Papa Francesco in uno dei suoi incontro con il Patriarca ecumenico ortodosso Bartolomeo I Papa Francesco in uno dei suoi incontro con il Patriarca ecumenico ortodosso Bartolomeo I  (Vatican Media)

Il ruolo del vescovo di Roma nel dialogo ecumenico, una tavola rotonda a Roma

La pubblicazione della versione francese del documento del Dicastero per la Promozione dell’Unità de Cristiani, Il vescovo di Roma, è stata l’occasione, al margine della sessione del Sinodo appena inaugurato, per una tavola rotonda incentrata su primato e sinodalità, che ha riunito cattolici, protestanti e ortodossi nel Centro culturale San Luigi dei Francesi

Jean-Charles Putzolu - Città del Vaticano

L’opera del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani era stata presentata il 13 giugno scorso nella sua versione italiana. La pubblicazione della versione francese, edita da Cerf, è stata l’occasione per riunire attorno a uno stesso tavolo diversi rappresentanti cattolici, ortodossi e protestanti - tutti impegnati nella seconda assemblea sulla sinodalità iniziata mercoledì scorso - per discutere sul primato del Successore di Pietro.

A partire dalla Ut unum sint di Papa Giovanni Paolo II del 1995, il documento elaborato dagli esperti del dicastero, con il sostegno di una cinquantina di consulenti, riunisce la quasi totalità dei testi del dialogo ecumenico degli ultimi trent’anni che hanno trattato il tema del primato, e dunque in particolare il ruolo del vescovo di Roma, in cammino verso l’unità. Coordinatore del progetto, il teologo domenicano Hyacinte Destivelle, direttore dell’OEcumenicun (dell’Università Angelicum di Roma - ndr), ha auspicato un confronto utile a tutti coloro che lavorano su tale questione,  in occasione del 25.mo anniversario dell’enciclica di san Giovanni Paolo II, e ha rilanciato l’invito del Pontefice polacco, rivolto allora a tutti i cristiani e responsabili religiosi, a riflettere sulle possibili forme di esercizio del ministero petrino riconosciuto da tutti come un servizio di amore.

Primato e sinodalità

A una prima lettura, che rischia di essere rapida e superficiale, primato e sinodalità appaiono come termini antinomici. Ma i progressi del dialogo ecumenico li rendono oggi quasi indissociabili. Per padre Destivelle una delle sorprese emerse nel raccogliere in questa opera una cinquantina di documenti, per la stesura della sintesi presentata giovedì sera a Roma, “è che giustamente ci si rende conto che c’è una sorta di convergenza di tutti i dialoghi, e delle risposte che sono state date alla Ut unum sint sulla necessità di un ministero di unità a livello universale, quindi di un certo primato”. La reverenda Anne Cathy Graber, senza pretendere di parlare a nome di tutte le Chiese protestanti, conferma tale tendenza sottolineando che queste ultime effettivamente avvertivano una carenza strutturale a livello della loro rappresentatività mondiale. La religiosa mennonita precisa però che “la scelta della diversità” è “una caratteristica fondamentale del protestantesimo”. L’ex priore di Taizé, fratel Alois, la cui comunità vive quotidianamente l’esperienza dell’ecumenismo e della diversità, spiega che “il Papa è un fratello che mi conferma, e, come comunità, noi abbiamo bisogno di una conferma”. Taizé ha questa particolarità, spiega l’ex priore, lui stesso cattolico, di riconoscersi “in comunione reale con il vescovo di Roma senza appartenere formalmente alla Chiesa cattolica”. E se il Pontefice romano - che sin da Paolo VI riceve regolarmente in udienza i priori di Taizé - “conferma” la comunità, “non è però il solo a farlo. Abbiamo ricevuto questa conferma anche da parte del patriarca Bartolomeo”.

