Haiti, il grido di un Paese sull’orlo del baratro
Federico Piana- Città del Vaticano
C’è un’immagine che ha la capacità di riassumere in un solo colpo d’occhio i dolori e la disperazione di Haiti: quella che ritrae decine di poveri diseredati nell’assalto ad un camion cisterna carico di carburante. Nelle mani stringono martelli e secchielli e nel cuore il sogno di poter strappare, a quella balena di metallo, pochi litri di benzina per rivenderla al mercato nero e magari tirare avanti per qualche giorno, senza morire di fame. La grande balena di metallo, presa a martellate, non ha resistito ed è deflagrata, portando via con sé la vita ed i miseri sogni di almeno ottanta persone. La tragedia si è consumata due settimane fa a Cap-Haïtien, seconda città più popolosa del Paese caraibico, ma già è diventata il simbolo di una nazione sull’orlo dell’abisso.
Manca tutto, perfino l’acqua
“Questa notizia ha fatto il giro del mondo ma nessuno ha acceso i riflettori sul vero dramma: la moltitudine di affamati che per sopravvivere, a colpi di martello, cerca di saccheggiare un po’ di carburante rischiando la vita” denuncia suor Marcella Catozza. Mettersi in contatto con la religiosa, membro della Fraternità Francescana Missionaria, non è stato facile. I collegamenti telefonici sono quasi impossibili, internet subisce i capricci dell’elettricità che in molte zone è assente anche per buona parte della giornata. “Spesso nella nostra casa l’acqua ed il gas mancano per intere settimane. Non possiamo neanche cucinare quel poco cibo che abbiamo” spiega suor Catozza.
Angeli nella bidonville
Quella che la missionaria chiama “la nostra casa” è una struttura che comprende un orfanotrofio con 150 bambini fino ai 14 anni ed una scuola materna con oltre 500 alunni. Il posto, collocato tra il mare e la città, sarebbe anche suggestivo se non fosse che si trova nel cuore di Waf Jeremie, la più grande, la più povera e la più malfamata baraccopoli della capitale, Port-au-Prince. “Waf Jeremie – racconta la religiosa- conta circa 100 mila abitanti ed è una baraccopoli nata sulla discarica comunale. Venti anni fa, il vescovo di allora chiese alla nostra congregazione di occuparci del ‘popolo della discarica’ e noi non ci siamo tirati indietro”.
Violenza in aumento
Nella baraccopoli, suor Catozza non deve fare i conti solo con l’estrema povertà, ma anche con il così detto esercito di liberazione che ha installato lì il suo quartier generale. “Sono i miliziani che da tempo terrorizzano il popolo sparando all’impazzata per le strade” afferma, aggiungendo che "in tutto il Paese la violenza non è mai stata così forte come negli ultimi mesi. È aumentata in modo vertiginoso. Mai, prima d’ora, avevo visto niente di simile”
Gang e rapimenti
A preoccupare sono soprattutto gli atti di guerriglia delle gang, gli omicidi ed i rapimenti. Un sequestro lampo, il 24 dicembre scorso, ha riguardato anche un’educatrice che lavora con suor Catozza: “Fino alla sera non abbiamo saputo nulla di lei, poi l’hanno rilasciata, ma l’avevano completamente derubata. Non le hanno lasciato nulla” entra nel dettaglio la missionaria.
Natale di dolore
La gente ad Haiti, ormai, ha paura di camminare per strada. A Natale, le chiese sono state semi-vuote, molte feste religiose e sociali sono state cancellate. Anche nella baraccopoli dove vive suor Catozza con i suoi orfani, la Santa Messa della notte di Natale non si è potuta celebrare: “Non solo. Abbiamo dovuto rinunciare anche ad incontrare il nuovo nunzio apostolico, Francisco Escalante Molina, che la mattina del 24 dicembre avrebbe dovuto far visita ai nostri bambini e celebrare per loro l’eucaristia”. Una situazione che ha spinto la Conferenza Episcopale haitiana, nel consueto messaggio natalizio, a lanciare un appello al mondo intero affinché “venga in aiuto di una nazione sprofondata nel caos politico, economico e sociale soprattutto dopo l’assassinio, a luglio, del presidente Jovenel Moise”.
La miseria genera morte
Secondo suor Catozza, le violenze che imperversano ad Haiti hanno una genesi chiara: l’estrema miseria in cui versa la popolazione. “È da quarant’anni – dice alzando la voce- che il Paese vive in questa situazione, eppure nessuno fa nulla. Pensiamo al terremoto del 2010 che ha raso al suolo tutto: Haiti è grande quasi come una regione italiana, ma ancora non c’è stata alcuna ricostruzione. Insomma, Haiti è abbandonata da tutti”.
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