nel Prologo della Regola di San Benedetto Dio dice: “rivolgerò i miei occhi verso di voi e le mie orecchie ascolteranno le vostre preghiere, anzi, prima ancora che mi invochiate vi dirò: “Ecco sono qui[1]!”. Dio attende, prima ancora che noi preghiamo.

Perché non lo riconoscono? Potreste pensare che questa sia una di quelle domande oscure su cui gli studiosi amano scrivere articoli incomprensibili, ma è profondamente rilevante per noi in questo Sinodo. Come possiamo riconoscere che oggi è con noi il Signore che però non abbiamo visto?

La questione non è che sembri diverso. No, è perché non lo avevano mai visto prima. Herbert McCabe OP lo spiega bene: “Le persone non riconoscono Gesù solo come l’uomo che sanno essere stato ucciso. Lo riconoscono come l’uomo che in un certo senso conoscevano e che pensavano di conoscere, ma che non conoscono fino ad adesso[2]“. Egli è il mistero dell'Amore Incarnato e solo ora iniziano a intravedere l'altezza e la profondità dell'amore che supera ogni comprensione. È il discepolo amato che dice: “È il Signore” perché ha occhi che amano. I primi teologi spesso si chiedevano perché Gesù non fosse apparso ai suoi nemici, come Ponzio Pilato. Avrebbe potuto saltare su e giù davanti a Pilato e ancora Pilato non lo avrebbe visto.

Amore “è una parola in crescita, il cui significato cambia e si sviluppa”[3]. Da bambini pensiamo che l'amore di nostra madre consista nel darci cibo quando lo chiediamo e ne non lasciarci mai soli. Crescendo, arriviamo a capire che a volte l'amore richiede di essere assenti o di rifiutarsi di darti ciò che vuoi, come, ad esempio, un iPhone.

Nel 2012 un domenicano francese di nome Jean-Joseph Lataste è stato beatificato. O come ha detto la BBC, ‘bellificato’! La sua vita è stata sconvolta quando nel 1864 ha visitato una prigione per donne. La maggior parte di loro erano prostitute o avevano commesso infanticidio. Le ha guardate e ha detto: “sorelle mie”. Ha fondato una congregazione di suore che potevano vivere insieme ad altre donne. Molti pii borghesi erano disgustati. Non avevano ancora imparato a vedere l’amore in azione. Non avevano riconosciuto lo straniero sulla spiaggia.

Gli studiosi della Bibbia trascorrono ore in silenzio nelle biblioteche a studiare oscure lingue morte. Questo sembra per alcuni una perdita di tempo, anche questo è un atto d'amore. Non ci riuniamo in sinodo per negoziare compromessi o criticare gli oppositori. Siamo qui per imparare gli uni dagli altri qual è il significato di questa strana parola “amore”. Ognuno di noi è un discepolo amato che ha il dono particolare di vedere lo straniero sulla spiaggia e di dire: “È il Signore”.

Il punto di svolta è quando obbediscono alla voce del Signore e gettano la rete dall'altra parte. Sembra inutile. Sono loro che se ne intendono di pesca. Perché obbedire a quest'uomo che non sa nulla di pesca? Siamo venuti a questo Sinodo in obbedienza. Per molti sembra inutile. Abbiamo lavorato giorni e notti e forse dubitiamo che si ottenga qualcosa. Ma la Chiesa dice vieni, e noi siamo venuti. Abbiamo gettato la rete dall'altra parte della barca sebbene alcuni di noi pensino che non si sarà alcuna pesca. . Questa obbedienza porterà frutto in modi che noi non immaginiamo.

Eccoci giunti alla crux interpretationis: 153 grossi pesci. Potrei annoiarvi per ore con tutte le meravigliose, e spesso assurde, spiegazioni di questo numero. Perché 153? Alcuni dicono che devono essere stati 153. Ma immaginate di contarli mentre guizzano ovunque. Altri si riferiscono alle 153 chiese che potrebbero essere esistite all'epoca. Altri ancora alle 153 nazioni che erano allora conosciute. Significa chiaramente abbondanza. L'abbondante provvidenza di Dio è all'opera. San John Henry Newman descrisse la provvidenza come “l'opera silenziosa di Dio”. L'Instrumentum Laboris si apre con una citazione di Isaia: “Su questo monte, il Signore dell'universo preparerà per tutti i popoli un banchetto di cibi succulenti, un banchetto di vini ben invecchiati, di cibi succulenti pieni di midollo, di vini ben invecchiati limpidi e filtrati” (25.6).

Il regno irrompe nelle nostre vite con convivialità, eccesso, come tutto quel vino a Cana. San Domenico tornò al monastero delle suore a Roma a tarda notte dopo una missione di predicazione. Svegliò le suore per poter raccontare loro della sua predicazione. Chiese del vino. Restava soltanto una piccola bottiglia. Le suore portarono una coppa che fecero passare dicendo alle consorelle: “bevete, Bibite satis, bevete a sufficienza”. E la coppa non finì mai.

Dobbiamo avere il coraggio di confidare nel fatto che la Divina Provvidenza benedirà questo sinodo abbondantemente, ‘una buona misura, pigiata, scossa insieme, traboccante, vi sarà versata nel grembo’ (Luca 6.38). Non siamo qui per un pasto magro, ma per la haute cuisine del Regno, se lo desideriamo abbastanza.

