Faltas: la Natività di Betlemme restituita all’affetto di cristiani e musulmani
Giada Aquilino – Città del Vaticano
Dopo quella del Santo Sepolcro, domenica a Gerusalemme, la riapertura della Basilica della Natività a Betlemme è un altro “simbolo della speranza della gente” di Terra Santa: nel luogo dove oltre duemila anni fa nacque Gesù si vive oggi una “emozione” speciale nonostante la situazione “drammatica” della città, in cui “oltre il 90% degli abitanti” lavora nel settore turistico, devastato dagli effetti dell’emergenza coronavirus. Da Betlemme, padre Ibrahim Faltas, consigliere della Custodia di Terra Santa, racconta così a Vatican News la riapertura stamani della Natività dopo “più di 80 giorni” di chiusura al pubblico, nel quadro delle misure di contenimento del Covid-19 stabilite dalle autorità palestinesi.
Le tre comunità della Basilica
Ad annunciare la decisione erano stati nelle scorse ore il Custode di Terra Santa, padre Francesco Patton, e i Patriarchi greco ortodosso e armeno di Gerusalemme, Teofilo III e Nourhan Manougian. Per evitare il rischio di nuovi contagi, il numero massimo di accessi nel luogo di culto è al momento limitato a 50 persone, con adeguate protezioni sul viso e mantenendo una distanza minima di sicurezza di 2 metri.
Senza pellegrini non c’è vita
Padre Faltas, che nel 2002 visse in prima persona i 39 giorni di assedio della Basilica ad opera di 240 militanti palestinesi in fuga dall’esercito israeliano, parla della Natività come di un luogo caro non solo a tutti i cristiani del mondo, ma anche alla gente locale: cristiani e “musulmani della Palestina”. Un legame che si rafforza in un momento di grave stallo economico per Betlemme, dove alberghi e ristoranti rimangono ancora chiusi - “senza turismo, senza pellegrini non c’è vita, la gente muore”, ribadisce il francescano egiziano - e in un periodo di rinnovata tensione in Medio Oriente, dopo l’annuncio di Israele di voler procedere alle annessioni di alcune aree della Cisgiordania e l’interruzione da parte palestinese di ogni accordo con lo Stato ebraico e gli Stati Uniti.
R. - La riapertura è stata una emozione grande per tutta la gente di Betlemme e per noi frati francescani, per i greco ortodossi e gli armeni, le comunità che sono responsabili della Basilica della Natività. La gente aspettava questo momento: la Basilica è stata chiusa al pubblico più di 80 giorni per l’emergenza coronavirus. Betlemme è stata la prima città ad essere chiusa per la pandemia, il 5 marzo. Dopo la conferenza stampa di ieri del primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh, le tre comunità presenti alla Natività hanno deciso di riaprire la Basilica. E così è avvenuto alle 6:30 di stamattina, grazie a Dio. Un gesto che è tanto significativo per la gente locale, ma anche per i cristiani di tutto il mondo, per cui questo luogo è davvero importante, come lo è per i cristiani di Terra Santa e anche per i musulmani della Palestina, che sono sempre venuti in tanti a visitare la chiesa.
In Basilica sono state adottate delle particolari disposizioni di sicurezza, previste in questa emergenza Covid-19. Come vi siete organizzati per l’adorazione nella Grotta della Natività, davanti alla stella d’argento a 14 punte che indica il luogo della nascita di Gesù e all’Altare della Mangiatoia?
R. – Secondo quanto deciso dal ministero della Sanità, il numero massimo di accessi è limitato a 50 persone, con mascherine, ad una distanza di sicurezza di 2 metri, e c’è un addetto che misura la temperatura. Si può scendere singolarmente nella Grotta della Natività, che è il cuore della Basilica, dove ci sono due scale, una d’ingresso e una d’uscita, ma sono da evitare altri gesti o atti di devozione. Meglio non toccare nulla al momento: si prega, si visita la Basilica e poi si esce.
Ha potuto raccogliere l'emozione dei fedeli questa mattina?
R. – Come anticipato, non solo i cristiani locali sono contenti per la riapertura, ma anche i musulmani. La riapertura è un segno di speranza per tutti: i momenti difficili si spera siano passati, ora non ci sono nuovi casi di contagi a Betlemme. Quindi la gente è andata a ringraziare il Signore, perché qui davvero ha avuto paura. Devo dire che gli abitanti sono stati bravissimi a rispettare la quarantena restando in casa. Peraltro fino a ieri sera la città è stata chiusa per la fine del Ramadan: il governo temeva che se la gente fosse uscita a festeggiare ci sarebbero stati nuovi casi. Dunque oggi è il primo giorno di vera apertura.
Quanto è importante che tornino i pellegrini a Betlemme?
R. – Sappiamo tutti che Betlemme vive di turismo. Senza turismo, senza pellegrini non c’è vita, la gente muore. Oltre il 90% degli abitanti di Betlemme lavora nel settore turistico.
È stato un momento molto difficile e continua ad esserlo, perché è vero che la Basilica è stata riaperta ma è vero anche che i turisti non vengono. Solo con loro la gente può tornare a lavorare e a vivere con dignità. Ora la situazione è drammatica, con tantissime persone che non hanno più lavoro e sono disoccupate. A Betlemme gli alberghi sono una quarantina e adesso sono tutti chiusi, come pure i ristoranti, ma pure chi per esempio vendeva la frutta e la verdura per gli hotel o per la ristorazione ora è in crisi. È davvero difficile, sia per i cristiani, sia per i musulmani. Il ministero del Turismo sta lavorando per riaprire gli alberghi, ma purtroppo i gruppi non arrivano: si pensa che fino a settembre non ce ne saranno. Noi francescani abbiamo Casa Nova a Gerusalemme, dove sono direttore, e poi anche a Betlemme e a Nazareth: le prenotazioni sono state cancellate fino a settembre, a luglio sarebbe dovuto arrivare un gruppo di pellegrini dal Brasile ma sappiamo ora com’è la situazione in quel Paese, stessa cosa per i pellegrini italiani.
In questo momento in cui pure ci sono tensioni politiche tra israeliani e palestinesi, c'è una qualche forma di collaborazione dal punto di vista turistico ed economico per la ripartenza dei luoghi santi?
R.- Fino ad una settimana fa c’era una collaborazione ottima, poi il presidente Mahmoud Abbas ha annunciato l’interruzione di ogni collaborazione con Israele, quindi adesso non c'è. Israeliani e palestinesi stanno vivendo un momento molto delicato. È un problema grande.
Nel pomeriggio, il Rosario e la Messa nell’attigua Chiesa di Santa Caterina: quale preghiera leverete?
R. - A celebrare la Messa è il parroco, il giordano Rami Asakrieh, che sta guidando le celebrazioni per il mese mariano, andate avanti per tutto maggio in un’altra chiesa e che invece oggi si tengono a Santa Caterina. La riapertura della Natività è davvero il simbolo della speranza della gente, che prega che questa emergenza da coronavirus stia passando e ringrazia Dio che nessuno qui a Betlemme sia morto per la pandemia. È una grazia.
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