Balestrero: il Papa vicino a quanti seguono l’esempio di Attanasio
Tiziana Campisi – Città del Vaticano
Il ricordo dell’ambasciatore Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci e del loro autista Mustapha Milambo, uccisi un anno fa in un agguato nei pressi del villaggio di Kibumba, vicino alla città di Goma, “è ancora vivo nella Repubblica Democratica del Congo, e forse è ancora più commosso in Italia”. Lo ha detto monsignor Ettore Balestrero, nunzio apostolico nel Paese africano, che questo pomeriggio, a Kinshasa, ha celebrato una Messa in suffragio dei tre uomini che hanno perso la vita mentre viaggiavano in un convoglio del Programma alimentare mondiale. Ricordando che la liturgia della Chiesa oggi celebra la Festa della Cattedra di San Pietro, monsignor Balestrero ha assicurato “la preghiera di Papa Francesco, Successore di Pietro, per le vittime, come pure la sua vicinanza a tutti coloro che piangono queste vittime e a quanti combattono per i loro stessi ideali”. Nella sua omelia il nunzio ha chiesto di pregare per Attanasio, Iacovacci e Milanbo e per “quelle 8 persone in media che, secondo le statistiche dell’ONU, ogni giorno hanno perso la vita, proprio nel corso dell’anno trascorso dopo questa tragedia”, “sacrificate dalla stessa violenza e dalla stessa mancanza di scrupoli”, e ancora per quanti, nella Repubblica Democratica del Congo, “s’impegnano per la nobile causa della pace, sono attenti a chi vive nel bisogno e non hanno perso la speranza in un futuro migliore, più sicuro e più giusto per questo Paese”.
La fede, luce che dà senso alle tragedie
Alla celebrazione hanno preso parte diverse autorità, l'incaricato d’Affari e i funzionari dell’ambasciata italiana, i rappresentanti del Corpo Diplomatico. Prendendo ancora spunto dall’odierna liturgia, il nunzio ha spiegato che “la cattedra di Pietro si fonda sulla fede dell’Apostolo”, che “questa fede esprime pure la sua fedeltà e così invita tutti alla massima responsabilità nell’adempimento delle missioni ricevute” e ha aggiunto che per tale motivo “nessuno può delegare ad altri ‘il cambiamento’, se vogliamo che davvero esso avvenga”. “La fede di Pietro nella Risurrezione - ha sottolineato monsignor Balestrero - diventa la sola luce che può veramente illuminare e dare un senso alla tragedia che oggi ricordiamo e tante altre tragedie che dilaniano il Congo! Soltanto questa fede - ha evidenziato - ci permette di credere che l’ultima parola nella storia degli uomini sarà quella dell’amore e della pace e ad essere convinti che non si tratta solo di una pia illusione. La Risurrezione è un fatto!”. Il nunzio ha inoltre osservato che se “in Congo si può avere l'impressione di trovarsi di fronte a un vero e proprio ‘oceano’ di male, di odio, di violenza" non bisogna tuttavia scoraggiarsi, perché “Dio non può ignorare il grido degli oppressi e di coloro che sono vittime dell’ingiustizia”. Monsignor Balestrero ha rimarcato inoltre che “l’odio e la violenza non possono mai essere giustificati”, che “l’odio genera odio e la violenza scatena altra violenza” e che non si deve essere "tolleranti, o passivi, o scoraggiati".
Nel Congo va costruito un futuro che rispetti i diritti umani
“I congolesi sono un popolo, una comunità, nel bene e nel male. Non possono rimuovere i ricordi, ma possono purificare la memoria e sforzarsi tutti insieme di togliere ciò che avvelena la coscienza, per cominciare una nuova vita ed avere un futuro migliore” ha affermato poi il nunzio apostolico evidenziando che il futuro va costruito nel rispetto della dignità e dei diritti umani comuni, abbandonando l’egoismo e i propri interessi. “La fede di Pietro - ha aggiunto - ci dà una certezza: Dio è entrato nel nostro mondo e, anche qui in Congo, agisce in modo tale che sorga davvero una nuova forza, un ‘fiume’ molto più potente di tutto il male e l’egoismo esistente”. L'invito è a uscire dall’oceano del male, dell’odio, della violenza e dell’egoismo per entrare nel “fiume inesauribile di amore e di pace” di Dio. Monsignor Balestrero ha chiarito infine che “la fede cristiana porta una nuova idea di giustizia, che non si accontenta più di punire e di vendicare, che non consente d’ignorare i soprusi, ma spinge ad affrontarli, arriva a conciliare e a sanare conflitti e odi e, così facendo, è molto più potente dell’odio, perché trasforma la realtà, anziché distruggerla, e vince il male”. In conclusione l'esortazione a pregare perché tutto questo si possa realizzare “anche grazie al sacrificio dei compianti amici" come quelli ricordati oggi.
Le indagini in corso
Sull’uccisione dell’ambasciatore italiano, del carabiniere Iacovacci e del loro autista Milambo, ha aperto un’inchiesta la procura di Roma che pochi giorni fa ha concluso le indagini. Sono ancora in corso quella congolese e quella del Pam. Ma ci sono ancora vari punti oscuri nella dinamica dell’agguato. Due funzionari del Programma alimentare mondiale sono accusati di cooperazione in omicidio colposo per aver commesso gravi negligenze e irregolarità che avrebbero contribuito a rendere insicura e poco protetta la spedizione in cui è avvenuto l’attacco armato. Attanasio stava viaggiando su un convoglio dell’ONU lungo la strada che collega le città di Goma e Rutshuru, nella parte orientale del Paese, un’area in cui da decenni si registrano guerre, conflitti etnici e invasioni territoriali da parte degli stati confinanti e dove sono attive diverse milizie che combattono per ottenere il controllo sulle terre e sulle risorse naturali della nazione. Secondo i racconti dei due dirigenti del Pam alla procura di Roma, sembra che l’intenzione iniziale degli assalitori fosse quella di rapinare Attanasio, Iacovacci e Milambo, ma che accortisi del poco denaro in loro possesso, avrebbero deciso di rapirli per ottenere un riscatto. La situazione sarebbe però rapidamente degenerata mentre l’esercito congolese stava per raggiungere il luogo dell’agguato.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui