Modesta Valenti, Marazziti: dare dignità a ogni persona, via di guarigione
Debora Donnini – Città del Vaticano
Aveva 71 anni Modesta Valenti quando si spense la mattina del 31 gennaio del 1983, dopo la notte passata al freddo, alla Stazione Termini. Si era sentita male e alcuni passanti chiamarono un’ambulanza, che però non volle soccorrerla perché troppo sporca. Per 4 lunghe ore, diversi ospedali si rimbalzarono la responsabilità di aiutarla e intervenire. Quando arrivò l’ultimo mezzo era già morta. Viveva per strada e timidamente chiedeva l’elemosina, questa donna triestina dal passato sofferente, con anche un ricovero in un ospedale psichiatrico. Negli ultimi mesi della sua vita aveva fatto conoscenza con la Comunità di Sant’Egidio che, ogni anno, nell’anniversario della sua morte, la ricorda assieme a tutte le persone senza dimora che muoiono per la durezza della vita in strada. Una storia emblematica sulle conseguenze dell’indifferenza, quando non si ascolta il grido di chi in modo più o meno lacerante, chiede aiuto.
L'indifferenza è una ferita della città
Oggi si celebra una Messa nella Basilica di Santa Maria in Trastevere per Modesta Valenti e nel pomeriggio, alla Stazione Termini, al binario 1, si farà una cerimonia presso la scultura che la ricorda. “L'indifferenza è una ferita nella città: una persona come noi che ha bisogno di aiuto e che addirittura l'ambulanza non carica e così muore”. Parole che interrogano tutti, quelle che, nell’intervista, pronuncia Mario Marazziti, voce storica della Comunità di Sant’Egidio:
R. - Saranno venti le chiese a Roma in cui celebreremo una memoria speciale assieme alle persone che vivono in strada e a chi le ha conosciute perché questo diventi il modo in cui tutti quelli che “non contano”, come Modesta Valenti, tutti quelli che spariscono ogni anno per il freddo, per la vita troppo dura - dieci a Roma già quest'anno, tanti in Italia - tutti sappiano che il loro nome che verrà pronunciato è ricordato. Sappiano che esistono e che contano agli occhi di Dio, agli occhi della comunità, e quindi sono il segno di una vita che continua e che non finisce: è il mondo che si può costruire.
In quale modo la Comunità di Sant’Egidio porta avanti iniziative a favore dei senza fissa dimora?
R. - Sono ovviamente più di 30 anni che la Comunità di Sant'Egidio ha come parte della propria famiglia anche i poveri. Ci sono posti in cui possono vivere e dormire: 90 e più posti costruiti per persone che tutti dicono non possano stare in casa, invece ci possono stare. Ci sono 72 posti in più realizzati anche nella chiesa di San Callisto, anche nella chiesa alla Lungara e in altri punti della città per persone che così possono avere una speranza per superare l'emergenza freddo. Con la Caritas, con la Chiesa di Roma, ogni anno a settembre proponiamo alle autorità pubbliche di rafforzare il sistema per quella che si chiama "emergenza freddo", ma che è in realtà tutti gli anni. Poi costruiamo percorsi personalizzati per uscire dalla povertà assoluta. Ci sono ex barboni che lavorano in cooperativa e in un centro di recupero di beni, in un mercato equo e solidale. Ce ne sono altri che lavorano in imprese di pulizia. Ci sono in ogni parte di Roma persone che noi oggi incontriamo, che erano persone di strada. Quindi, la loro è una storia non irrimediabile. Poi c’è la mensa, una rete di servizi. Sono almeno 250mila i capi di vestiario distribuiti ogni anno. Ma quello che conta di più è aiutare la città a non avere paura dei poveri e a scoprire quanta vita in più c'è quando ognuno si ferma accanto a un altro e costruisce una vita che prima non c'era. Quindi, aiutare la città uscire dall'indifferenza, come insegna Papa Francesco col suo esempio, con la sua parola, direi che è forse l'aiuto più grande. Poi a Palazzo Migliori, nel palazzo antico messo disposizione da Francesco, la Comunità di Sant'Egidio procura alla città ancora un altro modo, cioè la bellezza che guarisce. Credo che Sant'Egidio proponga a sé stessa e alla città una via per rimanere umani senza avere paura dei poveri.
Il Covid-19 ha aumentato molto i problemi di queste persone?
R. – La pandemia ha aumentato molto il problema delle persone che vivono in strada perché gira meno gente. Quindi il bisogno di chi è in povertà estrema si è ingigantito e molti, anche con qualche lavoro precario, sono caduti in uno stato di bisogno che prima non conoscevano. Per dare un'idea, noi abbiamo 17 punti stabili di raccolta e di distribuzione di cibo e di altri aiuti di prima necessità e nella città sono diventati 21 e più di 10mila persone in più stanno vivendo un po' meglio grazie a questo. Ma soprattutto bisognerebbe che ciascuno pensasse che se aiuta un altro, cambia il mondo.
Il Papa ha indetto la Giornata Mondiale dei poveri al termine del Giubileo della Misericordia. Spesso si è soffermato sulla questione dei senza tetto. Ha compiuto gesti concreti. Basti pensare, appunto, alla destinazione di Palazzo Migliori come centro diurno e notturno, alla vaccinazione di recente dei 25 senza tetto in Vaticano, a tanti altri fatti e parole come quelle dell’Angelus di domenica scorsa in cui ha ricordato Edwin. Nel pensiero e nel cuore di Francesco è dunque profonda l’attenzione per i senza tetto e l’invito alla società a combattere la cultura dello scarto...
R. – La cultura dello scarto è una grande malattia del nostro tempo. Riguarda gli anziani, prime vittime del Covid, più del 40 per cento di tutte le vittime sono persone che stavano e stanno in una RSA, in istituti per anziani. C'è una cultura dello scarto che riguarda i profughi che arrivano, perseguitati. La cultura dello scarto è quella che sta avvelenando la nostra vita contemporanea. Papa Francesco indica personalmente a tutti, anche fuori dai confini della Chiesa, come dare dignità a ogni essere umano, diventi la guarigione per l'intero pianeta. Papa Francesco ci aiuta a ritrovare le radici del Vangelo e le radici del Vangelo possono guarire il mondo.
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