Coronavirus, gli anziani e il rischio di cancellare la memoria del Paese
Benedetta Capelli – Città del Vaticano
Una paura che si legge negli occhi smarriti degli anziani. Occhi che raccontano il timore per una vita che si spegne, che in altri momenti sarebbe naturale, ma che oggi “in questi giorni di tanta sofferenza” – ha detto il Papa a Santa Marta – ha un non so che di ingiusto e tragico. E’ impossibile stringere la mano di chi si è amato tutta la vita, regalare una parola da conservare nel cuore. Nulla di tutto questo si può vivere.
Le radici di una società
La cronaca ci offre notizie di Case di riposo in isolamento, di strutture dove il contagio del coronavirus non si è fermato, di Paesi isolati proprio a causa di questo, come accaduto a Nerola, un Comune alle porte di Roma. Qui in una residenza per anziani si sono registrati oltre 70 casi positivi. La morte degli anziani non può essere archiviata con facilità, farlo sarebbe l’effetto della “cultura dello scarto” che Papa Francesco ci ha insegnato a conoscere. La loro scomparsa è perdita di saggezza, di memoria, di percorsi che possono ancora dire molto, di un dialogo che si interrompe con i giovani. Sono loro che, in molti casi, hanno pagato con la pensione le bollette dei figli che altrimenti non sarebbero state pagate, sono i nonni i compagni di gioco per i nipoti, una forza che ha permesso ai figli anche di risparmiare i soldi per le baby sitter, una spesa che avrebbe ridotto gli stipendi all’osso:
Don Alessio: dalla quarantena vivo la morte di tanti innocenti
Sono 20 le vittime registrate nel Centro Don Orione di Bergamo, una struttura che conta 222 posti in Rsa, Residenza Sanitaria Assistenziale, 24 posti destinati a chi è in stato comatoso vegetativo e 60 posti, oggi liberati, per la riabilitazione. Don Alessio Cappelli è il Direttore è in isolamento perché positivo al coronavirus. Per lui gli anziani sono la sua vita, i destinatari del suo ministero sacerdotale, compagni e amici che in molti casi ha dovuto salutare dalla finestra, benedicendoli da lontano:
R. - Quando tutto era calmo e si stava bene, gli anziani vedevano gli infermieri nel loro abito normale. E quindi ogni giorno c’era il saluto, l’abbraccio quotidiano. Oggi invece gli infermieri sono quasi irriconoscibili. Anche qualche volta quando vengono da me, perché io sono positivo al coronavirus, faccio difficoltà a riconoscere la persona che è sotto la tuta, che indossa la mascherina. Quindi penso che questo sia uno choc per gli anziani perché non vedendo più le loro figure famigliari, come per esempio Mara, Roberta o il personale con il quale c'era un rapporto molto familiare, quasi di amicizia, penso che questo sia uno choc molto forte.
Proprio stamattina Papa Francesco ha raccontato della paura degli anziani, la paura di essere soli anche nelle case di riposo dove magari sono abituati ad una certa socialità oppure in ospedale, a casa loro. La paura che si fa solitudine, che li fa sentire dei dimenticati..
R. - Purtroppo è una vera realtà. Pur essendo in quarantena, io chiamo due volte al giorno i reparti per sentire gli operatori e poi concludo sempre dicendo di salutare gli ospiti. E’ un saluto che arriva così però penso che possa dare loro un piccolo aiuto, un piccolo sorriso per poter andare avanti. Per ovviare a questa problematica è stato messo in atto un sistema con i tablet per fare delle videochiamate, in modo tale che i parenti possono chiamare i loro cari e quindi vederli. Quello che manca è il vedere la persona con la quale fino all'altro giorno si parlava ed era una cosa scontata, era una cosa normale.
All'inizio quando si parlava di coronavirus si diceva che era una malattia che colpisce soprattutto gli anziani. Oggi i numeri si consegnano una realtà che fa quasi spavento…
R. – Fa spavento. Stando qui in quarantena quello che mi viene in mente è la morte degli innocenti, di persone che si conoscono; persone che fino all'altro giorno stavano bene e che poi muoiono da soli. Pensiamo a quando le loro salme vengono portate nelle camere mortuarie, da soli, non vengono visti neanche dei parenti poi le pompe funebri li portano per andare al cimitero. Diciamo che questa parte finale della vita di una persona che viene a mancare, il contatto, il vedere, il sentire, l’accompagnamento finale. E’ senz’altro una paura perché negli ultimi momenti della vita non si vuole restare soli: serve il contatto con la mano, aiuta le persone a non sentirsi soli e anche a fare l'ultimo tratto di questo pellegrinaggio umano con più serenità. Piange il cuore sapere che per un virus una persona deve lasciare questo mondo perché è stata contaminata.
Da sacerdote che sentimento prova, non potendo accompagnare nell'ultimo tratto della vita proprio queste persone anziane che fanno parte della sua quotidianità?
R. – Un senso di impotenza il perché…perché… perché. Di fronte a queste domande non ci sono tante risposte. L'unico modo per poter passare questo momento difficile è pensare alla Croce del Signore. Ecco quando vedo passare il carro funebre penso solamente ad affidare tutti quanti al Signore. Sono riuscito a portarmi qui in camera l'occorrente per la Messa, quindi ogni giorno quando celebro lo faccio per chi è ancora vivo, per il personale sanitario, e anche per coloro che purtroppo ci hanno lasciati. Ecco come sacerdote ho cercato in questi tre anni di creare un clima di amicizia con gli ospiti. Li conosco quasi tutti per nome e quindi sapere che Antonio, Bertilla, Anna hanno perso, per esempio, i loro cari mi fa piangere il cuore. Sento e penso che anche gli altri confratelli si sentono impotenti. Noi in comunità siamo in sette, abbiamo perso 4 confratelli.
Quando muore un anziano muore anche la saggezza, muore la memoria. Oggi che cosa significa oggi perdere una persona anziana.
R. – Perdere una persona anziana significa perdere anche dei punti di riferimento, perdere qualcuno che ha esperienza, che nel corso della nostra giovinezza ci ha aiutato, è stato un esempio. E’ una persona che se ne va, che viene a mancare. Ci sentiamo incapaci, impotenti di potere aiutare, di poter dare un sollievo.
C'è una luce in questa notte?
R. – Io penso proprio di sì, alla fine c'è una luce, un qualche cosa che ci dice di andare avanti. Siamo testimoni di tanti e tanti messaggi che ci dicono di non mollare, che tutto andrà bene. C’è questa speranza che è dentro di noi che ci dice che ci saranno giorni migliori. Forse dobbiamo sapere aspettare, dobbiamo affidarci di più al Signore dobbiamo pregare perchè questa luce possa veramente entrare in maniera definitiva e riportare così quel clima di fiducia di amicizia e anche di tenerezza nei nostri rapporti e con tutti quanti. L'importante è saper aspettare e anche alzare lo sguardo verso il Signore perché noi dipendiamo totalmente da lui, quindi andiamo avanti con la speranza che il Signore non ci delude e ci aiuterà a passare anche questo momento.
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