Pandemia, l’arcivescovo di Manaus: “Qui molta gente muore senza più ossigeno"
Federico Piana- Città del Vaticano
“Viviamo in un momento estremamente difficile: il nostro sistema sanitario è letteralmente crollato”. E’ un racconto duro, preoccupato, a tratti anche accorato, quello che monsignor Leonardo Ulrich Steiner, arcivescovo di Manaus, in Amazzonia, fa della situazione nella sua citta e nella sua regione, colpite dalla pandemia. “Negli ospedali - spiega- non ci sono abbastanza posti in terapia intensiva e non abbiamo più l’ossigeno per le persone ricoverate”. Nelle sue parole anche il grazie al Papa per la preghiera e per la vicinanza paterna che, con aiuti economici, aiuterà ad acquistare ossigeno e a servire meglio i più poveri e i migranti.
Eccellenza, la mancanza d’ossigeno è molto estesa?
R.- I vescovi e i nostri fratelli, mandano messaggi dicendo: “Oggi tante persone sono morte per mancanza d’ossigeno”. E’ un momento molto serio: c’è una mobilitazione, dopo molte insistenze. Il governo dice che ha abbastanza ossigeno ma non è vero: ne abbiamo molto bisogno, abbiamo scorte per un giorno o due. La Light Martins, l’azienda che ci fornisce l’ossigeno, dice di non averne abbastanza. E portarlo a Manaus non è così semplice: l’unico modo è per via aerea ma è molto costoso mentre per via fiume ci vorrebbero 15 giorni per arrivare a Manaus. Va detto che tutto questo però è il risultato di una svista del sistema sanitario.
Cosa fa la Chiesa per aiutare in questa situazione?
R.- Prima di tutto insistiamo su questo problema della mancanza di ossigeno e di letti. Poi, cerchiamo di essere presenti in periferia tra i poveri: distribuiamo alimenti e ci organizziamo anche per assistere le molte persone che vivono per le strade della nostra città. Ogni pomeriggio, in due luoghi distinti, offriamo un pasto. Tante persone che assistiamo e con le quali abbiamo contatto, ci hanno detto: “Con tutti i negozi chiusi, stiamo morendo di fame”. Stiamo cercando di dar loro anche un rifugio: ho contattato il sindaco di Manaus per cercare di portarli in altri luoghi dove possano essere ospitati. Non dobbiamo dimenticare che ora siamo nella stagione delle piogge e non sanno dove andare a dormire. Inoltre, da domani saremo di nuovo al cimitero per un momento di preghiera e ci organizzeremo anche nelle chiese per dare un' ultima preghiera di encomio ai carri funebri che passeranno. Come chiesa, ci siamo accorti che dobbiamo essere più vicini ai fedeli, ad esempio, tramite le celebrazioni online che portano conforto o programmi radiofonici per aiutare la gente.
La fede, la speranza, sono diminuite nei fedeli e nell’episcopato?
R.- Mi colpisce e mi commuove la solidarietà della gente, tra le comunità. E’ bello vedere come la gente è solidale, come cerca d’aiutarti, come cerca di essere vicina. Mi commuove anche la solidarietà tra noi vescovi, è una cosa molto bella: noi siamo in continua comunicazione. Da poco, nella mia arcidiocesi, abbiamo perso un sacerdote mentre altri otto sono stati colpiti dal virus. Nella diocesi di Roraima un prete è stato intubato e nella prelatura di Tefè un altro è stato internato e si trova in una situazione complessa. Ho la sensazione che tutto questo ci aiuta e rafforza la nostra fede. La Chiesa ritrova il suo posto, che è il luogo della consolazione, il luogo della solidarietà. Stiamo imparando di nuovo ad essere una Chiesa molto vicina ai poveri. La Chiesa, in Amazzonia, è da sempre vicina ai poveri ma questo periodo di pandemia ci aiuta a capire che non possiamo abbandonare questo posto.
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