Ucraina, Shevchuk: la guerra assurda e sacrilega, ma ora non ci sentiamo abbandonati
Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
Parla di una “tragedia”, per l’Ucraina e per il mondo, di una “popolazione traumatizzata” da questi dodici mesi di una guerra "cieca, assurda, sacrilega", e dell’“impotenza” di giungere alla pace. Poi lancia un appello ai politici, ai media, a chiunque abbia voce e responsabilità a livello internazionale: “Non lasciateci soli… La menzogna e l’indifferenza uccidono”. L’arcivescovo maggiore di Kyiv-Halyč, Sviatoslav Shevchuk, è a colloquio via Zoom con un gruppo ristretto di giornalisti, a pochi giorni dal primo anniversario dell’invasione russa del 24 febbraio 2022.
Una consolazione le visite dei leader a Kyiv
Il capo della Chiesa greco-cattolica ucraina è collegato dall’arcivescovado, sua residenza a Kyiv dalla cui finestra, affacciata sul fiume Dnipro, nei mesi scorsi ha visto esplodere “il fuoco” nel cielo. Nella capitale ucraina, mentre si svolge l’intervista, è giunto a sorpresa il presidente statunitense Joe Biden. Shevchuk sorride: “Un anno fa, in questo momento – dice - tutti ci abbandonavano. Dopo il 24 febbraio sono rimaste solo due rappresentanze: il nunzio apostolico, Visvaldas Kulbokas, e l’ambasciatore polacco. Molti si sono spostati a Leopoli, nell’Ucraina occidentale o in Polonia. A distanza di un anno tutti sono tornati, vengono a visitarci qui. A livello politico, militare, i frutti di queste visite saranno rivelati dagli esperti. Ma parlando a nome della gente semplice, questo ci fa sentire che non siamo dimenticati, non siamo abbandonati, che possiamo contare sulla solidarietà dell’Europa, dell’Italia, del mondo”. “È una grande consolazione”, dice l’arcivescovo, “l’esercito russo ci ha condannato a morte. La solidarietà ci dà la speranza che questa condanna non sarà eseguita, che saremo capaci di sopravvivere, difenderci e costruire un Paese libero e democratico”.
Impotenti di fronte a una guerra sacrilega
“Speranza” è una parola che Shevchuk ripete spesso durante il colloquio. Insieme a questa, anche “gratitudine”. Gratitudine "al Signore perché siamo stati capaci di sopravvivere e servire il nostro popolo facendo il possibile"; gratitudine "per l’immensa solidarietà universale”. Alla gratitudine, però, si accompagna un “senso di impotenza”: nel prevenire la guerra e ora, dopo un anno, nel fermarla. “Alla fine del 2021, già si prevedevano i fantasmi della guerra che si avvicinava… Da parte mia ho cercato di sensibilizzare tante istituzioni di questo pericolo ma purtroppo né i meccanismi del diritto internazionale, né gli strumenti diplomatici sono stati in grado di prevenire la tragedia. Tutto il mondo si sente impotente di fronte ad una cieca, assurda, sacrilega guerra”.
Il rammarico più grande, confida Shevchuk, è di non essere riusciti a salvare le vite umane: “Ricordo Mariupol: quante volte abbiamo tentato di portare cibo e acqua, ma tanta gente è morta lì di fame e sete”. E tanta gente è morta torturata e ammazzata o colpita dai missili. “Quest’anno forse per la prima volta – dice l’arcivescovo maggiore - ho visto come le armi moderne sono capaci di distruggere tutto: vite umane, città, ecologia”.
L'uso delle armi
Il tema delle armi è ora centrale. “Si parla di un uso proporzionato”, osserva Sviatoslav Shevchuk, in risposta a una domanda sul recente appello dell’UE a rifornire di armi l’Ucraina. “Non mi sento a mio agio a parlare di questo”, afferma l’arcivescovo, “ma al momento la capacità dell’Ucraina di difendersi non è proporzionata alla capacità della Russia di aggredirci. Siamo un Paese molto più piccolo. È un miracolo che siamo vivi”.
