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Un momento del convegno “Non c’è amore più grande. Martirio e offerta della vita”, organizzato dal Dicastero delle Cause dei Santi presso l’Istituto patristico Augustinianum Un momento del convegno “Non c’è amore più grande. Martirio e offerta della vita”, organizzato dal Dicastero delle Cause dei Santi presso l’Istituto patristico Augustinianum

Semeraro: il martirio come espressione di amore perfetto

In corso il convegno “Non c’è amore più grande. Martirio e offerta della vita”, organizzato dal Dicastero delle Cause dei Santi presso l’Istituto patristico Augustinianum. Tre le giornate di lavoro, da lunedì 11 a mercoledì 13 novembre. Giovedì mattina la conclusione con l’udienza con Papa Francesco

Roberto Paglialonga - Città del Vaticano

Siamo disposti, oggi, a dare la vita per Gesù? Un interrogativo che non può non lasciare inquieti, se solo si pensa per un istante a quanto avviene a milioni di cristiani in diverse parti del mondo, dalla Nigeria al Pakistan al Nicaragua, fino ad alcuni Paesi del Medio Oriente o dell’Asia. E che non può non toccare, pungere, la coscienza di ciascuno. Dell’estremo sacrificio che in tanti hanno accolto per amore a Cristo nella storia della Chiesa, si parla da oggi, 11 novembre, a mercoledì, 13 novembre, in un convegno intitolato “Non c’è amore più grande. Martirio e offerta della vita”, organizzato dal Dicastero delle Cause dei Santi presso l’Istituto patristico Augustinianum. Giovedì 14 è poi prevista, a conclusione, l’udienza con Papa Francesco.

Quella sulla disponibilità a seguire Cristo fino a dare la propria vita è in effetti “una domanda che interpella tutti” e che “se per noi è quasi teorica”, per altri è tanto concreta da “accompagnarli ogni giorno”, ha detto il moderatore della prima giornata di lavori, Alessandro Gisotti, vice direttore editoriale del Dicastero per la Comunicazione, nella sua introduzione al simposio. Un appuntamento tanto più significativo, anche alla luce della decisione del Pontefice – ricorda ancora – di inserire e distinguere, dal martirio e dall’eroicità delle virtù proprio “la fattispecie dell’offerta della vita nell’iter di canonizzazione e beatificazione” (motu proprio Maiorem hac Dilectionem), e che cade alla vigilia del Giubileo, nel corso del quale si terrà anche una solenne celebrazione ecumenica dedicata ai Nuovi Martiri.

Il cardinale Semeraro: martirio e offerta della vita

Dopo la preghiera iniziale, di fronte a una platea di circa 400 persone, il cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, nel presentare i contenuti del convegno, si è soffermato in particolare su un approfondimento del significato del titolo, desunto dal quarto vangelo, quello di Giovanni, il cui passo è stato letto proprio in apertura. Successivamente all’esame delle immagini con le quali, nel corso della storia cristiana, è stata tratteggiata la figura del martire – “il disprezzo dei dolori corporali, la serenità interiore nell’affrontare la morte, la volontaria disponibilità ad affrontare il martirio, il comportamento coraggioso del martire” – il cardinale ha affermato che “la concezione del martirio come espressione di amore perfetto è l’aspetto che ha preminenza su tutti gli altri”. Pertanto, “il criterio ultimo della autenticità” del martirio è “l’amore”: come scriveva Sant’Agostino: «Vero martire è solo colui nel quale è premiata la carità».

Relativamente al concetto di martirio, ha evidenziato ancora il porporato, si riscontra “la tendenza ad un suo ampliamento”, rinvenibile secondo gli storici nella vicenda di san Tommaso Becket, al quale “la vita non è tolta per motivo della fede, ma a difesa della libertà della Chiesa messa a rischio dal conflitto fra potere politico e istituzione ecclesiastica”. Tuttavia, va detto che “non ogni morte volontaria, a prescindere dalla causa per la quale è subita, è possibile, sotto il profilo teologico cattolico, chiamare «martirio»”. In secondo luogo, come scriveva Benedetto XVI nel 2006, “se il motivo che spinge al martirio resta invariato, avendo in Cristo la fonte e il modello, sono invece mutati i contesti culturali del martirio e le strategie” da parte del persecutore, “che sempre meno cerca di evidenziare in modo esplicito la sua avversione alla fede cristiana o ad un comportamento connesso con le virtù cristiane, ma simula differenti ragioni, per esempio di natura politica o sociale”. Ciò che è necessario è “che affiori direttamente o indirettamente, l’odium fidei del persecutore”.