Pietro si trasforma all'istante. All'inizio di questa scena, è vuoto. È ritornato alla sua vecchia vita, come se non fosse successo niente. Ora si alza e indossa i suoi vestiti prima di tuffarsi in mare. Di solito ci togliamo i vestiti quando andiamo a nuotare, ma questo è un segno della sua dignità ripristinata, proprio come il padre veste il figliol prodigo quando arriva a casa. Nonostante la vergogna che prova per aver rinnegato il Signore, nuota verso il suo amico. Io mi sarei vergognato e avrei nuotato nella direzione opposta. Gli altri discepoli si sforzano per tirare a riva il pescato. Pietro lo fa da solo. Qual è il segreto di Pietro? Qualunque cosa abbia fatto, torna al Signore più e più volte. Il suo amore è più forte della sua vergogna.

Gesù disse: “Quando sarò elevato, attirerò tutti a me” (Gv 12,32). Ora vediamo Pietro che attira - è la stessa parola in greco - la rete piena di pesci grassi verso di sé e la rete non si rompe. Questo non è dovuto alla sua forza, ma alla sua cooperazione con l'attrazione del Signore, la forza magnetica del Signore Risorto. È l'attrattiva del Signore che tira a riva la rete intatta. Il ministero petrino dell'unità non sta sorvegliando i figli ribelli di Dio. Sta rivelando l'attrattività del Signore, che ci attira insieme.

Quando sono arrivato al Sinodo l'anno scorso, pensavo che la grande sfida fosse superare la velenosa opposizione tra tradizionalisti e progressisti. Come possiamo guarire quella polarizzazione che è così estranea al cattolicesimo? Ma mentre ascoltavo, sembrava esserci una sfida ancora più fondamentale: come può la Chiesa abbracciare tutte le diverse culture del nostro mondo? Come possiamo tirare su la rete con i suoi pesci da ogni cultura del mondo? Come può la rete non rompersi?

Quando il Muro di Berlino cadde nel 1989, si considerò finita la Guerra Fredda. Francis Fukuyama pubblicò The End of History and the Last Man[4] sostenendo che eravamo entrati in una nuova era, il trionfo della democrazia liberale occidentale. Ogni nazione sembrava destinata a “evolversi” nel nostro stile di vita occidentale. Alcuni paesi, soprattutto nel Sud del mondo, dovevano solo recuperare. Questa fu un'illusione da cui l'Occidente si sta lentamente svegliando. Viviamo piuttosto in un mondo multipolare in cui diverse persone del Sud del mondo vedono l'Occidente come decadente e condannato. Viviamo in un mondo post-occidentale[5] . Parecchi occidentali non se ne rendono ancora conto.

Attendiamo una nuova Pentecoste in cui ogni cultura parli nella propria lingua nativa e sia compresa. Questo è anche il nostro compito durante il Sinodo e il fondamento della nostra missione nel nostro mondo lacerato e diviso. Chiediamo preghiere di Maria, che scioglie i nodi, e di Pietro, che ripara le reti!

Innanzitutto, riconosciamo che abbiamo bisogno gli uni degli altri se vogliamo essere cattolici. Le diverse culture riunite in questa Assemblea si offrono reciprocamente guarigione, mettono alla prova i rispettivi pregiudizi e si invitano a vicenda a una più profonda comprensione dell'amore. Ogni cultura ha un modo di vedere lo Straniero sulla spiaggia e dire “È il Signore”.

Papa Benedetto, ad esempio, ha riconosciuto che l'Occidente soffre di “una forma di malattia dello spirito[6] “, da quella che San Giovanni Paolo II ha chiamato “una cultura della morte”. O fuggiamo dalla morte e fingiamo che non accadrà mai o cerchiamo di dominarla con la morte assistita. Come Pietro, noi occidentali abbiamo bisogno di aiuto per vedere, sulla riva, il Signore Risorto sulla riva che ha trionfato sulla morte. Abbiamo bisogno di aiuto per vivere con la nostra mortalità nella speranza.

Uo stimato confratello domenicano francese morì durante un Capitolo Generale a Bogotà. Al suo funerale, i fratelli dell'Occidente erano sopraffatti dal dolore. Un giovanefrate colombiano ha reagito così: “Questo non è il momento della morte. Questo è il momento della fede [7]“. Durante questo Sinodo il nostro fratello, Padre Orobator SJ ha ringraziato per essere stato cresciuto da genitori che praticavano la religione tradizionale africana, con il suo profondo senso del dono della vita. Ha scritto: “al centro dell'intero sistema religioso in tutta l'Africa c'è una profonda fede nella vitalità della creazione[8]“. Non sai cosa significa vivere se ti nascondi dalla morte. Abbiamo molto da imparare dai nostri fratelli e sorelle in altre parti del mondo, i cui occhi sono aperti alla morte e quindi capiscono di più cosa significa essere vivi.

