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Sant'Onofrio, "con tutta Roma davanti agli occhi”

La chiesa-convento si affaccia dall’alto del Gianicolo sul Tevere, protetto dal silenzio. In questo luogo, oltre a capolavori artistici si trovano la tomba e la quercia del Tasso. San Filippo Neri veniva spesso qui e “tra liete grida si faceva coi fanciulli fanciullo, sapientemente”. Nel complesso c’è anche un affresco poco conosciuto di una Vergine con il Bambino il cui enigma del suo autore attirò in passato l’attenzione di poeti, studiosi e viaggiatori, come Stendhal

Maria Milvia Morciano – Città del Vaticano

In una lettera al fratello Carlo, Giacomo Leopardi scrive il 15 febbraio del 1823: “…fui a visitare il sepolcro del Tasso e ci piansi. Questo è il primo e l’unico piacere che ho provato a Roma”. Certo, la Capitale non poteva essere congeniale al poeta, ma in questo luogo lontano dal clamore cittadino, sul Gianicolo, un vero e proprio eremo, accanto al grande autore della Gerusalemme liberata che era venuto a concludere i suoi giorni nel convento e a morirvi il 25 aprile 1525, il poeta dell’Infinito poté trovare consolazione e provare empatia.

Il complesso di Sant'Onofrio
Il complesso di Sant'Onofrio


Con uno spirito sicuramente più sereno, di qui passarono anche Goethe e Chateaubriand, quest’ultimo console a Roma tra il 1828 e il 1829, come attestato dalle lapidi moderne. In quella dedicata al diplomatico francese riporta: “Se avrò la fortuna di finire i miei giorni qui, ho fatto in modo di avere una stanza a Sant’Onofrio, accanto a quella in cui morì Tasso... In uno dei luoghi più belli della terra, tra aranci e lecci, con tutta Roma davanti agli occhi...”.

Via di Sant'Onofrio verso il Tevere
Via di Sant'Onofrio verso il Tevere

Un eremo sul Gianicolo lontano dal clamore cittadino

Il complesso si trova proprio accanto all’Ospedale pediatrico Bambin Gesù e ci si arriva a piedi tramite una strada in salita dal Lungotevere o da una scalinata. Nicola da Forca Palena e il beato Pietro Gambacorta fondarono la congregazione dei poveri eremiti di San Girolamo nel 1419 e in origine, quindi, fu un romitorio dedicato a sant’Onofrio anacoreta su cui furono poi, nel 1439, costruiti la chiesa e il convento. Oggi Sant’Onofrio è retto dai frati francescani dell'Atonement, che qui hanno la sede della Procura generale.

Presa di possesso del cardinale Pierbattista Pizzaballa del titolo di Sant'Onofrio
Presa di possesso del cardinale Pierbattista Pizzaballa del titolo di Sant'Onofrio

È la chiesa madre dell'Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme e vi insiste il titolo cardinalizio di Sant'Onofrio, il cui titolare è, dal 30 settembre 2023, il patriarca di Gerusalemme dei Latini, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, Ofm.

Una delle lunette affrescate in occasione del Giubileo del 1600 dal Cavalier d’Arpino con le Storie di sant’Onofrio nel chiostro del convento
Una delle lunette affrescate in occasione del Giubileo del 1600 dal Cavalier d’Arpino con le Storie di sant’Onofrio nel chiostro del convento

Importanti interventi di restauro

I lavori di restauro condotti dagli architetti vaticani stanno disvelando le grandi meraviglie e i tesori d’arte del complesso, rendendo giustizia a un luogo tanto importante per l’arte e la fede romane, ma un po’ dimenticato.

Epitaffio sulla tomba del Tasso
Epitaffio sulla tomba del Tasso

Un tesoro di memorie e di arte

Intorno al chiostro, che è anche la parte più antica, si sono aggregati via via il monastero e la chiesa, con un fronte porticato e una cappella dedicata alla Vergine del Rosario a chiudere il sagrato. Accanto, poco lontano, si trovava la quercia del Tasso, il cui relitto è conservato nel Museo tassiano, e l’area dove san Filippo Neri veniva con i suoi ragazzi per “pii intrattenimenti”. La Chiesa, in particolare, conserva tra le altre opere del Pinturicchio, del Peruzzi e del Carracci; nel chiostro del Cavalier Arpino e Claudio Ridolfi.

