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Afghanistan: p. Scalese, un Natale di testimonianza per i cristiani

Celebrare il Natale in un Paese da decenni in guerra: la testimonianza di padre Giovanni Scalese, superiore ecclesiastico della missione cattolica in Afghanistan

Giada Aquilino - Città del Vaticano

Un “piccolo gregge” con la missione di offrire la “testimonianza” cristiana in un Paese in guerra da decenni, l’Afghanistan: così padre Giovanni Scalese, superiore ecclesiastico della missione cattolica nel Paese asiatico, presenta la piccola comunità locale che celebra in queste ore la nascita di Gesù.

Una comunità di stranieri

“Il Natale in Afghanistan è una festa un po’ particolare, non è condivisa dalla popolazione locale, che è nella totalità musulmana. Quindi è una festa che riguarda esclusivamente i cristiani, che sono solo stranieri”, spiega il barnabita raggiunto telefonicamente a Kabul da Vatican News. “Molti di coloro che fanno parte della nostra comunità cristiana e che frequentano regolarmente la Chiesa - racconta - in queste occasioni tornano a casa per celebrare la festa con le loro famiglie; però ci sono altri che rimangono per tanti motivi e che in queste occasioni partecipano alle celebrazioni. Per noi è molto importante, perché proprio in questi momenti si prende maggiore consapevolezza della propria identità, di ciò che siamo. Il fatto di celebrare la nascita di Cristo significa per noi ricordarci che siamo cristiani e quindi anche quel dovere di dare una testimonianza” (Ascolta l'intervista a padre Scalese).

La realtà religiosa

L’Afghanistan è una Repubblica islamica, per gli stranieri “non ci sono limitazioni” nell’esercitare la propria religione, “per gli afghani” la situazione è diversa. “In questo Paese - aggiunge padre Scalese - vige la legge islamica. E quindi, anche se la Costituzione riconosce la libertà religiosa, di fatto questa libertà è molto limitata. Ci sono poche minoranze religiose, come quelle induista o sikh, e non esiste di fatto una minoranza religiosa cristiana: è semplicemente un piccolo gregge, la cui parte più significativa - evidenzia - è costituita dai religiosi che risiedono qui in maniera più stabile” rispetto ai rappresentanti del corpo diplomatico, ai militari, agli operatori di organizzazioni internazionali o associazioni umanitarie “che si fermano nel Paese per brevi periodi”.

Prevale ancora l’insicurezza

Il Paese è in guerra da decenni. Gli Stati Uniti hanno annunciato il dimezzamento delle loro truppe. La Nato al momento prosegue il proprio impegno. I talebani controllano un’ampia parte del territorio. E l’Afghanistan, osserva il barnabita, “è un Paese ancora molto insicuro, gli attentati proseguono, i morti continuano ad esserci, si vive nella paura”. Tanto che Papa Francesco ha parlato di “disumana violenza”, auspicando di continuare a lavorare per “costruire la pace”. Padre Scalese assicura comunque di “percepire un certo ottimismo”. “In questo ultimo periodo - evidenzia - ci sono stati vari incontri a livello nazionale e internazionale: ad alcuni di questi, hanno partecipato anche i talebani, che sembrerebbero animati pure loro da una volontà di porre fine a questa situazione che ormai si trascina da 17 anni. Gli americani - prosegue - si è capito che vogliono a poco a poco disimpegnarsi e così anche gli altri Paesi occidentali. Quindi si spera che si possa arrivare ad una soluzione pacifica, con un accordo”.

Le conquiste in senso democratico

La popolazione è stanca “di questa guerra infinita”, nonostante le “conquiste democratiche che pure ci sono state negli anni”. Padre Scalese cita come esempio “le ultime elezioni che, nonostante i limiti oggettivi, sono un segno di una iniziale maturità democratica del popolo afghano”. Il riferimento è alle parlamentari di ottobre, per le quali si sono susseguite accuse di frodi e irregolarità in varie zone del Paese, in un momento in cui crescono pure i timori di ulteriori infiltrazioni terroristiche dalla Siria. Nel caso di un ritiro definitivo delle truppe internazionali dall’Afghanistan, padre Scalese non vede comunque il rischio di un ritorno “alla situazione precedente questa lunghissima guerra, cioè al periodo talebano che era molto chiuso, senza alcun tipo di libertà”.

L’impegno della piccola Chiesa locale

Le tre comunità religiose presenti sul territorio, “i gesuiti, le suore di Madre Teresa e una realtà inter-congregazionale”, rimangono al fianco della popolazione. “I gesuiti - sottolinea il religioso - sono impegnati in campo educativo. Le suore di Madre Teresa hanno un orfanotrofio per bambini abbandonati e assistono qualche centinaio di famiglie bisognose. La comunità Pbk - Pro bambini di Kabul ha una piccola scuola” per piccoli con disabilità psichiche, per introdurli all’istruzione pubblica. “Sono dei piccoli ma significativi segni - conclude padre Scalese - della presenza della Chiesa in questa realtà”.

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24 dicembre 2018, 13:31