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Il briefing nella Sala Stampa della Santa Sede Il briefing nella Sala Stampa della Santa Sede 

Dal Sinodo mosaico di contributi su problemi della Chiesa e del mondo

La trasparenza nella comunità ecclesiale, il coinvolgimento dei bambini, le violenze subite dalle religiose tra i temi affrontati oggi in Aula e illustrati durante il briefing con i giornalisti. Sono intervenuti suor Franco Echeverri, presidente della Clar, sull’importanza dell’ascolto, l’arcivescovo di Riga, monsignor Stankevič, sulla corresponsabilità ecclesiale, e il vescovo di Cyangugu, monsignor Sinayobye, sul percorso di riconciliazione e unità nel Rwanda

Tiziana Campisi e Lorena Leonardi - Città del Vaticano

Moltissime proposte concrete, basate sulle diverse esperienze e condivise nella piena trasparenza, contro ogni tipo di abuso e per una maggiore responsabilità del laicato, donne e giovani in particolare. Sono le linee essenziali che stanno emergendo nei lavori sinodali e che stamani sono state rese note nel briefing per i giornalisti nella Sala stampa della Santa Sede, di oggi, 14 ottobre, iniziato alle 13.30 e introdotto dal vice direttore Cristiane Murray. Sheila Pires, segretario della Commissione per l’informazione, ha anzitutto fatto il punto “dei lavori di questa mattina - nona congregazione generale, svoltasi alla presenza di Papa Francesco - e anche di sabato mattina e venerdì pomeriggio”, dedicati alla sezione “percorsi” dell’Instrumentum laboris, riguardante i temi: “processi decisionali”, “trasparenza, rendere conto, valutazione”. In particolare “è stato molto importante ascoltare - ha riferito Pires - su tali questioni esperienze provenienti dalla Cina, dalla penisola arabica, dall’Amazzonia, dalle isole Seychelles e dal Sahel”. E proprio queste esperienze “hanno evidenziato i problemi come, ad esempio, la difficoltà nel trovare un’armonia fra le tradizioni cristiane e i riti locali o con le normative civili locali sul matrimonio”. Questo avviene anche perché, si è detto in Aula, “la Chiesa in passato ha trascurato le diversità e la complementarietà tra le culture”. Allo stesso tempo “sono stati offerti spunti e suggerimenti sulla base di realtà già esistenti, come ad esempio la Conferenza ecclesiale dell’Amazzonia che, al suo interno, dà voce a diverse realtà, o le esperienze della Chiesa africana che mostra grande vitalità”.

Coinvolgere i bambini nella Chiesa

In diversi interventi, ha rilevato Pires, “si è parlato molto dell’importanza di coinvolgere i bambini nella vita della Chiesa, per non parlare solo di bambini ma con i bambini”. Altri punti indicati sono stati la valorizzazione dei catechisti, l’importanza “di ascoltare i giovani perché, a volte, si decidono temi e argomenti quando invece loro sono interessati ad altro”. Inoltre “si è parlato anche di includere le scuole cattoliche nel processo di evangelizzazione e formazione, poiché rappresentano un’importante risorsa per la Chiesa. In alcune parti del mondo tuttavia - è stato fatto notare - lo Stato si è impossessato di queste scuole e vengono imposte agende contrarie all’insegnamento della Chiesa”.

Le violenze subite dalle religiose

“È stato molto applaudito un intervento sulle violenze subite da donne religiose, anche in formazione: non solo abusi sessuali ma anche di potere, di coscienza e spirituali” ha fatto presente Pires. “Si è detto che ci sono religiose che lavorano duramente soprattutto per raggiungere i più vulnerabili, ma le stesse donne quando si confrontano con questioni legate ad abuso sessuale o di altro genere non riescono ad esprimere la propria preoccupazione” e “per un atteggiamento patriarcale della società restano in silenzio”. A tale proposito è stato proposto “di introdurre procedure e sistemi nelle diocesi e nelle Conferenze episcopali per affrontare queste problematiche”. E “un’altra proposta è quella di rivedere le politiche contrattuali, per garantire dignità alle consacrate, ma anche in generale ai laici”.

Nella formazione dei sacerdoti mancano donne e laici esperti

Sempre riguardo le donne, negli interventi, ha concluso Pires, “è stato rilevato che nella maggior parte dei seminari manca una presenza femminile di consacrate o laiche nella formazione dei sacerdoti, così come manca la presenza di laici esperti. La partecipazione delle donne invece - è stato sottolineato - è “fondamentale” perché loro possono vedere cose che altri non vedono, garantiscono una formazione equilibrata, arricchiscono il programma generale per i futuri preti”.