Forse la nostra sfida più grande è abbracciare ciò che Papa Benedetto ha chiamato “interculturalità”. Questo non è il momento per un'esplorazione teorica di cosa significhi. Immaginiamo invece una rete. Una rete è composta da buchi vuoti collegati tra loro da corde. Spazi e legami. Senza entrambi, non ci sarebbe una rete per tirare su i pesci.

Quando le culture si incontrano, dovrebbe rimanere uno spazio tra di loro. Nessuna delle due dovrebbe divorare l'altra, come sta accadendo con la globalizzazione del consumismo. Dovremmo onorare la differenza culturale. Ricordate quella meravigliosa parola tedesca, Zwischenraum, “la stanza tra”. Questo è lo spazio fertile tra le culture quando ciascuna conserva la propria identità ma è aperta all'altra. Tommaso d'Aquino disse che quando c'è amore, i due diventano uno, ma rimangono distinti[9].

Nessuna cultura potrebbe mai unirci: né il latino, né il tomismo! La rete è intatta perché ogni cultura è aperta a modo suo alla verità. Il cardinale Ratzinger spiegò in un discorso tenuto a Hong Kong nel 1992 che “l'apertura fondamentale di ogni persona all'altra può essere spiegata solo dal fatto nascosto che le nostre anime sono state toccate dalla verità; e questo spiega l'accordo essenziale che esiste anche tra le culture più lontane tra loro... Nessuno coglie il tutto; le innumerevoli intuizioni formano e costruiscono una specie di mosaico che mostra la loro complementarità e interrelazione. Per essere completi, tutti hanno bisogno l'uno dell'altro. Gli esseri umani si avvicinano all'unità e alla completezza del nostro essere solo nella reciprocità di tutte le grandi conquiste culturali[10]“.

Siamo legati insieme dalla nostra fede condivisa, il Credo, che trascende ogni cultura. Ma come si può tradurre homoousios in swahili, hindi o giapponese? Sicuramente la rete deve essere tenuta insieme dalla reciproca gioia, dall’amicizia, dalla gioia condivisa e persino dalle risate. Uno degli esempi più affascinanti di questa interculturalità è stata la missione dei gesuiti in Cina nel XVI secolo. Questo incontro tra Occidente e Oriente è sbocciato dentro ad un percorso di amicizia che si arricchiva dall’una e dall’altra parte. Il primo libro di Matteo Ricci si intitolava De amicizia. L'amicizia ha tessuto la rete.

Piuttosto che parlare di questi ammirevoli gesuiti, darò un'occhiata a due esempi di cui ho avuto esperienza nel mio Ordine, solo per aiutarci a immaginare il nostro compito nel Sinodo. Uno dei miei posti preferiti è una fattoria in Benin, fondata dal nostro fratello Godfrey Nzamujo. Si chiama Songhai, dal nome del grande impero africano che fiorì nella regione cinquecento anni fa. Nzamjo imparò a coltivare a casa in Africa e studiò anche scienze occidentali in California. Songhai è il frutto dell'agricoltura africana e occidentale. La fattoria iniziò con un ettaro di terra incolta che nessuno voleva, e ora copre 24 ettari e istruisce giovani agricoltori da tutta l'Africa, anzi dal mondo.

In questo posto non si spreca nulla. Le mosche ingrassano con gli avanzi del ristorante e poi vengono date in pasto ai pesci. Nzamujo chiama Songhai lo Sheraton Hotel delle mosche. Tutti gli animali e le piante prosperano in reciproca dipendenza. A Songahi persino le zanzare hanno il loro ruolo da svolgere nell'equilibrio della vita, anche se non sono una delle migliori idee di Dio!

L'Eucaristia, in questo posto, è vista all'interno di un'ecologia di gratitudine, Una volta Nzamujo,disse: “La messa è la combinazione dei doni del sole, dell'acqua e del suolo. Il vino è il dolore e l'angoscia che derivano dall'uva che deve essere pigiata, ma diventa un simbolo di amicizia”. Songhai irradia speranza. Ha anche detto, “C'è un tempo per nascere e un tempo per morire, perché questa è la natura. L'Africa può sembrare dalla parte perdente, ma, onestamente, da quello che sento e vedo, domani è il tempo africano”.

Questo è ciò che accade quando le culture si incontrano in amicizia e generano speranza. Lo spazio tra noi è colmato da reciproca gioia e persino da risate. Nzamujo sostiene che i suoi maiali simboleggiano sia il progetto, che la nostra amicizia, poiché sono il risultato dell'incrocio tra grandi maiali bianchi dello Yorkshire, come me, e piccoli maiali neri africani, come lui. La differenza è fertile

Un altro breve esempio: un domenicano giapponese, Shigeto Oshida, si descrisse come un buddista che incontrò Gesù. Fondò un ashram vicino al monte Fuji dove cristiani e buddisti vivevano insieme in armonia. Detestava la tendenza dell'Occidente a sviscerare la realtà con nozioni astratte. Chiamò questo la “terza zampa del pollo”, che non era né la zampa destra né la zampa, ma una zampa astratta e inesistente. Disse: “Noi giapponesi sappiamo nel nostro sangue cos'è la religione. La Chiesa cattolica non è una scatola di cioccolatini o un'azienda[11]“.