Un'altra immagine del convegno
Un'altra immagine del convegno

Quanto alla spiegazione dell’ “offerta della vita”, il prefetto ha utilizzato la “teoria dell’opposizione polare” del teologo Romano Guardini, che rimanda a una “coappartenenza nella distinzione e perciò implica apertura”. Inoltre, riprendendo le parole di Papa Francesco nella Maiorem hac dilectionem ha chiarito che essa è riferibile a “quei cristiani che, seguendo più da vicino le orme e gli insegnamenti del Signore Gesù, hanno offerto volontariamente e liberamente la vita per gli altri ed hanno perseverato fino alla morte in questo proposito. È certo che l’eroica offerta della vita, suggerita e sostenuta dalla carità, esprime una vera, piena ed esemplare imitazione di Cristo”. Pur mancando, in essa, “la persona che uccide in odium fidei”, ha in comune “come base un atto eroico di carità”. Se, d’altra parte è vero, ha concluso, che “abitualmente l’accettazione del martirio nasce in un cristiano sulle premesse di una vita virtuosa”, occorre ammettere che “fra le tre tipologie per il riconoscimento ufficiale della Chiesa esiste una sorta di reciproca attrazione”.

Monsignor Spreafico: seguire Gesù fino all’estremo

Monsignor Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino e di Anagni-Alatri, ha posto l’attenzione sulla dimensione cristologica della testimonianza martiriale, sottolineando che “il programma del cristiano – il programma del Buon Samaritano, il programma di Gesù – è un cuore che vede”, cioè che “apre all’agape, quell’amore che è pronto anche a dare la vita sul modello del Cristo Signore”. “Rimanere nel Signore Gesù”, come invita a fare il vangelo di Giovanni sulla vita e i tralci (Gv 15, 9-17) “è amare, quindi rimanere nel Padre, che ha amato lui. L’amore, quindi, è anzitutto un modo di essere in Gesù e nel Padre, la cui conseguenza si riflette nella relazione con gli altri fino a dare la vita”, ha proseguito, sottolineando che “questo modo di intendere l’amore ci fa capire quanto noi affermiamo in coloro che hanno dato la vita in odium fidei”, ovvero che “non si tratta di eroi, ma piuttosto di donne e uomini con una vita talmente ripiena dell’amore di Dio in Gesù che non poteva che concludersi con l’imitazione del suo dono estremo, quando sarebbe stato richiesto: la vita”.

Ma come si manifesta la conformità alla vita di Gesù di un discepolo? Anche oggi, come al tempo di Gesù, ha detto Spreafico, siamo in un mondo difficile. “La vittoria dell’amore in mezzo alle tenebre della violenza si manifesta nel passaggio di Gesù da questo mondo al Padre”, ovvero nell’ora della glorificazione. “Gesù con la sua azione indica un modo di vivere esattamente opposto a quello innescato dal diavolo, spirito che divide. Infatti il gesto di Gesù crea al contrario unità, fraternità, là dove si sta operando divisione”. Quindi, “la chiave per comprendere questo gesto straordinario è l’imitare Cristo, che diventa servo di tutti”. L'azione di Gesù “origina nella comunità dei discepoli un modo di essere in comunione nel servizio reciproco e senza riserve, ma anche un modo per servire gli altri”. Perché – ha chiosato il vescovo – “ciò che rende felici davvero è lasciarsi coinvolgere dal gesto di Gesù, che sceglie di servire e amare, creare comunione nel servizio”.  Questo gesto ci dice “che è possibile cercare una felicità con gli altri, perché Dio ha voluto cercarla con noi uomini e donne di questo mondo”. I martiri hanno vissuto l’amore di Cristo, “che li ha resi pronti a dare la vita: “la gioia, la beatitudine è nel dare, nella gratuità dell’amore eis telos, fino all’estremo”. Ed è Gesù stesso, ha concluso, a chiedere “che questo amore fino al dono della vita sia la caratteristica del discepolo”. E’ un amore che implica “un impegno, quello del pastore, che lo vive e lo comunica nel suo modo di vivere e prendersi cura degli altri, del gregge a lui affidato”. Tra gli esempi di questo amore assoluto e incondizionato, fino alla fine, Spreafico ha citato l’arcivescovo del Salvador, Oscar Romero; Floribert Buana Chui, giovane Commissario “alle Avarie” alla dogana di Goma, confinante con il Ruanda, che si oppose all’immissione nel mercato di prodotti avariati, scegliendo “come cristiano” di sacrificare la propria vita piuttosto che quella degli altri; alcune suore e laici uccisi in Yemen tra il 1998 e il 2016.

Riccardi: fare memoria dei martiri

Sulla necessità di “fare memoria dei martiri”, seguendo l’invito di Gisotti nella seconda parte dei lavori odierni, è intervenuto il professor Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio e vicepresidente della Commissione per i Nuovi Martiri, istituita a luglio da Papa Francesco, con una relazione sul martirio nella storia della Chiesa, improntata al Novecento, definito “il secolo del male”, verso il quale la Chiesa – ha detto Riccardi – non aveva una “coscienza così vivida”. Eppure, questo è stato “il Novecento: una notte oscura e molto lunga! Il martirio cristiano si inserisce in questa lunga scia di violenze”, che va dal “primo olocausto, quello di 1,5 milioni di armeni cristiani nell’impero ottomano” ai gulag, alle stragi in Cina negli anni Trenta, dalla Shoah al “terrore rosso” di Menghistu in Etiopia, dal genocidio di Pol Pot fino alla pulizia etnica nella ex Jugoslavia e in Rwanda. “Si è smarrita la memoria del valore della vita e di Dio. Il secolo della democrazia è stato anche quello del terrore”. In mezzo a tutto questo, ha ricordato Riccardi, c’è il dolore “dell’ortodossia russa, compresa quella ucraina, dal 1917 per più di mezzo secolo, è stata una Chiesa di martiri come nessuna”, e la condizione estrema vissuta dal cristianesimo in Albania.