Organismi di ausilio per i vescovi

Nel suo intervento nel briefing Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la Comunicazione e presidente della Commissione per l’informazione, si è riallacciato “al tema di una maggiore presenza dei laici e delle donne: ampio spazio in queste ultime tre congregazioni generali è stato dato al tema dei processi decisionali, i cosiddetti processi di decision making e decision taking”. A riguardo, ha detto, “è stata ribadita più volte la necessità di istituire board di laici, autorevoli ed esperti, per evitare un sovraccarico di pesi per chi detiene ruoli di responsabilità”. Ed è stata anche “evidenziata l’importanza di istituire consigli o comunque organismi che possono essere d’ausilio ai vescovi o a coloro che hanno incarichi”. “Da questo punto di vista, è stato detto in alcuni interventi - ha riferito Ruffini - che molte delle decisioni sbagliate in passato sui casi di abusi su minori nella Chiesa sono state prese da vescovi probabilmente isolati o sotto pressione. Si è proposto pertanto di introdurre nelle diocesi dei comitati consultivi di cui può disporre il vescovo, non solo per rafforzare la tutela e la prevenzione, ma anche nell’eventualità in cui bisogna reintegrare o far recuperare la credibilità a sacerdoti accusati ma poi giudicati innocenti”. Infatti, si è detto in Aula, “c’è molta resistenza quando la persona viene trovata innocente”. Ma “con l’ausilio di un board composto da psicologi, genitori di bambini abusati, operatori sociali, assistenti, sarebbe più semplice restituire la credibilità e la giustizia a un sacerdote innocente”.

Trasparenza nella Chiesa

“Sulla stessa scia - ha proseguito il prefetto - si è ribadito che la trasparenza è un elemento fondamentale nella Chiesa sinodale, soprattutto negli ambiti della tutela e delle finanze. Questa trasparenza, è stato sottolineato in altri interventi, deve sempre equilibrarsi con la riservatezza, il rispetto della privacy e delle informazioni sensibili”. Ruffini ha riferito che durante i lavori si è parlato  anche del tema della accountability, soffermandosi “sul significato del rendere conto: tutti conveniamo, è stato detto, sulla necessità di rendere conto, tuttavia ci si è domandati a chi dobbiamo rendere conto, al mondo, all’opinione pubblica, ai giornalisti?”. A volte, infatti, “le nostre agende pastorali e i criteri dell’essere Chiesa vengono dettati da istanze che non sono esattamente quelle del Vangelo”. Perciò “la priorità è rendere conto anzitutto a Dio, alla comunità, per non cadere nelle trappola di rendere conto, appunto, a istanze non evangeliche”. E, ha aggiunto Ruffini, è necessario “rendere conto alla Chiesa, e non a un qualsiasi contesto umano, secondo i principi del Vangelo. Non siamo un consiglio di amministrazione, ma il corpo mistico di Cristo, il popolo santo di Dio”. E poi, ha proseguito, “rendere conto ai più poveri, membra fragili di Cristo, che ci giudicano a partire da come viviamo”. Inoltre, è stato suggerito di valorizzare “le realtà sinodali già esistenti in diocesi, parrocchie, Conferenze episcopali” e “si è detto pure di imparare dalle Chiese nuove, come quelle in Africa e non imporre loro la realtà di Chiese in Occidente” che  spesso sono in articulo mortis. Ed è poi “giunta la proposta di rendere obbligatori i Sinodi diocesani”.

La sinodalità sperimentata nella vita consacrata

Il prefetto ha riferito che si è fatto riferimento anche “all’esempio della vita consacrata che sperimenta da anni forme di sinodalità: su questo punto è stato citato il discernimento dei monaci martiri di Tibhirine che hanno deciso di restare in Algeria in un contesto di sofferenza, di violenze e offrire la loro vita non solo e non tanto per obbedire al superiore, ma dopo aver compiuto ognuno un cammino interiore in maniera sinodale”. Inoltre sul tema di un possibile aggiornamento del Diritto canonico si è detto che il Codice non è un “triste strumento costrittivo” ma “espressione della fede cattolica”. “Il rispetto della legge della Chiesa è il miglior modo di combattere il clericalismo - è stato affermato - e il diritto è scudo che protegge i più deboli”. “Interessante”, ha detto Ruffini, “anche l’intervento sull’esperienza pastorale di una Chiesa africana che da alcuni anni ha iniziato a organizzare assemblee domenicali senza sacerdoti, assenti per la vastità delle parrocchie o la lontananza tra un villaggio e l’altro. Si tratta di assemblee in cui i fedeli si riuniscono sotto la responsabilità di catechisti o di laici autorevoli per ascoltare la parola di Dio e ricevere la comunione”. 

