In Guatemala, la luce di Gesù e l'ombra della povertà
Andrea De Angelis – Città del Vaticano
Circa 17 milioni di abitanti che parlano la lingua spagnola e oltre 20 lingue indigene. Quasi tutti cristiani, in maggior parte cattolici. L’età media è intorno ai vent’anni, l’aspettativa di vita supera di poco i settantacinque. Quasi tre figli per donna, poco più di 4mila dollari il Pil pro capite. Bastano questi dati per comprendere le peculiarità del Guatemala, Paese americano tra i meno ricchi del continente, dove l’anno che sta per concludersi si è rivelato tra i più difficili di questo secolo.
Pandemia e calamità naturali
La pandemia di Covid-19 ha creato non pochi problemi. Non tanto, vista l’età media, in termini di morti, quanto per le restrizioni legate all’emergenza sanitaria che così è diventata, come in ogni angolo del mondo, anche sociale ed economica. Il lockdown ha messo in ginocchio intere aree del Paese, lì dove l’economia era già fragile prima del Covid. Il Guatemala, inoltre, è ancora ferito dalle calamità naturali che hanno caratterizzato questo 2020. Da ultimi gli uragani Eta e Iota, che hanno colpito l’America Centrale lo scorso novembre. Si contano ancora i danni e si piangono le vittime del disastro naturale, decine solo in Guatemala, il Paese probabilmente più interessato dell’America Centrale. A Natale, però, la speranza non manca. L’arrivo di Gesù regala una luce nuova in vista del prossimo anno.
Un Natale meno gioioso
Le persone sono sempre pronte ad accogliere l’arrivo del Figlio di Dio, come racconta nell’intervista a Vatican News don Giampiero De Nardi, salesiano, in missione nel Paese americano da quasi dieci anni. “Questo è però un Natale diverso, un po’ triste perché normalmente in Guatemala questa è la festa della gioia e dell’allegria, ma - rivela - non è facile oggi respirare quel tipo di atmosfera”. “Sono stati mesi molto difficili, il lockdown - spiega - ha fermato tutto per sette mesi interi, in una realtà dove il lavoro è prevalentemente giornaliero. Il colpo di grazia sono stati poi i due uragani di quest’autunno, alcune zone praticamente non esistono più. Una chiesa dove eravamo noi salesiani è rimasta sotto venti metri di acqua, così come tante case ed i raccolti sono andati perduti”. In un simile contesto è fondamentale la vicinanza a chi ha pagato un caro prezzo dinanzi a simili drammi. Il farsi prossimi, come ha ricordato tante volte Papa Francesco.
La Chiesa accanto agli ultimi
“Il Guatemala è l’unica nazione dell’America Centrale a veder aumentati i livelli di povertà, soprattutto quella cronica, negli ultimi dieci anni. Le cause sono legate alla corruzione, perché - spiega don De Nardi - nonostante vi siano buone risorse, la popolazione oggi è più povera rispetto allo scorso decennio”. “La povertà nelle città si sente ancora di più, perché nei villaggi un minimo per mangiare c’è, ognuno coltiva il suo orto e riesce ad andare avanti. Il povero nella città - aggiunge il missionario - perde facilmente la speranza”. La Chiesa è sempre accanto agli indigenti, anche nel piccolo paese dove il salesiano prosegue la sua missione, San Benito in Petén, nel nord del Guatemala, lì dove le temperature raramente scendono sotto i 30 gradi.
La casa è speranza
Nasce così un progetto, realizzato grazie al contributo economico di una diocesi statunitense, e ideato da don Giampiero qualche anno fa. Quello di donare delle case, “delle vere case” - come sottolinea ai nostri microfoni - a quelle famiglie che non vivono in condizioni minime di sicurezza. “La nostra parrocchia ha cercato di rispondere alle esigenze dei più poveri, abbiamo costruito case per famiglie che vivono tra le lamiere, fatte con pali di legno, coperte da teli di nylon”, racconta. “Grazie a questo progetto in collaborazione con gli Stati Uniti, siamo riusciti a costruire quest’anno 21 case, lo scorso ventidue per un totale di 43 abitazioni”. Case che hanno garantito protezione anche durante gli uragani dello scorso novembre.