Imparare gli uni dagli altri

Il metropolita Job di Pisidia vede il Sinodo come un tempo di apprendimento reciproco, oltre che come un tempo anzitutto di ascolto: “Dobbiamo tutti imparare come rendere la Chiesa più sinodale e riflettere sulla pratica del primato, sul senso di questo carisma che significa essere il primo di tutti”. Sottolinea poi il legame tra primato e sinodalità: “Se si dice che gli ortodossi sono i campioni della sinodalità e i cattolici i campioni del primato, si separano primato e sinodalità, mentre i due devono andare di pari passo”. Quindi, quale forma di primato? L’incontro di giovedì sera ha avuto il merito di mettere in luce una forma di convergenza attorno al Successore di Pietro. Monsignor Paul Rouhana, vescovo ausiliare di Joubbé dei Maroniti, ricorda l’unione con Roma delle 22 Chiese cattoliche orientali nel mondo e “la difficoltà di far articolare la Chiesa orientale con un’ecclesiologia post-tridentina dove il Vescovo di Roma esercita una giurisdizione universale sui latini e sugli orientali”. Il presule libanese esprime l’auspicio delle Chiese orientali di poter “ripristinare un’autonomia all’interno della comunione cattolica”. Ci sono tappe da percorrere in maniera progressiva”. Ritiene inoltre che l’esempio delle Chiese orientali cattoliche possa essere importante per il dialogo con gli ortodossi.

Per padre Destivelle, “bisognerà senza dubbio distinguere le funzioni del Papa, che è al tempo stesso vescovo di Roma, capo della Chiesa latina, dunque primate della Chiesa occidentale, ma che è anche al servizio della comunione delle Chiese”. È proprio questo uno dei suggerimenti del documento Il Vescovo di Roma: riflettere su tale distinzione affinché questa figura sia realmente al servizio della comunione delle Chiese, “ma avrebbe un ruolo diverso all’interno della Chiesa cattolica e al servizio della comunione delle Chiese in generale”.

Primato e comunione

Il primato è al servizio della comunione, prosegue il domenicano, “e i due sono inseparabili”.  Non sono due principi in competizione, ma “mutualmente costitutivi”.  Al tempo stesso, “entrambi sono al servizio della comunione tra primato e sinodalità”.

L’interesse di questo documento, Il Vescovo di Roma, “è proprio di porre la sinodalità in un contesto più ampio, di avere una comprensione molto vasta della sinodalità, come articolazione di tre grandi dimensioni della Chiesa, che sono quelle dell’uno, tutti e alcuni: il primato di uno solo, la collegialità di alcuni e la dimensione comunitaria di ‘tutti’”. Se la sinodalità viene intesa così, “allora integra necessariamente il primato, ma anche la collegialità come pure la dimensione comunitaria, e ciò consente di comprendere la sinodalità come una dinamica e non solo come un principio che andrebbe messo in equilibrio con il primato”.

La disponibilità del Vescovo di Roma

I modi i cui gli ultimi Papi si sono presentanti hanno svolto un ruolo chiave nel progresso del dialogo ecumenico. Anne Cathy Graber riprende la richiesta di perdono di Giovanni Paolo II nella Ut unum sint: “Per quello che ne siamo responsabili, con il mio Predecessore Paolo VI imploro perdono”. La pastora mennonita ritiene che a partire da questa frase molte cose sono state rese possibili, come per esempio il significativo riavvicinamento tra cattolici e luterani.

Le prime parola di Francesco, la sera della sua elezione, il 13 marzo 2013, prima ancora di dare la sua benedizione, sono state: “"Voi sapete che il dovere del Conclave era di dare un vescovo a Roma. […] La comunità diocesana di Roma ha il suo vescovo”. Francesco non si è presentato come Papa, ma come vescovo di Roma. “È perché è il vescovo di Roma che è il vescovo della Chiesa che presiede alla carità, secondo l’espressione di sant’Ignazio di Antiochia, e che dunque è tale Chiesa a essere chiamata a svolgere questo ruolo particolare di unità di tutte le Chiese e della comunione cristiana nel suo insieme”, spiega padre Hyacinthe Destivelle. Prosegue dicendo: “Il Papa, come vescovo di Roma, è dunque chiamato a questo servizio di unità particolare che, crediamo, noi cattolici, fa parte dell’essenza del suo ministero”. E in questa prospettiva, sarebbe persino possibile immaginare una nuova forma di esercizio del primato del vescovo di Roma prima della piena unità.  Il patriarca ortodosso Job di Pisidia lo riconosce, e padre Destivelle ritiene che “è già quello che viviamo”.

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04 ottobre 2024, 15:51