Messaggio Creato. Caritas: serve un patto globale per l'ambiente
Benedetta Capelli - Città del Vaticano
“Dio amante della vita ci dia il coraggio di operare per il bene senza aspettare che siano altri ad iniziare, senza aspettare che sia troppo tardi”. Si conclude così il Messaggio di Papa Francesco per la quinta Giornata mondiale di preghiera per la cura del Creato, ricordata anche all'Angelus e via Twitter. Si tratta di una chiamata alla responsabilità, un invito a non restare fermi dinanzi ai danni che l’uomo ha compiuto sull’ambiente. Tra le ferite più gravi inferte al Creato c’è quella della deforestazione, alla quale Caritas Italiana ha dedicato un rapporto, chiamando il fenomeno “emergenza silenziosa”.
Le foreste fragili
Nel documento si ricorda che le foreste preservano l’80% della biodiversità del pianeta, accogliendo 300 milioni di persone tra cui 60 milioni di indigeni, offrendo il 20% dell’ossigeno della terra, prevenendo il surriscaldamento globale, fornendo il 20% dell’acqua dolce del mondo, reintegrando le falde acquifere. Sono poi riserva di alimenti e risorse rinnovabili attorno alle quali si creano posti di lavoro. Ogni anno però si perdono 7 milioni di ettari di foreste vergini, un’area simile al Portogallo, a causa – nell’80% dei casi – dell’agricoltura industriale.
Focus sull’Amazzonia
La foresta pluviale più grande al mondo è quella tropicale dell’Amazzonia. Caritas ha dedicato un approfondimento, in vista del Sinodo di ottobre, al polmone della terra che si estende su 9 Paesi ed è abitato da 34 milioni di persone, tre milioni dei quali sono rappresentati da 390 gruppi etnici solitamente discriminati e dimenticati, espressione della “cultura dello scarto” di cui spesso parla Papa Francesco. Nel rapporto si mette in luce come il Brasile sia responsabile della metà della deforestazione dell’Amazzonia. All’interno del Paese vivono 310 mila indigeni di 160 etnie diverse che parlano 195 differenti lingue; 280 mila vivono nelle riserve che costituiscono il 20% dell’intero territorio dell’Amazzonia brasiliana. Nelle zone dove il disboscamento continua, gli indigeni sono stati costretti a lasciare le loro terre andando incontro ad emarginazione e sottomissione, “l’oltraggio scandaloso”, come lo definì Giovanni Paolo II, iniziato con l’occupazione coloniale del Sud America.
Beccegato: imparare dalla saggezza storica degli indigeni
Nel messaggio per la Giornata Papa Francesco esorta ad “assumere stili di vita più rispettosi, abbandonando la dipendenza dai combustili fossili e non dimenticando le popolazioni indigene, la cui saggezza può insegnarci a vivere meglio il rapporto con l’ambiente”. Il commento di Paolo Beccegato, vice direttore di Caritas Italiana:
R. – Le grandi questioni internazionali partono dai nostri stili di vita: dal modo di pensare, dal modo di comportarsi noi creiamo opinione pubblica, creiamo come consumatori una domanda e laddove siamo responsabili e consapevoli di ciò che indirettamente questo comporta, ecco che diventiamo in qualche modo il traino di uno sviluppo diverso. E qui c’è il secondo punto: i combustibili fossili. Nella scelta - per esempio - dei combustibili indirettamente noi stiamo facendo anche una scelta importante a livello ambientale. Il terzo aspetto che colgo è questa saggezza delle popolazioni indigene: anche nel dossier che abbiamo recentemente pubblicato noi facciamo vedere che non solo in Amazzonia, ma anche in altre situazioni - penso per esempio alle popolazioni indigene dell’Australia: molti governi si sono resi conto che quando sono affidate a loro le loro terre originarie, il tasso di deforestazione diminuisce notevolmente. Quindi vi è una saggezza storica di queste popolazioni, da cui veramente dobbiamo imparare. Ed ecco l’ultimo punto: l’ambiente - cioè la nostra casa comune - fa il paio con l’attenzione sociale, con l’attenzione economica, cioè è la Laudato si’, il fatto che questi aspetti non possono più essere tenuti separati come se ci fosse uno che potesse essere scollegato dagli altri.
Sui combustibili fossili, Caritas ha deciso di impegnarsi nel disinvestimento totale: cosa significa, in concreto?
R. – Abbiamo aderito a questa campagna che fa parte di un Movimento globale per il clima, che comporta una scelta di fondo di non investire - ovviamente, qui si parla di azioni, obbligazioni, quindi scelte di carattere strettamente economico-finanziario - in aziende che lavorano in tal senso e premiare quelle virtuose. In realtà, da moltissimi anni noi non abbiamo azioni o obbligazioni, cioè il nostro portafogli è molto sobrio, ci atteniamo da moltissimi anni ad alcuni criteri etici. Quindi, per noi non comporta un cambiamento; semplicemente, abbiamo aderito a questa campagna che oltre alle scelte concrete che già facciamo vuole anche mettere una sorta di pressione, una advocacy verso i leader mondiali per fare il paio tra le scelte dal passo e le scelte dall’alto.
Nel dossier sulla deforestazione come emergenza silenziosa, avete anche proposto un focus sull’Amazzonia in vista del Sinodo di ottobre. I numeri ci dicono che è urgente intervenire perché solo nell’ultimo anno l’area deforestata in Amazzonia è stata pari a 762,3 km quadrati. I numeri sono proprio il segnale che è necessario cambiare rotta …
R. – Sì: laddove sia va ad analizzare perché si deforesta, si vede che circa il 95 per cento delle aree deforestate poi finiscono per essere adibite a settore agricolo e di allevamento, tutte produzioni che nella stragrande maggioranza poi finiscono sulle tavole occidentali, cinesi, australiane. Quindi, indirettamente diventiamo corresponsabili della deforestazione. Ecco perché è una questione di saggezza, come diceva il Papa. Cioè, noi dobbiamo capire quanto implicitamente, indirettamente le nostre scelte vanno a fare. La scelta e le responsabilità locali sono evidenti; gli incendi vanno domati, le aree non vanno deforestate. Ma siccome il fine ultimo, poi, nella maggioranza dei casi è l’esportazione, ecco che serve un patto globale per bloccare la deforestazione con tutte le sue tragiche conseguenze.
C’è un passaggio molto interessante nel messaggio di Papa Francesco, nel quale lui scrive che siamo stati pensati e voluti al centro di una rete della vita, costituita da milioni di specie congiunte al Creatore. Allora è necessario, per lui, riscoprire la vocazione dei figli di Dio, dei fratelli tra di noi, dei custodi del Creato…
R. – Possiamo collegarci anche alla Giornata della Cei sulla custodia del Creato, che quest’anno va molto a insistere sul tema della biodiversità. L’uomo e la sua casa, e quindi il sociale e l’ambientale sono un tutt’uno: ecco perché anche nell’agenda per lo sviluppo sostenibile del 2030, laddove si vedono tutte queste intersezioni e si va ad esaminare le correlazioni di questi aspetti, l’accento fondamentale è proprio lì, cioè sul fatto che non debbano essere tenuti separati perché altrimenti se otteniamo un obiettivo ma ne perdiamo un altro di fatto stiamo compromettendo tutto.
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