Quando Oshida teneva ritiri, specialmente per vescovi abituati alla vita sedentaria, gli piaceva mandarli a piantare riso nelle risaie, indifferente alle loro proteste per il mal di schiena. Scrisse: “Un contadino che lavora sodo dall'alba al tramonto sa che un chicco di riso non è un suo prodotto, una cosa fatta con le sue forze, ma qualcosa che gli è stato dato da Dio. Deve offrire il chicco di riso a Dio che è nascosto ma che dà tutto. Deve dire “Questo è tuo[12]“.

Oshida era profondamente critico nei confronti della cultura occidentale, ma, come Nzamujo, superava le divisioni culturali con risate e gioia. Gli piaceva scherzare dicendo che Dio lo aveva ingannato facendolo diventare cristiano e poi domenicano perché aveva incontrato cristiani e poi domenicani meravigliosi e pensava che a tutti piacesse così. Rideva dicendo “Mi sbagliavo! Dio mi ha imbrogliato”.

Così la rete di Pietro è piena di spazio e tenuta insieme dalla verità, dalla gioia e dalla delizia. È tirata a riva non dal potere giuridico, ma dall’attrattiva del Signore che, quando è innalzato, attira tutti a sé. La bellezza tira la rete a riva. Pensate a Matatoshi Asari, un cattolico giapponese di Nagasaki, che ha inviato ciliegi, simboli di riconciliazione, a tutte le nazioni che erano state danneggiate dalla seconda guerra mondiale.

Così la rete di Pietro è piena di spazio e tenuta insieme dalla verità,dall’incanto e dalla gioia. È tirata a riva non dal potere giuridico, ma dall’attrattiva del Signore che, quando è innalzato, attira tutti a sé. La bellezza tira la rete a riva. Pensate a Matatoshi Asari, un cattolico giapponese di Nagasaki, che ha inviato ciliegi, simboli di riconciliazione, a tutte le nazioni che erano state danneggiate dalla seconda guerra mondiale[13].

Che Dio benedica questo sinodo con incontri culturali così amorevoli, in cui i due diventano uno ma rimangono distinti. Nessuna cultura può dominare. Dobbiamo però essere acutamente consapevoli di come lo squilibrio di potere sia in gioco nelle nostre conversazioni. L'incontro di culture non è mai innocente o meramente cerebrale. Il colonialismo struttura ancora il nostro mondo. Robator ha condiviso un proverbio africano: “Finché il leone non impara a scrivere e parlare, la caccia glorificherà sempre il cacciatore[14]“. Il leone ora parla ma l'Occidente non ascolta.

Una canzone della mia giovinezza recita: “Il denaro fa girare il mondo”. Possiamo vivere in un mondo post-occidentale, ma il sistema bancario è ancora controllato dall'Occidente. L'imperialismo non è finito e cerca ancora di imporre i suoi valori agli altri. Ma lo straniero sulla spiaggia non era un membro dell'élite benestante. Fu crocifisso dal più grande potere imperiale del suo tempo, una morte riservata agli schiavi, intesa a umiliare. Ascoltiamo perciò con acuta attenzione coloro che sono crocifissi oggi dai poteri imperiali del nostro tempo. Ascoltiamoci con umiltà gli uni gli altri. È un umile Simon Pietro quello che incontreremo questo pomeriggio.

[1] Regola di s. Benedetto, Prologo.

[2] God, Chrsti and Us, p. 94.

[3] Herbert McCabe OP, Law, Love and Language, p. 18.

[4] F. Fukuyama, The End of History and the Last Man, Penguin, London, 1989.

[5] Oliver Stuenkel, Post-Western World: How Emerging Powers Are Remaking Global Order, POlity, 2016.

[6] Omelia all’apertura della Seconda Assemblea per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, 4 Ottobre, 2009.

[7] L’episodio mi è stato riportato da Fr. Bruno Cadoret, OP, Maestro attuale dell’Ordine.

[8] Agbonkhianmeghe E.Religion and Faith in Africa: Confession of an animist, Orbis, New York, 2018, p. 16.

[9] ST II II 17.3.

[10] Cristo, la fede e la sfida delle culture, Incontro con le commissioni dottrinali in Asia, Hong Kong, 3 marzo, 1993.

[11] P. 135.

[12] A cura di Claudia Mattiello, Takemori: Teachings of Shigeto Oshida, a Zen Master, Buenos Aires, 2007.

[13] Naoko Abe, The Martyr and the Red Kimono, Chatto and Windus, London, 2024.

[14] P. XVII.

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Resurrezione 2

Colazione

Giovanni 21,15-25

Adesso finalmente, per la prima volta dal rinnegamento. Gesù e Simon Pietro parlano insieme. Non è chiaro se si trattasse del pesce grigliato o di Pietro! Gesù chiede a Pietro: "Mi ami?" Non c'è una parola sul suo rinnegamento. Ciò che conta è ora, oggi. Ɫukasz Popko OP ha scritto: "Notare che Gesù non ha chiesto del passato. Non ha chiesto una spiegazione o una scusa. In secondo luogo, non ha chiesto del futuro: Mi amerai? Non ha chiesto una promessa: Prometti che mi amerai. Ha chiesto del presente! Così spesso evitiamo la domanda sull'amore e la risposta corrispondente perché siamo bloccati nei fallimenti del passato o nelle fantasie del futuro[1]".