Le "rimozioni" della Chiesa

“La Chiesa conosceva tante storie di dolore, denunciava la persecuzione. Tuttavia subiva quasi un blocco nel prendere coscienza della grande e globale realtà del martirio, quasi non ne avesse gli strumenti culturali o ne temesse le conseguenze”. Viveva una sorta di rimozione, per la quale Riccardi ha menzionato in particolare tre vicende. Quella del “genocidio degli armeni nell’impero ottomano”: il primo “martire armeno cattolico”, monsignor Maloyan, ucciso nel 1915 perché aveva rifiutato di convertirsi all’Islam, verrà beatificato solo nel 2001. Poi la vicenda messicana, con migliaia di preti, religiosi e seminaristi uccisi negli anni Venti: le prime beatificazioni saranno nel 1988. Infine, quelli della guerra civile spagnola, beatificati da Giovanni Paolo II, perché negli anni precedenti “l’eventuale beatificazione dei martiri poteva risultare una consacrazione del regime”. Anche se, ha spiegato lo storico, “i martiri non chiedono vendetta o incitano allo scontro. Il martirio dei cristiani non si presta a usi ideologici o politici. Non può essere manipolato per fondare l’odio o la vendetta. Il sangue sparso non consacra una vittoria”.

Le svolte di Giovanni Paolo II e Papa Francesco

La svolta è avvenuta con il Giubileo del 2000, con la grande commemorazione ecumenica dei testimoni della fede del XX secolo, al Colosseo il 7 maggio. “La celebrazione manifestava un punto di arrivo della coscienza riguardo al martirio, come fatto contemporaneo: Giovanni Paolo II, ha ricordato ancora Riccardi, era “convinto che la Chiesa del XX secolo era quella del martirio”, tanto che “nel suo lungo pontificato, 26 anni, su 1.345 beati, ben 1.032 sono martiri e 313 confessori, su 483 santi, 402 sono martiri e 81 confessori.

Poi c’è la testimonianza di Papa Francesco, che nel 2017, ha detto nel memoriale dei nuovi martiri all’Isola di San Bartolomeo: “Se guardiamo bene, la causa di ogni persecuzione è l’odio: l’odio del principe di questo mondo verso quanti sono stati salvati e redenti da Gesù con la sua morte e con la sua risurrezione”. Dunque “una grande spinta alla riconsiderazione del martirio nella Chiesa è venuta dal mondo latino-americano”, dove si staglia la figura di monsignor Romero, beato nel 2015 e santo nel 2018. “Questa coscienza è stata portata da papa Francesco dalla sua Argentina, dove il vescovo Angelelli era stato assassinato dai militari nel 1976 nel quadro della guerra sporca condotta dai militari contro l’opposizione, la società civile e una parte della Chiesa”. Bergoglio, perciò, “in un’altra stagione rispetto a Wojtyla, ha consolidato la coscienza della Chiesa come realtà di martiri, volendo che questo tema fosse centrale nel Giubileo 2025”.

L’ecumenismo del sangue e il martirio che unisce

Il martirio, però, ha concluso Riccardi, “non si riduce solo ai martiri canonizzati. È questo il senso del lavoro della commissione nuovi martiri sia per il Giubileo del 2000 che del 2025. La loro memoria deve vivere nella Chiesa e nella storia. In questo senso sono caduti parecchi confini: tra il martirio canonizzato e non, tra quello cattolico e delle altre confessioni cristiane, tra il martirio cristiano e la sofferenza di tanti giusti. Il martirio cristiano si distingue e non vuole assorbire altre storie di morti violente, ma in qualche misura è contiguo. La sofferenza comune dei martiri delle varie Chiese cristiane, spesso la preghiera comune, ha messo in luce quello che papa Francesco chiama l’ecumenismo del sangue”. Pertanto, “il martirio può essere un punto di partenza di costruzione dell’unità. Il martirio è qualcosa che unisce, in un tempo in cui le relazioni ecumeniche perdono di forza e di passione o fanno passi indietro”.

Prossimi giorni di convegno

Il convegno, terzo appuntamento della nuova serie di recente avviata con il simposio su «La santità oggi» (ottobre 2022) e quello su la «Dimensione comunitaria della santità» (novembre 2023), vedrà martedì 12 l’approfondimento del tema dell’odio contro la fede cristiana nel mondo di oggi nei vari contesti geografici e culturali, con un focus anche sulle altre confessioni; mentre mercoledì verrà affrontata l’offerta della vita, con la rilettura di alcune esperienze di santità viste alla luce di questa fattispecie e da diverse angolature: dall’antropologia contemporanea alla storia della santità, fino agli aspetti teologici e procedurali di questa nuova forma santità

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11 novembre 2024, 19:52