La Pinacoteca Vaticana celebra san Francesco e il suo tempo
Paolo Ondarza – Città del Vaticano
Grande doveva essere lo stupore dei pellegrini del primo Giubileo del 1300 alla vista dell’imponente mosaico che decorava la facciata della Basilica Vaticana. A volerlo fu nel 1230 Gregorio IX, rappresentato inginocchiato nell’atto di offrire una moneta ai piedi di Cristo in trono. Quella articolata composizione, documentata da un’acquerello secentesco di Domenico Tasselli, andò perduta in seguito alla ricostruzione della nuova Basilica. Prevedeva anche altre figure: la Vergine Maria, San Pietro, gli evangelisti con i simboli del tetramorfo e i 24 vegliardi dell’Apocalisse.
La facciata perduta
Tra i pochi frammenti superstiti si conservano il ritratto del Papa, nel Museo di Roma di Palazzo Braschi, e la testa di san Luca Evangelista finora custodita nei depositi delle collezioni pontificie. Oggi chi entra nella prima sala della Pinacoteca Vaticana la può finalmente ammirare nel nuovo allestimento inaugurato in occasione delle celebrazioni degli 800 anni dall’impressione delle stimmate di san Francesco avvenuta nel 1224, tre anni prima dell’elezione al soglio pontificio del cardinale Ugolino de’ Conti dei Segni che, preso il nome di Gregorio IX, attestò il miracolo.
Il primo mosaico in Pinacoteca
Accedendo in questo ambiente il turista o il pellegrino dei nostri giorni potrà forse intuire la meraviglia suscitata alla vista dell’antico mosaico. Mai nessuno negli anni immediatamente successivi alla morte di san San Francesco poté contemplare ad una distanza tanto ravvicinata lo sguardo profondo, magnetico e penetrante dell’Evangelista Luca che evoca un tempo perduto. È il primo mosaico esposto all’interno della Pinacoteca Vaticana: è stata collocata nella parete di ingresso.
Quella adiacente celebra invece il Poverello d’Assisi e il suo tempo: al centro campeggia la grande tavola del Giudizio Finale di Nicolò e Giovanni, proveniente dall'Oratorio di S. Gregorio Nazianzeno a Roma. Ai lati una sezione “cristologica”, con opere ad affresco e su tavola legate al Salvatore e un’altra “francescana”.
L’immagine di Francesco e le fonti
Il santo d’Assisi è raccontato attraverso tre dipinti che lo rappresentano con le stimmate: la tavola di Margaritone d’Arezzo attesta forse l’iconografia più veritiera di Francesco, fedele alla descrizione che del santo ci ha lasciato Tommaso da Celano nella Vita Prima: “Di statura piuttosto piccola, testa regolare e rotonda, volto un po' ovale e proteso, fronte piana e piccola, occhi neri, di misura normale e tutto semplicità, capelli pure oscuri, sopracciglia diritte, naso giusto, sottile e diritto, orecchie dritte ma piccole, tempie piane, lingua mite, bruciante e penetrante, voce robusta, dolce, chiara e sonora, denti uniti, uguali e bianchi, labbra piccole e sottili, barba nera e rara, spalle dritte, mani scarne, dita lunghe, unghie sporgenti, gambe snelle, piedi piccoli, pelle delicata, magro, veste ruvida...”.
Accanto a questa tempera figurano le Esequie del Santo, eseguite dal pennello dello Pseudo Jacopino nel primo Trecento e infine una pregevole opera della bottega di Giunta Pisano realizzata attorno al 1235, con il Poverello d’Assisi stante al centro e ai lati quattro miracoli post mortem.
“Proviamo a celebrare Francesco al suo tempo”, spiega ai media vaticani Anna Pizzamano del Reparto per l'arte bizantino-medievale dei Musei Vaticani:
“Proviamo a celebrare Francesco non soltanto al tempo di Papa Francesco, ma al tempo dei pontificati legati alla figura di san Francesco. In particolare al pontificato di Gregorio IX. Il mosaico di San Luca è intimamente legato al Polittico Stefaneschi, collocato nella seconda sala e dipinto da Giotto sempre per l’antica Basilica Vaticana, forse per l’altare maggiore. Sono testimonianze preziose perché di quella costruzione quasi tutto il resto è andato perduto.
La parete cristologica
Il nuovo allestimento vuole “calibrare le pareti in una maniera nuova”, prosegue Pizzamano, “non stravolgendo quello precedente”, ma cercando di avvicinare il tempo medievale al visitatore che “guardando la parete cristologica potrà notare i profeti che annunciano il Salvatore”, un “bellissimo crocifisso processionale di scuola umbra e la tavola severa, importante, ieratica del Cristo benedicente. Sono opere di secoli diversi: l’allestimento non segue infatti un ragionamento prettamente cronologico, ma tematico”.
Per ripensare la disposizione delle opere nella Sala I della Pinacoteca è stato fondamentale l’apporto di tutta la comunità di lavoro dei Musei Vaticani. Lo ha sottolineato, nel corso della conferenza di presentazione tenutasi giovedì 25 ottobre, il direttore Barbara Jatta annunciando l’imminente pubblicazione in vista del Giubileo di una nuova guida ai capolavori delle collezioni pontificie.
Impossibile disgiungere la pura fruizione estetica dell’arte sacra dalla sua natura devozionale: “Si può entrare in Pinacoteca sia come turista che come pellegrino. L'invito che rivolgiamo ai nostri visitatori – conclude Anna Pizzamano - è quello di prendersi del tempo. Siamo ormai abituati a scappare a destre e a sinistra, ad incasellare mille impegni. Un turista può diventare pellegrino se ricerca uno sguardo altro e visita le nostre collezioni con il desiderio di comprendere cosa c'è al di là di quello che vede”.
Gregorio IX, testimone della speranza
Alla vigilia del Giubileo della speranza dunque diventa particolarmente significativo tornare alle origini della fede e del pellegrinaggio così ben rappresentato nel perduto voluto da Gregorio IX: la moneta offerta dal Pontefice a Cristo rimanda a quella che ai suoi tempi si conservava in Vaticano. Era ritenuta uno dei trenta sesterzi di Giuda, simbolo del tradimento e del conseguente gesto estremo e disperato con cui si tolse la vita, ma anche una delle monete portate in dono dai magi alla grotta di Betlemme. Un monito per ogni uomo che sull’esempio del Pontefice, che conobbe personalmente e nel 1228 canonizzò Francesco d’Assisi, è chiamato a credere nella grazia del perdono divino e a chiedere al Signore il dono della vita eterna.
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