L'Ufficio divino inizia ogni giorno con la supplica di Dio a noi: "Oh, se oggi ascoltassi la mia voce". Oggi è l'unico giorno che esiste, il presente di Dio è il presente. Oggi, durante questo Sinodo, dobbiamo ascoltare il Signore e dobbiamo ascoltarci gli uni gli altri. Non possiamo rimandare. Se lo faremo, oggi sarà un nuovo inizio. Poco prima di morire, il cardinale Martini sorprese il suo amico Damiano Modena quando improvvisamente disse: "Il cristianesimo è solo all'inizio". "Il cristianesimo è solo all'inizio".

Perché rimandiamo? Lo scetticismo e l'inerzia ci trattengono. I miei fratelli irlandesi scherzano dicendo che la lingua irlandese ha 32 parole per domani, ma nessuna di esse ha lo stesso senso di urgenza di "mañana"! Quando Pietro vide il Signore sulla spiaggia, non esitò a gettarsi in acqua e a nuotare verso la terra. Carpe Diem.

La conversazione a colazione è forse la più sottile e delicata della Bibbia. La vergogna del rinnegamento di Pietro è nell'aria, ma nulla viene detto esplicitamente. Con gentilezza e forse anche con un sorriso, Gesù apre lo spazio a Pietro per ritrattare tre volte il suo triplice rinnegamento. Stuzzichiamo le persone con la follia di ciò che hanno detto o fatto? O apriamo loro delicatamente uno spazio per andare avanti?

"Mi ami più di questi altri?" In Matteo e Marco, che sicuramente Giovanni conosceva, Pietro aveva affermato esattamente questo nella sua notte di vergogna. "Anche se tutti si scandalizzeranno, io no" (Marco 14,20). Ti amo da morire! E ora lo fa di nuovo! C'è molto dibattito sui significati delle diverse parole per amore qui, agape e philia. Sono convinto che Pietro affermi che non solo ama Gesù, ma lo ama con il migliore di tutti gli amori, philia, amicizia. "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici"(Giovanni 15,13). Questo è esattamente ciò che non era riuscito a fare. Anthony Giambrone OP, dell'Ecole Biblique, traduce le tre risposte di Pietro in questo modo[2]:

"Sì, Signore, ti amo più di loro e più di quanto io ami gli altri. Tu sei di più; tu sei mio amico”. “Phileo: l’ho detto e lo penso davvero. Tu sei mio amico” “Tu sai tutte le cose, tu sai per esperienza che io amo con il pieno amore dell’amicizia” 

Notare la dolce ironia: Pietro dice, “Tu mi conosci”. In quella triste notte aveva negato di conoscere Gesù, ma Gesù conosce lui. Secondo la leggenda antica, avrebbe fallito di nuovo durante la persecuzione neroniana. Fuggendo da Roma, incontrò Cristo che andava nella Città. Chiede al suo Signore: dove stai andando? Quo Vadis? ‘A morire di nuovo’. È lì che Pietro mostra il più grande di tutti gli amori che aveva professato e negato due volte. È lì, alla fine della sua vita, che è fedele al suo voto d’amore. Questo dà coraggio a tutti noi nei nostri fallimenti.

Ecco una lezione della massima importanza per questo Sinodo. Gesù si è fidato di Pietro e gli ha affidato il gregge, anche se finora non era stato degno di fiducia. La Chiesa è fondata sulla roccia della fiducia immeritata di Dio in Simon Pietro. Oseremo fidarci l'uno dell'altro, nonostante alcuni fallimenti? Il Sinodo dipende da questo.

Solo un esempio: non è un segreto che la Dichiarazione Fiducia Supplicans abbia provocato angoscia e rabbia tra molti vescovi in ​​tutto il mondo. Alcuni membri di questo Sinodo si sono sentiti traditi. Ma la Chiesa diventerà una comunità affidabile solo se ci assumiamo il rischio, come il Signore, di fidarci l'uno dell'altro, anche se siamo stati feriti. Il Signore si affida nelle nostre mani ancora e ancora, in ogni Eucaristia, anche se lo tradiamo in continuazione. La crisi degli abusi sessuali ci ha insegnato dolorosamente che questa non può essere una fiducia irresponsabile che mette a rischio gli altri, specialmente i minori, ma una fiducia che abbraccia il nostro rischio di essere feriti..

Siamo davanti ad una crisi globale di fiducia. I politici di tutti i partiti dicono che non ci si può fidare dei politici degli altri partiti e quindi, ovviamente, nessuno si fida più dei politici. In tutto il mondo, i giovani stanno perdendo fiducia nella democrazia. Le fake news e la manipolazione dei media significano che non possiamo fidarci che venga detta la verità. Chiediamo sempre più affidabilità, sempre più test e resoconti, ma non possono mai dissipare il nostro sospetto che qualcuno la stia facendo franca. Una crisi di fiducia incoraggia le persone a comportarsi in modo inaffidabile, dal momento che tutti gli altri, sicuramente, stanno agendo allo stesso modo. Clemente di Alessandria scrisse nel terzo secolo che dobbiamo "correre il bel rischio di passare nel campo di Dio[3]". Questo è il campo di coloro che confidano nel Signore e gli uni negli altri, anche quando sembra sciocco. Non possiamo dire "Non correrò il rischio di essere ferito di nuovo".

