"Noi siamo missione", in un libro l'impegno comboniano nelle diverse parti del mondo
Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
È un carisma in crescente dinamicità, quello dei missionari comboniani, con alle spalle oltre 150 anni di storia e di vita. A due anni dal precedente volume “Siate il cambiamento che volete vedere nel mondo”, oggi la passione apostolica di questa grande famiglia si esprime in un altro libro, “Noi siamo missione: testimoni di ministerialità sociale nella famiglia comboniana”, che raccoglie diverse esperienze missionarie nel campo della pastorale sociale. Un testo frutto della collaborazione di 61 tra missionarie e missionari, testimoni eccellenti della capacità dei comboniani di rispondere con il Vangelo alle situazioni di marginalizzazione, così come indicato da Francesco nel Messaggio per la Giornata missionaria mondiale 2020, domenica 18 ottobre. “In questo contesto – scrive il Papa – la chiamata alla missione, l’invito ad uscire da se stessi per amore di Dio e del prossimo si presenta come opportunità di condivisione, di servizio, di intercessione. La missione che Dio affida a ciascuno fa passare dall’io pauroso e chiuso all’io ritrovato e rinnovato dal dono di sé”. Padre Daniele Moschetti è, assieme a Fernando Zolli, curatore del volume:
R. – Noi cerchiamo di inculturare e di incarnare il Vangelo nella realtà dove siamo, quindi in tutte le varie parti del mondo, nei vari continenti. Certamente, questa realtà di vicinanza ai poveri, agli emarginati, alle situazioni difficili, anche di guerra e di violenza, caratterizza le nostre presenze, quindi la nostra risposta è quella di mettersi al fianco, far causa comune con i poveri, lavorare con i bimbi di strada, con le donne prostituite, nelle carceri, così come nella scuola, nell'educazione e anche nella sanità, si tratta di cercare di dare dignità al Vangelo che umanizza e che fa scoprire l'importanza di una spiritualità che si incarna nella situazione concreta di ciò che incontriamo. Quindi, per noi, è un cercare di mettere insieme la vita del Vangelo e la vita della gente che, appunto, si riumanizza e trova nuova motivazione per lottare per l’identità, per la propria dignità, ma anche per la propria cittadinanza, significa partecipare alla costruzione del proprio Paese.
Un passaggio del libro cita un'espressione di Papa Francesco, quando spiega che, in questo cambiamento d'epoca, c'è necessità di capire come la Chiesa, e come il Vangelo che la Chiesa testimonia, possano cambiare la realtà, possano avere la possibilità è la capacità di incidere sulla vita sociale, politica, economica e culturale dei popoli. Qual è la forza dell'azione della Chiesa missionaria e quali sono anche i suoi limiti, però?
R. – È importante nel nostro camminare con la gente, dovunque siamo, far diventare il Vangelo una concretezza di una vita spesa per testimoniare i valori evangelici, è il discorso della lealtà, della giustizia e della pace, della solidarietà, dell’attenzione agli ultimi, e questo deve essere molto formativo, è l’aspetto della dimensione di una spiritualità che si incarna nella storia. È quello che ci insegna Francesco, che continua a dirci, nel suo camminare con noi, di puntare molto alle radici dei problemi. Anche la dimensione della crisi ecologica, della crisi finanziaria, economica, sta influenzando sempre di più quelle che sono un po' le realtà globali, sia a livello nazionale che a livello internazionale. Ci sono alcuni continenti che risentono di più rispetto ad altri questo grande impatto della povertà, soprattutto in questo tempo di coronavirus perché avrà grossissimi effetti. Il nostro aiutare la gente a prendere coscienza dei propri diritti, della propria capacità di talenti di vario tipo, è fondamentale, perché sono doni, sono talenti che il Signore ha donato e che poi chiede di donare alla comunità, gli ultimi. Essere in cammino con tutta la Chiesa è quello che Francesco continua a chiederci: di testimoniare, nella semplicità e nella quotidianità, con tutti i talenti che ci sono stati donati, ma sempre per un progetto, un progetto di vita, un progetto di giustizia e di pace, per contribuire tutti insieme, con grande speranza, a migliorare questa realtà che indubbiamente è difficile.