La tradizione della “posada”
Ogni Paese ha le sue tradizioni di Natale. Ma quali quelle del Guatemala? Lo abbiamo chiesto a don De Nardi, che ha voluto condividerne una in particolare. “La posada è una delle tradizioni più belle. Le persone ripercorrono l’esperienza di Giuseppe e Maria, che vanno alla ricerca di un posto dove dormire, ma non trovano facilmente qualcuno che dà loro ristoro. Così le persone vanno di casa in casa, e in quella che finalmente li ospita l’uomo, che rappresenta Giuseppe, chiede di entrare, all’inizio con un canto gli viene detto di no, poi - racconta il salesiano - i proprietari di casa, quando lui ripete che è lo sposo di Maria ed il papà di Gesù, lo fanno entrare. La famiglia apre la porta, si prega e c’è un momento di condivisione, con cibo e bevande”. Una tradizione che quest’anno non si è svolta a causa della pandemia, ma che tornerà il prossimo anno. “L'abbiamo sostituita con la Novena di Natale, le persone stanno venendo in chiesa in questi giorni”, conclude il missionario. Gesù arriva anche per le persone più povere del Guatemala.
I poveri al centro del Vangelo
Chi non ama resterà povero e nel Vangelo non c’è fedeltà senza rischio. I poveri sono al centro del Vangelo. Lo ha ricordato Papa Francesco nell'omelia alla Messa celebrata lo scorso mese nella Basilica Vaticana in occasione della IV Giornata mondiale dei poveri. Un centinaio le persone presenti in rappresentanza degli indigenti del mondo. Nell'avvicinarsi del Natale, già lo scorso mese è arrivato l'invito del Papa a chiederci cosa dare e non cosa comprare:
Nel Vangelo i servi bravi sono quelli che rischiano. Non sono cauti e guardinghi, non conservano quel che hanno ricevuto, ma lo impiegano. Perché il bene, se non si investe, si perde; perché la grandezza della nostra vita non dipende da quanto mettiamo da parte, ma da quanto frutto portiamo. Quanta gente passa la vita solo ad accumulare, pensando a stare bene più che a fare del bene. Ma com’è vuota una vita che insegue i bisogni, senza guardare a chi ha bisogno! Se abbiamo dei doni, è per essere doni
Il presepe vivente è nel povero
Un invito a visitare “con solidarietà” il presepe vivente che è “nel fratello bisognoso”, dove incontreremo davvero il Redentore, ma anche i tanti presepi allestiti in piazza San Pietro, come quelli della mostra “100 Presepi”, allestita quest’anno sotto il Colonnato. Papa Francesco lo rivolge a tutti i fedeli in piazza e collegati attraverso i mass media, al termine della preghiera mariana dell’Angelus dell’ultima domenica di Avvento:
È Gesù nella mangiatoia: quello che soffre è Gesù. Pensiamo un po’ a questo. E il Natale sia una vicinanza a Gesù in questo fratello e in questa sorella. È lì, nel fratello bisognoso, il presepe al quale dobbiamo recarci con solidarietà. Questo è il presepe vivente: il presepe nel quale incontreremo davvero il Redentore nelle persone che hanno bisogno.
Della centralità della povertà nel Natale ha parlato anche la scorsa settimana il cardinale Raniero Cantalamessa, nella sua terza ed ultima predica d'Avvento nell’aula Paolo VI alla presenza del Papa. Il predicatore della Casa Pontificia ha fatto presente come “di Maria e Giuseppe si legge nel Vangelo che 'non c’era posto per essi nell’albergo' (Luca 2,7)”. Osservando che “anche oggi non c’è posto per i poveri nell’albergo del mondo, la storia ha mostrato da che parte stava Dio e da che parte deve stare la Chiesa. Andare verso i poveri è imitare l’umiltà di Dio”.
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