Un contadino corse da San Francesco d'Assisi e gli chiese se fosse Francesco. Il contadino poi disse: "Ti esorto a non essere diverso da come sembri, perché molte persone hanno riposto la loro fiducia in te". Queste parole mi hanno segnato. Se solo lo sapessero! Milioni di persone non si fidano più di noi e per una buona ragione. Dobbiamo ricostruire la fiducia, iniziando da noi, gli uni con gli altri, in questa assemblea.

Quando fui eletto Maestro dei Domenicani, chiesi consiglio al mio predecessore, un meraviglioso irlandese. Mi disse: "Prima di tutto, quando viaggi in luoghi remoti, tieni sempre un po' di carta igienica nella tasca posteriore. (Molto saggio!) In secondo luogo, fidati dei fratelli. L'Ordine ha votato per fidarsi di te. Devi fidarti dei fratelli. I provinciali a volte prenderanno decisioni che ti lasceranno perplesso e con cui non sei d'accordo. Tranne in circostanze eccezionali, fidati di loro". San Domenico si fidava dei novizi e li mandava a predicare, mentre i Cistercensi erano sicuri che sarebbero scappati tutti. La fiducia tiene insieme la rete di Pietro.

Uno dei nostri Provinciali era un bravo fratello, ma aveva problemi di alcolismo. Con mia sorpresa, è stato rieletto. Ero orgoglioso che il capitolo provinciale si fosse assunto il rischio e ho confermato l'elezione. Mi ricordo che un domenicano americano aveva problemi con l'alcool, ed è andato dal suo medico. Il medico ha detto: "Padre, la prima cosa che potresti fare che potresti fare sarebbe smettere del tutto di bere". Il fratello ha risposto: "Dottore, non sono degno del primo posto. Qual è il secondo?"

Alla fine tutto si fonda sulla fiducia in Dio che si affida a noi. Confidiamo che con la grazia di Dio questo Sinodo porterà frutto, anche se non possiamo anticipare cosa sarà e potrebbe non essere ciò che desideriamo.

Una poesia di Teilhard de Chardin:

Abbiate fiducia soprattutto nel lento lavoro di Dio.

Siamo naturalmente impazienti in ogni cosa di raggiungere la fine senza indugio.

Vorremmo saltare le tappe intermedie.

 Siamo impazienti di essere in cammino verso qualcosa di sconosciuto,

qualcosa di nuovo.

 È tuttavia la legge di ogni progresso

che si compie passando attraverso alcune tappe di instabilità,

e che può richiedere molto tempo[4].

Un altro gesuita (oggi mi sento generoso!), Gregory Boyle scrive: "Il nostro è un Dio che aspetta. Chi siamo noi per non fare altrimenti? Ci vuole ciò che serve per la grande svolta. Aspettatela[5]”.

Gesù incarica Pietro di pascere le sue pecore. Le mie pecore, dice Gesù, non le tue. Pietro deve essere il buon pastore che conduce le pecore fuori dagli stretti confini dell'ovile per pascolare nei pascoli ampi del mondo, dove i lupi sono in agguato. Conosce il suo gregge per nome e loro si fideranno della sua voce. Tutti coloro che sono battezzati nella regalità di Cristo sono chiamati a essere pastori: pastori dei piccoli greggi delle nostre famiglie, degli alunni delle nostre scuole, dei nostri vicini di casa. Genitori, insegnanti, leader laici sono tutti chiamati a essere pastori che conoscono le loro pecore per nome e guadagnano la loro fiducia. Tutti abbiamo la straordinaria responsabilità di prenderci cura delle pecore del Signore. Ma Gesù dà a Pietro un ruolo specifico nella comunità come suo buon pastore.

Gesù tuttavia conferisce a Pietro un ruolo specifico nella comunità, il ruolo di buon pastore. Questo è un ruolo specifico dei nostri pastori ordinati, quello di condurre le pecore fuori da un ovile ecclesiastico stretto e introverso verso gli spazi aperti del mondo. Dalla sacrestia alla pubblica piazza. Eppure spesso si è rivelato essere il clero il più sospettoso del percorso sinodale e il più resistente ad esso. Quale autorità hanno Pietro e i suoi successori per fare questo?

Sara Paris dell'Università di Edimburgo ha scritto: "l'autorità di Pietro è l'autorità di un peccatore pentito[6]". Egli può condurre il gregge al pascolo della grazia di Dio perché ne ha evidentemente bisogno lui stesso. Papa Francesco ha detto in un'intervista nel 2015: "Sono un peccatore ... ne sono sicuro. Sono un peccatore che il Signore ha guardato con misericordia. Io sono, come ho detto ai detenuti in Bolivia, un uomo perdonato[7]”. (cfr. Luca 5,8) Questa è l’autorità gioiosa dei pastori. Siamo persone perdonate. Possiamo lasciar cadere la pesante maschera della superiorità, il peso di fingere di essere spaventosamente santi. Il sacerdote ci riunisce tutti in unità all’inizio dell’Eucaristia, mentre richiamiamo alla mente i “nostri peccati”, non i tuoi! Questa è la nostra unità, il perdono per grazia. Nella maggior parte degli ordini religiosi alla professione dei voti si pone ai candidati questa domanda:“Cosa cerchi?”. La risposta è: “La misericordia di Dio e la vostra misericordia”.