Evitare il clericalismo

Ancora è tornato l’appello a evitare ogni forma di clericalismo, ha concluso. “L’antidoto - è stato detto in alcuni interventi - è la vicinanza tra i vescovi, con i sacerdoti, con Dio, con il popolo. Rapporti dinamici e mai statici, che prevedono un coinvolgimento diretto nei processi decisionali. Su questo punto, in particolare, si è detto che anche la parola “consultivo” nella Chiesa significa l’obbligo di ascoltare e di tenere conto”. Inoltre, “in più interventi è stato anche ribadito che è necessario, quando si prende una decisione, spiegare le motivazioni per cui chi ha ruoli di responsabilità ha deciso di agire in modo contrario al parere comune, sottolineando punti di forza e debolezza nei processi decisionali”. E proprio “su quest’ultimo punto in particolare, in un intervento, è stata ricordata la formula di san Cipriano: ‘Niente senza la responsabilità personale del vescovo, niente senza il consiglio dei presbiteri, niente senza il consenso del popolo di Dio’”.

I relatori del briefing di oggi, 14 ottobre
I relatori del briefing di oggi, 14 ottobre

Nel Rwanda guarire tutti

“Trent’anni sono tanti, ma in realtà sembra che sia successo ieri. Le conseguenze sono molte e come Chiesa cerchiamo di guarire le persone, che siano vittime o aguzzini. Stiamo imparando a essere fratelli e sorelle”. Il genocidio del Rwanda non è ancora cicatrice, ma ferita aperta, nelle parole di monsignor Edouard Sinayobye, vescovo di Cyangugu, nella provincia occidentale del Paese. Intervenendo nel briefing tenutosi nella Sala stampa della Santa Sede, il presule ha raccontato come la Chiesa stia accompagnando il faticoso tentativo di rinascita, e cosa significhi l’esperienza sinodale per il Rwanda. “Come i discepoli - così si legge negli Atti degli Apostoli - erano un unico cuore intorno a Pietro e Maria, noi stiamo vivendo una assise sinodale intorno a Papa Francesco, che è un segno e un carisma dell’unità della Chiesa”, ha spiegato in francese monsignor Sinayobye, ed è “in questo processo sinodale che si colloca il percorso di riconciliazione e unità.”

Ricucire il tessuto lacerato dal genocidio

Quando, come conferenza episcopale, ha avuto luogo il primo avvicinamento al Sinodo, il processo “è stato accolto come un kairòs”, perché “la comunione è un concetto eloquente per il cuore del Rwanda”: il Sinodo viene vissuto come “un insegnamento che ci dà i fondamenti biblici, teologici per capire che siamo una sola cosa. Parlare di fraternità ci aiuta a capire che siamo fratelli e sorelle”. Quello sinodale diventa così uno “stile di vita spirituale” che ricorda il modus vivendi e operandi della Chiesa tout court. Nella fase di ascolto, ha ricordato, “in ogni diocesi abbiamo incontrato tutti, dalle comunità ecclesiali di base ai bambini, passando per i consacrati e le persone ai margini, detenuti, prostitute, disabili” e avviato formazione di pratica missionaria che riguarda tutti, specialmente i laici: il Sinodo aiuta così a rafforzare la pastorale, che è il punto di partenza per ricucire il tessuto umano e sociale lacerato dal genocidio.

I temi dei Percorsi sinodali

Su formazione, discernimento, partecipazione e rendicontazione, i quattro temi dei Percorsi – la parte dell’Instrumentum Laboris che in questi giorni è stata al centro dei lavori – si è soffermata la teologa suor Gloria Liliana Franco Echeverri, che ha partecipato anche al Sinodo sull’Amazzonia ed è presidente della Confederazione Latino-Americana dei Religiosi. Abbiamo riconosciuto, ha riassunto, che la formazione “ha senso solo se la facciamo come testimoni, se è integrale e parte da una base antropologica, inclusiva e attenta alla realtà”; il discernimento è “la chiave per rispondere a livello territoriale”, “ci offre la possibilità di capire cosa chiede lo Spirito” dal momento che “la realtà della Chiesa è variegata, vive momenti e priorità diverse”. Ancora, ha proseguito la religiosa, nelle discussioni degli ultimi giorni è emersa l’importanza delle strutture partecipative, insieme al valore della trasparenza “come cultura più che come mezzo”, in grado di “permeare le modalità identitarie della Chiesa”.