Questo libro raccoglie le testimonianze, la vita, l'esperienza di fratelli e sorelle comboniani e attraversa tutti i continenti. Ciò che più emerge è quello africano, importante terra di missione dove come missionario lei è stato per anni. Poi, dall'Africa, in Sud-Sudan dove era provinciale, e prima a Korogocho, in Kenya, il cammino l’ha portata in Europa, terra che difficilmente si associa alla missione. Ora è in Italia, a Castelvolturno …
R. – Durante il nostro Capitolo generale, quello dei missionari comboniani del 2015, abbiamo affermato che l'Europa è missione, perché emerge il fatto di quanto, oggi, ci sia in Europa, e nel nord del mondo in generale, il bisogno di una missione. L’essere presenti a Castelvolturno, in questo momento, per me e anche per i miei confratelli, lì siamo in tre, è dare una risposta a quello che è una missione di ritorno. Ci sono africani, dai 15 ai 20 mila, e quindi anche questo per noi è un rispondere a una sfida della missione che ritorna indubbiamente, ma ritorna dentro una realtà che si sta abbrutendo.
Sappiamo tutti che Castelvolturno ormai si traduce in degrado, in veleni, siamo nella cosiddetta Terra dei Fuochi, in tanti mali che colpiscono chiunque, c'è un filo rosso che unisce la sorte di tutte le persone che vivono in quella terra, che siano africani o italiani …
R. – A Castelvolturno ci sono 40 mila persone, la metà delle quali sono straniere, soprattutto africani, tutte accomunate da un cammino, perché c'è un degrado che non è soltanto quello ecologico, ma anche umano, c’è la complessità della camorra che impera, quella della mafia nigeriana, che è legata alla camorra, alla droga, alla prostituzione, e poi è la Terra dei Fuochi, con tutto quello che ne consegue! I terreni intorno sono stati avvelenati per 30 anni da milioni di tonnellate di rifiuti tossici che ancora oggi sono lì attivi, e poi i roghi, roghi all'aperto! Siamo in una zona veramente difficilissima, ma allo stesso tempo posso testimoniare la bellezza anche della lotta che associazioni, gruppi, movimenti e parrocchie, stanno portando avanti! Siamo lì per testimoniare la speranza, per testimoniare che c'è una lotta, che la gente resiste in un contesto come questo. Per 30 anni, questa zona è stata abbandonata completamente dalla politica nazionale, sapevano tutti già cosa sversavano in quelle terre, però chi paga oggi sono i bambini, sono le donne, che stanno morendo di cancro! Si vede poco la presenza di uno Stato che metta in riga una realtà che ha bisogno di dare speranza ai giovani, soprattutto.
La vostra presenza come viene percepita? Vi trovate antagonisti della camorra, voi missionari presenti in quel territorio siete un forte freno all'azione della criminalità organizzata...
R. – Insieme ad associazioni, a gruppi, dovunque siamo dobbiamo lavorare sempre, come ci chiede anche Papa Francesco. È soltanto lavorando in comunione che si risponde con forza a questa illegalità, a questo sopruso, a queste violenze che vengono da chi invece ha altri interessi. Il nostro interesse è quello di migliorare la realtà intorno, l'ambiente, ma prima di tutto le persone. Noi siamo lì proprio come segno di speranza e futuro. È logico che a chi vuole mantenere lo status quo non interessa avere persone che cercano di ottenere il contrario, anzi! Però noi cerchiamo di andare avanti lo stesso, perché lì abbiamo una testimonianza bellissima di 25 anni fa, quando a Casal di Principe fu ucciso Don Peppe Diana, lo ricordiamo molto spesso. Ma sono in tanti ad aver dato la vita: laici impegnati e commercianti che hanno dovuto pagare il pizzo, ma che dopo, alla fine, sono stati anche uccisi. Ci sono testimonianze di persone che hanno pagato anche con la vita. Il sud paga un grandissimo prezzo per questo ‘non sviluppo’ e i giovani sono i primi a subirne le conseguenze.
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