La gioia del peccatore pentito è entrare nella luce nascente del giudizio amorevole di Dio e scoprirsi completamente amati. Il cardinale Basil Hume disse che "il giudizio è sussurrare all'orecchio di un Dio misericordioso e compassionevole la storia della mia vita che non sono mai stato in grado di raccontare…[8]”. Molti di noi hanno una storia, o almeno una parte di essa, di cui non siamo mai stati in grado di parlare a nessuno. La paura di essere fraintesi, l'incapacità di comprendere noi stessi, l'ignoranza del lato oscuro delle nostre vite nascoste, o semplicemente la vergogna, rendono molto difficile per molte persone... Che sollievo sarà poter sussurrare liberamente e pienamente a quell'orecchio misericordioso e compassionevole. Dopo tutto questo è ciò che Lui ha sempre voluto[9]”.

Sulla spiaggia, Pietro non era ancora pronto a raccontare la storia del suo bisogno di perdono. Quel giorno arriverà. Il primo resoconto che abbiamo del rinnegamento di Gesù da parte di Pietro si trova nel Vangelo di Marco, che è spesso chiamato: “le memorie di Pietro”. San Marco era a conoscenza del fallimento di Pietro perché Pietro lo raccontò alla sua comunità a Roma. Durante la persecuzione di Nerone, la Chiesa ebbe un gran cedimento e i cristiani si tradirono a vicenda. Sembra che fu allora che Pietro ammise il proprio fallimento: "Tu hai tradito il Signore. Anch'io!" L'Instrumentum Laboris afferma che spesso abbiamo richiesto che il Popolo di Dio sia responsabile nei confronti della gerarchia, ma anche la gerarchia deve essere responsabile nei confronti del Popolo di Dio (75, 76). Nel momento più buio, Pietro rese conto di sé al suo popolo. Ciò trasformò la sua vergogna in gioia. Questo è il ministero di unità del pastore, per radunarci insieme affinché "osiamo dire Padre Nostro". L'elitarismo clericale non è quindi solo una mancanza di umiltà, ma una negazione dell'identità sacerdotale. Sarebbe come essere un giardiniere che pensa che il suo lavoro sia quello di strappare i fiori.

Pietro finalmente, alla fine, realizza quel più grande atto d'amore. "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici". Il sacerdote è il ministro dell'amicizia divina. L'Instrumentum Laboris ci avverte che i sacerdoti parlano spesso di "una certa stanchezza, legata soprattutto a un senso di isolamento, di solitudine, di essere tagliati fuori da relazioni sane e sostenibili, e di essere sopraffatti dalla richiesta di dare risposte a ogni bisogno" (35). Il sinodo sembra un ulteriore impegno per persone che sono già impegnate oltre ogni limite.

La tentazione del sacerdote è quella di essere un solitario, di fare tutto da solo. Ma questo contraddice la sua vocazione, la chiamata all'amicizia: amico di Dio, amicizia con i laici, amicizia con coloro che sono al limite, amicizia con altri sacerdoti nel presbiterio. Sant'Antonio il Grande divenne nel deserto l'amico di tutti, perché raggiunse la trasparenza. Peter Brown scrisse: "Arrivò a irradiare un fascino magnetico e un'apertura verso tutti, che qualsiasi straniero che lo incontrasse, circondato da folle di discepoli, monaci in visita e pellegrini laici, sapeva chi era il grande Antonio. Era immediatamente riconoscibile come qualcuno il cui cuore aveva raggiunto una trasparenza totale verso gli altri[10]".

Ecco perché una mancanza di trasparenza e responsabilità corrompe il cuore stesso dell'identità sacerdotale. La trasparenza di Pietro, il peccatore, è il fondamento della sua autorità. Non può esserci insabbiamento. Non ci si aspetta che confessiamo apertamente tutti i nostri peccati, ma almeno che non siamo ipocriti. Il popolo di Dio è veloce a perdonare tutto tranne l'ipocrisia.

“Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Molti preti sentono davvero di dare la vita, dando tutto, esauriti e sfiniti. Un prete inglese, Sean Connolly, da giovane, scrisse: "A volte mi sento come una spugna gigante, che assorbe le loro difficoltà e le loro prove. Il problema è che spesso non c'è un posto dove spremere me stesso e quindi tutto si accumula e si accumula[11]". Ha amici che hanno lasciato il sacerdozio perché volevano riavere indietro la loro vita. Gli insegnanti alla fine della settimana lo salutano gridando: "Buon fine settimana". Un bel fine settimana, per l'amor del cielo! Dice: "Quando torno a casa in macchina un venerdì pomeriggio, a volte mi passa per la testa il pensiero: non sarebbe bello avere di nuovo la mia vita[12]?"

