Michel Roy, Caritas: attaccare i migranti non risolve il problema
Alessandro Gisotti – Città del Vaticano
La comunità internazionale segue con apprensione la sorte dei 629 profughi sulla nave “Aquarius” che attendono di approdare in un porto, dopo che sia Malta che l’Italia hanno negato l’autorizzazione allo sbarco. Proprio mentre si inaspriscono le politiche verso i migranti in molti Paesi europei e non solo, sta per prendere il via la “Settimana globale di azione” della campagna Share the Journey (“Condividiamo il viaggio”) promossa da Caritas Internationalis. L’iniziativa – dal 17 al 24 giugno - vuole essere un’occasione per dare una testimonianza concreta della solidarietà verso i migranti. In particolare, la Settimana di Azione si contraddistinguerà per la condivisione di pasti – nelle mense Caritas, nelle parrocchie e non solo – con migranti e rifugiati. La campagna Share the Journey è stata avviata da Papa Francesco il 27 settembre dell’anno scorso. “Vi invitiamo a sedervi assieme a migranti e rifugiati, nella vostra comunità – ha affermato il cardinale Luis Antonio Tagle, presidente di Caritas Internationalis – vi invitiamo a guardarli negli occhi, ascoltare le loro storie e condividere le vostre”. Per conoscere più concretamente quali obiettivi si vogliono raggiungere con questa iniziativa, Vatican News ha intervistato Michel Roy, segretario generale di Caritas Internationalis:
R. – La Settimana globale di azione si svolge con riferimento alla Giornata mondiale del rifugiato che ricorre il 20 giugno per rinforzare questo movimento volto ad incontrare i migranti. Papa Francesco ci ha domandato di coltivare una "cultura dell’incontro". Con la campagna Share the Journey vogliamo dire questo: in primo luogo, i migranti sono persone. Secondo, sono persone che hanno sofferto tanto e soffrono ancora ed hanno bisogno di incontrare persone con occhi, mente e cuore aperti. La Settimana di azione la organizzeremo intorno al tema del pasto, del mangiare assieme. Condividere un pasto è un’opportunità bella: un pasto si può preparare insieme, e c’è l’opportunità di dialogare, discutere e sentire di più della storia delle persone.
D. – Sempre più governi in molti Paesi stanno restringendo le politiche sulla migrazione. Una campagna come “Share the Journey”, cosa vuole dire a questi leader politici?
R. – Che attaccare i migranti è una “soluzione” semplice, ma non è la soluzione vera ai problemi. Ci sono problemi creati dalla globalizzazione, però i migranti sono le conseguenze dirette di questi problemi. Si muovono perché non possono più vivere a casa loro! Sono migrazioni forzate: non partono per turismo. Allora, i migranti non possono essere considerati persone che hanno la colpa per questi problemi: è il contrario! Quello che domandiamo attraverso la campagna è: “Per favore, siano aperte le porte e siano aperte le menti e i cuori”. Anche ai politici chiediamo di non “usare” i migranti come se fossero dei problemi. Ciò che domandiamo ai politici è, per prima cosa, di portare avanti politiche di accoglienza, che siano umane. Come seconda cosa, di lavorare alla risoluzione di problemi che fanno sì che la gente fugga dalla propria terra.
D. – “Share the Journey” vuole anche aiutare la gente a non avere paura dei migranti…
R. – Esattamente! Sappiamo tutti che mangiare insieme è una opportunità per l’incontro. E allora cambia la visione. Questo è fondamentale oggi: abbiamo tutti bisogno di una società più umana e non meno umana. E non dobbiamo rifiutare umanità a questa gente che viene. L’occasione di organizzare un pasto – e ognuno può farlo – è importantissima: creare l’opportunità di incontrare le persone, che per molti rappresentano una paura, quando sono loro che, invece, hanno tanta paura.
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