Giubileo delle carceri, consegnate le "lampade della speranza" ai cappellani
Roberta Barbi ed Edoardo Giribaldi - Città del Vaticano
"Comprendere con il cuore" per accompagnare chi affronta le tempeste e le "notti dell’esistenza". Un buio metaforico che spesso si concretizza nei profondi silenzi delle celle di chi vive recluso in un penitenziario, da rischiarare con la "luce" dell’Anno Santo. Sotto questi auspici si è aperto il "Giubileo della speranza nelle carceri" italiane, con la celebrazione presieduta stamattina, 9 gennaio, nella basilica di San Pietro dal cardinale arciprete Mauro Gambetti, alla presenza dell’ispettore generale dei cappellani negli istituti di pena d’Italia, don Raffaele Grimaldi, insieme ad altri quindici delegati regionali e alcuni membri della commissione per il Giubileo dei detenuti.
Le giare realizzate dai detenuti di Salerno
Durante il rito il porporato ha benedetto le "lampade della speranza", giare in ceramica recanti il simbolo del Giubileo 2025, realizzate dai reclusi nella casa circondariale di Salerno. Simboli di luce e rinascita, Gambetti le ha consegnate ai delegati regionali, che in questo mese di gennaio le porteranno in tutti gli istituti di pena. La celebrazione è stata preceduta, ieri, dalla presentazione delle attività per il "Giubileo della speranza nelle carceri" presso la Casa circondariale di Regina Coeli, a Roma, con la partecipazione di numerose autorità civili.
Affrontare situazioni "che non avremmo voluto"
All’omelia, il cardinale arciprete ha offerto spunti di riflessione ispirati dal passo del Vangelo di Marco in cui Gesù raggiunge i discepoli camminando sulle acque. In particolare si è soffermato sul verbo utilizzato in apertura di Vangelo: Gesù "ordinò ai suoi discepoli di salire sulla barca", mentre lui saliva sul monte a pregare. Una "forzatura", per chi, probabilmente, avrebbe voluto sostare e "godersi il successo" della precedente moltiplicazione dei pani e dei pesci. "Questo succede a tutti", ha spiegato il celebrante, "quando siamo costretti ad affrontare situazioni di vita che non avremmo voluto". Le figure dei discepoli vengono quindi paragonate, ritornando ai giorni nostri, alle persone recluse nelle carceri di tutto il mondo. Esse vivono "un senso di costrizione, di oppressione", che i cappellani dei vari istituti penitenziari hanno il compito di alleviare, assumendo - chiudendo il cerchio della metafora - i panni di Gesù.
"Il ventaglio dei sentimenti va attraversato tutto"
Gambetti ha poi riflettuto sulla situazione dei discepoli, costretti in una barca in mezzo al mare, per di più agitato dal vento. "Non possono fare altro che cercare di andare avanti verso un approdo sicuro che appare ancora lontano". Una condizione, quella di navigare controvento, che si riflette nelle limitazioni a cui tanti carcerati sono sottoposti. Un concentrato "di fragilità e fatica" che pone "con le spalle al muro", costringendo a fare "i conti con ciò che sei e porti nel cuore". Tra i sentimenti prevalenti, nel cuore dei carcerati, si può trovare la "paura", declinata all’avvenire. Tuttavia, ha rilanciato il porporato, "il ventaglio dei sentimenti va attraversato tutto" e questo mentre Gesù stesso può apparire lontano, "sul monte a pregare". Il cardinale francescano convenutale ha notato in proposito il cuore "indurito" dei seguaci di Gesù dell’epoca, che ancora "non avevano compreso il miracolo dei pani". Un episodio che rappresenta "uno snodo" cruciale nel Vangelo di Marco. "Da questo punto, egli insisterà sul comprendere, e comprendere con il cuore". Un "orizzonte" su cui chiunque presta servizio - non solo alle persone in carcere ma "a chiunque" - deve fissare lo sguardo.
"Tempo" e "stimoli" culturali e psicologici
Un "percorso" che "la Provvidenza invita a fare", specialmente "in questo tempo così disorientante e difficile". Richiamando la recente enciclica di Papa Francesco, Dilexit nos, il cardinale arciprete ha esortato perciò a "ritornare al cuore" e ancora a "comprendere con il cuore", in quanto "sede dell'intelligenza, della volontà e degli affetti", in rappresentanza del "centro" intero della persona. Esortazione che diventa ancora più necessaria per chi è chiamato a confrontarsi con i detenuti, "che possono trovare la libertà solo se arrivano alle profondità di sé stessi". Così, ha detto Gambetti, si attraverseranno "le notti dell'esistenza". Per farlo serve "tempo", ma anche una varietà di "stimoli" che spaziano da quelli di carattere culturale a quelli di natura psicologica. Il risultato finale, e auspicato, è che "il cuore" dei carcerati si riveli alla persona".
Sciogliere i cuori, dominando "le potenze che li agitano"
Ai cappellani Gambetti ha quindi rivolto l’invito ad "imitare Gesù nella preghiera", per "mettersi nei suoi panni" e lasciare che ad agire sia "lo spirito del Padre". Per sciogliere i cuori, ha aggiunto, "al punto di dominare le potenze" che li agitano. "Solo se nel nostro cuore riposa Gesù, saremo portatori di pace e di luce". Questo, ha concluso il cardinale, è "il segreto racchiuso" nel miracolo dei pani e dei pesci "che i discepoli non avevano compreso".
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