Gesù non ha detto: «Sono venuto perché tu viva e viva in abbondanza». Ricordate quelle parole di sant’Ireneo: «Gloria Dei est homo vivens»; la gloria di Dio è un essere umano pienamente vivo. Donare la vita non significa donare la propria agenda. Non è fare tutto da soli. Il cardinale Ratzinger ha citato queste parole ai funerali di Giovanni Paolo II: «Un altro ti vestirà». E proprio in questa comunione con il Signore sofferente, che egli, in modo instancabile e con intensità sempre nuova, ha annunciato il Vangelo, il mistero di quell’amore che va fino in fondo (cfr Gv 13,1)». Donare la vita è un atto d’amore, non un lavoro senza fine. Amicizia significa imparare a stare con le persone e gioire della loro compagnia. Significa svago e risate condivise, come quando Gesù banchettava con le prostitute e i pubblicani.

Pietro quindi ha l'autorità del peccatore pentito. Ma questa non è l'unica autorità in questo brano. Gesù dice a Pietro: "Seguimi". Pietro guarda il discepolo che Gesù amava e che sta già seguendo il Signore. "E lui?" chiede Pietro. "A te che importa?", risponde Gesù. Il discepolo amato ha la sua autorità. Ha visto la tomba vuota e ha creduto. Abbiamo ascoltato con interesse la sua testimonianza e "sappiamo che la sua testimonianza è vera" (v. 24). Sulla croce Gesù affida sua madre alle sue cure.

Ognuno si rimette all'autorità dell'altro. Pietro riconobbe l'autorità del Discepolo Amato la notte prima che Gesù morisse quando gli chiese di chiedere a Gesù chi lo avrebbe tradito. Probabilmente fu il Discepolo Amato ad avere l'autorità di far entrare Pietro nella casa del Sommo Sacerdote. Ma anche il Discepolo Amato si rimette a Pietro. Corre alla tomba e vi arriva per primo, ma si rimette all'anzianità di Pietro e lo lascia entrare per primo.

Il ruolo dei pastori è quello di nascondersi e onorare l'autorità di tutti coloro di cui si prendono cura. Ognuno ha qualcosa da offrire. Vincent Donovan era un sacerdote missionario che lavorava con i Masai nell'Africa orientale. Per lungo tempo, si è interrogato in merito al suo ruolo di sacerdote. Ha scoperto che: "non sarebbe stato quello nella comunità che conosceva di più la teologia, il teologo. Non sarebbe stato il predicatore o l'evangelista della comunità. Non sarebbe stato il profeta. Non sarebbe stato il membro più importante della comunità, nel senso di essere quello che avrebbe dovuto dare il contributo più importante, di cui la comunità avrebbe potuto un giorno essere capace. Ma sarebbe stato il punto focale dell'intera comunità, quello che avrebbe permesso alla comunità di agire, sia nel culto che nel servizio... Sarebbe stato il segno della loro unione con l'esterno, la chiesa universale. Sarebbe stato il loro prete"[13].

I successori del Discepolo Amato sono tutti coloro che hanno gli occhi aperti per individuare lo straniero sulla spiaggia e dichiarare: "È il Signore". Madre Teresa di Calcutta ha visto il Signore morente per le strade di Calcutta. Anche Maria Maddalena ha la sua autorità, in quanto colei alla quale il Signore risorto ha parlato per prima, l'apostola degli apostoli. Il suo tenero amore la apre all'incontro con la sua presenza. Tommaso ha la sua autorità a motivo della sua passione per la verità. Ognuno si rimette all'altro. La rivalità è nemica della buona autorità nella Chiesa. Un santo eremita nel deserto respinse tutti gli attacchi di un branco di demoni. Ma Satana venne a sussurrargli all'orecchio: "Tuo fratello è stato nominato vescovo di Alessandria". Il santo eremita esplode di rabbia. “Ben fatto”, disse Satana!

In questo Sinodo, dunque, possiamo discernere l'autorità dell'altro e rimetterci ad essa. Quali nuovi ministeri sono necessari perché la Chiesa riconosca la loro autorità e li incarichi di esercitarla? Il Vangelo fa luce su tanti che, in quel tempo, hanno agito con autorità. Possiamo farlo anche noi oggi. Perché oggi è l'unico giorno che abbiamo a disposizione. Carpe Diem!

[1] Comunicazione privata.

[2] Anthony Giambrone, The Bible and the Priesthood: Priestly participation in the One Sacrifice for Sin, Baker Academic, Grand Rapids, 2022, p.185f.

[3] Proteptico X, 93, citato da A.G., p. 128.

[4] A Letter to his niece, from Hearts on Fire, ed. Michale Harter SJ, Loyola Press, 2009

[5] Tattos on the Eart, p. 113.

[6] Comunicazione privata.

[7] Credere, 02/12/2015.

[8] Citazione di un prete anonimo.

[9] Essere un pellegrino, p. 228.

[10] To be a Pilgrim, p. 228.

[11] Simple Priesthood, London 2001, p.. 27.

[12] Op. cit. p.42.

[13] Vincent J. Donovan, Christianity Rediscovered: An Epistle from the Masai, London 1978, p.144f.

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01 ottobre 2024, 11:54