Imparare e condividere

Sull’obiettivo finale – “la missione” – ha insistito l’arcivescovo di Riga, monsignor Zbignevs Stankevičs: se il Sinodo “mira a liberare i doni e i carismi di ogni battezzato”, vescovi, parroci e leader dei vari gruppi operano secondo una “corresponsabilità” da intendersi in senso spirituale. Riferendo anche la propria esperienza di presule in Lettonia, specialmente la condivisione delle buone pratiche pastorali come fonte di ispirazione per i pastori, il vicepresidente della Conferenza episcopale della Lettonia ha citato la fioritura, negli ultimi anni, delle scuole di evangelizzazione e, in generale, di iniziative che accendono il fuoco dell’evangelizzazione. Infine, monsignor Stankevičs ha parlato di “Divine renovation”, una esperienza per “rivitalizzare le parrocchie” nata in Canada, dove in una comunità che stava per svanire sono “fioriti” 80 ministeri e 800 volontari impegnati nelle attività. “Credo – ha concluso il presule – che occorra guardare dove agisce lo Spirito di Dio e imparare, condividere. Non solo durante il Sinodo, ma anche dopo”.

L’importanza dell’ascolto

Nello spazio dedicato alle domande dei giornalisti, la prima ad essere interpellata è stata suor Gloria Liliana Franco Echeverri, dell’Ordine della Compagnia di Maria Nostra Signora, alla quale è stato chiesto se l’ascolto, elemento sul quale in questo Sinodo sulla sinodalità, è stato posto particolarmente l’accento, è oggi una dinamica sempre più adottata in America Latina e altrove. La religiosa ha evidenziato che proprio questo sinodo, articolato in due anni, quello precedente, nel 2018, su “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”, e pure quello sull’Amazzonia, nel 2019, hanno fatto emergere l’importanza dell’ascolto come processo di umanizzazione. Per suor Franco Echeverri, le esperienze sinodali vissute come laboratori, stanno permettendo di cambiare il modo di ascoltare l’altro, perché c’è tanto da imparare nella società, ascoltare dà possibilità di avvicinarsi in modo più rispettoso alla volontà di Dio. “Ci troviamo in questo processo di apprendimento” ha aggiunto, spiegando che l’ascolto sta emergendo come attività vitale nella Chiesa.

Il diaconato femminile

È stato, poi, ancora toccato l’argomento diaconato femminile e a monsignor Sinayobye, è stato domandato quale il suo parere personale. Il presule ha anzitutto spiegato che in Africa non c’è il servizio del diaconato permanente, ma soltanto il diaconato come tappa per giungere al sacerdozio. Quanto alla possibilità di donne diacono, il vescovo di Cyangugu ha detto che si tratta di una questione che si sta studiando molto seriamente e attentamente, tenendo conto della luce offerta dal Magistero della Chiesa che offre "un intero patrimonio di insegnamenti del passato che arricchisce e chiarisce la questione". Riguardo la propria opinione, monsignor Sinayobye ha dichiarato, in quanto vescovo, di essere "in totale comunione con gli altri vescovi e soprattutto con il Santo Padre" e di essere a servizio della Chiesa e che dunque "non c'è nessun sentimento da avere". "Noi pastori rappresentiamo il popolo di Dio, siamo i custodi della fede, siamo esseri umani come tutti gli altri, ma non dobbiamo mettere al primo posto i nostri sentimenti e la nostra sensibilità - ha concluso il presule -, siamo veramente in questa dinamica di comunione con tutta la Chiesa".

La cultura della cura

Sul tema degli abusi sulle religiose, affrontato oggi in aula, è stato domandato se da questo Sinodo potrebbe emergere una consapevolezza maggiore riguardo tale problematica. Sheila Pires ha specificato che si sta analizzando la questione e valutando se inserirla nel documento finale, mentre suor Franco Echeverri si è soffermata sulla necessità di una cultura della cura, specificando che si sta lavorando seriamente sulle relazioni all’interno della Chiesa, con una revisione di quegli atteggiamenti che non sono coerenti con lo stile di Gesù. Per la consacrata, la vita delle religiose non deve restare a margine e questo processo sinodale sta permettendo di soffermarsi sull’opzione della cultura della cura. Monsignor Stankevič, dal canto suo, ha rimarcato che la problematica degli abusi sulle religiose riguarda questo sinodo, perché è un ostacolo per la missione della Chiesa, poiché ferisce le persone, dunque occorre affrontarla.

I frutti del cammino sinodale

Interpellato, infine, su come nel Rwanda è stato accolto il processo sinodale, il vescovo di Cyangugu ha chiarito che la Chiesa ha fatto giungere a tutti l’invito ad intraprendere un cammino insieme e che questo messaggio rappresenta un contributo notevole alla riconciliazione nel Paese. Sacerdoti, consacrati e laici hanno incontrato tanta gente, si sono recati nelle scuole, nelle carceri, dove ci sono molto detenuti accusati del crimine di genocidio; parlare con queste persone di perdono è un’opportunità che questo cammino sinodale sta offrendo, ha concluso monsignor Sinayobye, anche per i fondamenti biblici che il Sinodo sta offrendo per l’unità e la riconciliazione.

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14 ottobre 2024, 16:57