La lunetta con l'affresco della Vergine, il Bambino e il donatore. Ai piedi i resti della quercia del Tasso
La lunetta con l'affresco della Vergine, il Bambino e il donatore. Ai piedi i resti della quercia del Tasso

La Vergine col Bambino

Tra le opere ve n’è una poco conosciuta, un affresco, che un tempo si trovava in una lunetta all'ingresso del chiostro e poi fu trasportata al primo piano. Attualmente sovrasta una porta tra gli ambienti adibiti a museo dedicati a Torquato Tasso. Sul fondo, a imitazione di un mosaico monocromo dorato, si stagliano, quasi come ritagliate, le figure della Madonna con Bambino e donatore. Mentre l’uomo, di profilo con il cappello tenuto tra le mani in segno di rispetto, rimane rigido nel suo profilo un po’ tozzo a mezzo busto, i gesti della Vergine e del Figlio rimandano in modo inequivocabile alla sfera di Leonardo. La Vergine ha il volto reclinato e aperto in un dolce sorriso, il Figlio tutto proteso a benedire l’uomo inginocchiato. L’affresco è racchiuso tra l’architrave, decorato a girali e foglie di acanto con altri motivi classici, e il giro dell’arco ravvivato da un rilievo di tipo robbiano con pigne e foglie uscenti da anfore.

Nel difetto, la perfezione dell'amore

Per tornare ai viaggiatori illustri che passarono di qui, citiamo lo scrittore francese Stendhal che proprio su questo affresco scrisse alcune righe. L’autore de La Chartreuse de Parme definisce Sant’Onofrio “uno dei più bei posti per morirvi” e a margine delle Promenades dans Rome, a proposito dell’affresco leonardesco, scrive che questa Madonna ha il difetto di avere la fronte “troppo larga di un dito per sembrare bella secondo le leggi di oggi. Questo le conferisce una profonda riflessione” E conclude che proprio “questo difetto di Leonardo a me piace”. E qui c’è un chiaro rimando dello scrittore alla sua teoria della “cristallizzazione” esplicata nel suo De l'amour, secondo cui l’amore scaturisce più dalla constatazione di un difetto, come una piccola macchia lasciata dal vaiolo sulla guancia dell’amata, che da un'algida perfezione.

Vergine col Bambino e donatore, particolare
Vergine col Bambino e donatore, particolare

Un’attribuzione difficile

Tornando alla Vergine con Bambino e donatore, l’opera è stata a lungo attribuita a Leonardo, pur già con qualche riserva, ad esempio, nell’Ottocento, da parte di Salvatore Betti, esponente di spicco dell’Accademia di San Luca e della Pontificia accademia romana di archeologia, il quale scrisse che “lo stile di tutta l’opera è certamente lodevole, ma non di quella grandiosità che fu propria di Leonardo”, dicendosi di questo convinto, inoltre, dal silenzio del Vasari che non ne fa cenno nelle sue Vite.

Foto della lunetta dall'Archivio Zeri degli anni 1855-1920
Foto della lunetta dall'Archivio Zeri degli anni 1855-1920


La storia dell’attribuzione dell’opera è dunque complessa e si incentra prima sull’effettiva datazione – tra il 1485 e il 1487 o tra il 1513 e il 1515 - fintanto che si credeva Leonardo il suo autore; in seguito, la traccia seguita è stata quella dell’identificazione del personaggio donatore. Si è pensato che si trattasse di Francesco Cabañas, lo stesso canonico spagnolo, legato a Papa Alessandro VI, raffigurato nell’affresco del Peruzzi dell’abside della chiesa, ma senza giungere a conclusioni convincenti. Comunque, per quello che riguarda l’autore del dipinto, gli ultimi studi propendono nell’individuarlo convincentemente nella sfera della cerchia leonardesca, ovvero in Cesare da Sesto che fu a Roma negli anni tra il 1508 e l’inizio del 1512, artista milanese che lavorò con Peruzzi e conobbe Raffaello. Al momento mancano documenti stringenti che possano dare certezza. Infatti il dipinto è stato attribuito, ma con ragioni più deboli, anche a qualche artista contemporaneo del sud d’Italia o a un altro allievo di Leonardo, Giovanni Antonio Boltraffio, la cui presenza a Roma non è però testimoniata da opere o documenti.

Raffaello Sanzio, Volta della Stanza della Segnatura, 1508-1511 Governatorato dello S.C.V. – Direzione dei Musei
Raffaello Sanzio, Volta della Stanza della Segnatura, 1508-1511 Governatorato dello S.C.V. – Direzione dei Musei

Un'imitazione di Raffaello

La paternità dell’opera attribuita a Cesare da Sesto, quindi, deriverebbe da confronti stilistici con le altre sue opere e dalla sua documentata presenza a Roma, dove lavorò in Vaticano proprio mentre Raffaello dipingeva la Stanza della Segnatura che, sulle volte, riprese e rinfrescò l’antico uso del finto mosaico dorato. Un uso che piacque all’artista lombardo e lo adottò per la sua lunetta di Sant’Onofrio.

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03 gennaio 2025, 11:45