Gallagher in Ungheria: mettere la dignità umana al centro delle trattative di pace
Isabella H. de Carvalho – Città del Vaticano
“La Santa Sede rimane profondamente impegnata a promuovere la pace, la giustizia e la concordia tra le nazioni". È quanto ha affermato monsignor Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali, citando le “ostilità armate” che si osservano nel mondo di oggi, come “la guerra tra Russia e Ucraina, il conflitto tra Israele e Hamas, le lotte e le turbolenze nel Medio Oriente” o ancora “la violenza persistente nei territori dell'Africa”. L'arcivescovo, in viaggio in Ungheria dal 27 al 30 marzo, è intervenuto oggi, 28 marzo, alla conferenza annuale degli ambasciatori del Paese e ha evidenziato il ruolo importante che le religioni possono svolgere nelle sfide geopolitiche contemporanee. Nel suo discorso, il diplomatico vaticano ha rimarcato che è proprio l’impegno di mettere “la dignità umana al centro di tutte le trattative e soluzioni” diplomatiche a rendere le religioni e i suoi rappresentanti importanti attori nei processi e nei dialoghi per costruire la pace.
Il concetto religioso di pace: la dignità umana
L’arcivescovo Gallagher ha sottolineato che il concetto cattolico di pace, che è alla base dello sforzo diplomatico della Santa Sede, non è solo “una necessità politica” o “l’assenza della guerra”, ma “un dovere morale e un riflesso della volontà di Dio”. È “la presenza di giustizia, carità e del giusto ordine", spiega, che chiama ad una “conversione dei cuori” e al “riconoscimento della dignità di ogni essere umano” e del suo sviluppo integrale. È una pace che, quindi, si basa sulla “riconciliazione con Dio e tra ogni persona” e “per estensione, tra individui, comunità, società e, alla fine, tra nazioni e Stati”. “La pace è un dono di Dio, fondato sulla verità e sull'amore, e si realizza attraverso la cooperazione umana con la grazia divina”, aggiunge il segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali.
L’importanza del dialogo interreligioso
Nel suo intervento, il presule spiega che questi valori di “verità, giustizia, carità e libertà”, che sono alla base della missione della Santa Sede, non sono “esclusivi al cristianesimo, ma risuonano in tutte le culture e tradizioni religiose” e sono “fondamentalmente universali”. Questo rende il dialogo interreligioso non “facoltativo”, ma anzi “uno strumento essenziale per risolvere conflitti che hanno profonde dimensioni storiche e morali”. La pace deve “fare appello a qualcosa di più profondo: le convinzioni morali ed etiche condivise presenti in ogni tradizione di fede e, soprattutto, la natura stessa della persona umana”, insiste. L’arcivescovo Gallagher cita ad esempio come la Santa Sede sia in costante dialogo con le istituzioni del mondo islamico. O anche l’impegno personale del Papa nel promuovere percorsi di pace, firmando ad esempio il Documento sulla Fratellanza Umana con il grande imam di Al-Azhar, Ahmed Al-Tayyib, nel 2019. “Francesco ha posto una rinnovata enfasi sulla costruzione della pace come impegno pratico e quotidiano”, sottolinea, aggiungendo che “una pace sostenibile, giusta e duratura richiede un impegno più profondo, che integri non solo la diplomazia, ma anche gli imperativi morali ed etici che la religione sostiene da tempo”. “I trattati politici di pace possono porre fine alle guerre, ma senza un fondamento morale spesso non riescono a sanare le divisioni" ribadisce il presule.
La diplomazia religiosa è essenziale oggi
“Molti conflitti, a prescindere dalle loro cause immediate, hanno una dimensione religiosa”, osserva l’arcivescovo, citando, ad esempio, il conflitto tra Israele e Palestina, o luoghi come la Siria, l’Iraq, o l’Ucraina, in cui, nonostante i fattori politici siano centrali, le divisioni religiose influenzano anche le diverse parti. Nella storia, e ancora delle volte oggi, la religione è stata “strumentalizzata per fini violenti” o per “giustificare conflitti”, riconosce Gallagher. Tuttavia, attualmente è importante che il mondo diplomatico riconosca che i rappresentanti religiosi possono essere invece “uno strumento potente per la riconciliazione e l’unità”, perché possono trascendere questioni diplomatiche e offrire un tipo di dialogo che il “pragmatismo politico da solo non può raggiungere”. “Il potere della diplomazia religiosa non risiede nella leva politica o militare che può possedere, ma nella sua capacità di rivolgersi ai cuori e alle menti degli individui”, spiega Gallagher, che ricorda il ruolo di mediazione svolto dalla Santa Sede nel riavvicinamento tra Stati Uniti e Cuba, culminato nello storico accordo storico del 2014. La diplomazia religiosa aiuta a “colmare” le lacune che ci possono essere nelle trattative “offrendo un dialogo radicato in valori umani condivisi”. “La pace deve essere costruita sulla fraternità, non solo su accordi politici, militari o anche economici”, insiste il presule, specificando che le ideologie o strategie diplomatiche possono cambiare nel tempo, ma i principi morali come verità, giustizia e riconciliazione perdurano.
I valori dell’Ungheria
Infine Gallagher ha parlato della storia dell’Ungheria che, ispirata dalla visione del re Santo Stefano I, ha incarnato nella sua costituzione “principi di unità, giustizia e coesistenza pacifica”. Il Paese "cerca di dimostrare che la costruzione della pace non è un ideale astratto, ma una realtà vissuta”, radicata “nella protezione della dignità umana e nel rispetto della vita umana, nonché nella promozione di una società in cui possano coesistere diverse tradizioni culturali e religiose e in cui ci si prenda cura dei più vulnerabili”, ha concluso il segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali.
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