Il Consiglio panucraino delle Chiese, recentemente in visita a Roma, ha indirizzato alla comunità internazionale una lettera aperta per chiedere di inviare strumenti anti-missilistici. “Come mai le Chiese chiedono il rifornimento di certi tipi di armi? Perché se abbattiamo un missile nessuno muore, ma se cade provoca tanti morti. In questo momento il Consiglio panucraino considera moralmente accettabile l’invio delle armi in Ucraina per aumentare la capacità di difesa”, afferma Shevchuk.
Il dialogo con gli ortodossi
La questione è spinosa, come quella del dialogo con le Chiese ortodosse ucraine legate a Mosca. A dicembre il presidente Volodymyr Zelensky, dopo indagini e perquisizioni dei servizi di sicurezza interni, ha firmato un decreto per porre restrizioni all’attività della Chiesa ortodossa in comunione con il Patriarcato di Mosca. “Questa Chiesa vive adesso un momento di aperto confronto con la società ucraina”, commenta Shevchuk. “Prima della guerra la gente gridava unità, ora c’è una forte domanda di vietare questa Chiesa. Quasi un odio… Non è cristiano, ma sono i sentimenti del popolo ferito”. Il problema, avverte il presule, è che “quando una Chiesa si scontra con l’opinione pubblica, prima o poi verrà un politico che sfrutterà questo sentimento e lo trasformerà in legge”. Intanto nel Parlamento ucraino, riferisce Shevchuk, è allo studio un progetto legislativo per cui “lo Stato sarà costretto a fare tutto affinché nessuna Chiesa o società religiosa possa essere strumentalizzata da un Paese esterno per i propri scopi politici”.
Tutti feriti
Sempre con lo sguardo alla popolazione, il leader greco-cattolico afferma: “Siamo un popolo traumatizzato. Grazie a Dio con l’aiuto internazionale siamo stati capaci di prevenire una tragedia umanitaria”. La Chiesa, da parte sua, in una prima fase si è concentrata sugli aiuti materiali: “Dove abbiamo potuto nei territori occupati, tutti sono stati accolti e serviti. Si parla di 15 milioni di persone”. Ora il Sinodo greco-cattolico ha approvato un piano pastorale sul tema della “cura delle ferite”. “Vediamo che l’80% della popolazione ha bisogno di riabilitazione. Tutti siamo stati feriti, anche io… Ricordo una visita a Zaporizhzhia a novembre, facevo un’omelia in una chiesetta di legno e 7 missili russi sono caduti sulle nostre teste. Guardavo negli occhi queste persone che tremavano e ascoltavano le esplosioni. Ho pensato: ‘Signore, quando vacillerò smetterò di predicare e questa gente è spaventata a morte’. Siamo stati capaci di vivere questi momenti, però portano delle cicatrici”.
Infanzia rubata
I primi a soffrire sono i bambini. Quelli a cui la guerra “ha rubato il sorriso”, come ha detto di recente il Papa. “Perdono la loro infanzia”, dice Shevchuk. Racconta la storia di una famiglia di Kramators’k, colpita da un attacco missilistico alla stazione ferroviaria. “La figlia maggiore è rimasta uccisa, la mamma ha perso le gambe. Il bambino di 11 anni è stato costretto a occuparsi della madre ferita e organizzare i funerali della sorella. Parlando con lui, ho visto che in un istante ha perso l’infanzia. Parlava come un uomo maturo con i volontari e i medici, era protettivo verso la madre…”. “Cerchiamo veramente di fare una pastorale specifica per i bambini e i più vulnerabili”, aggiunge, “anche se il numero esatto di chi ha bisogno di accompagnamento ancora non lo sappiamo”.
Sacerdoti e vescovi demoralizzati
Come non si sa quando finirà “questa assurdità” in Ucraina. “Il dolore nella gente aumenta ogni giorno”, si sfoga Shevchuk, dicendosi “orgoglioso” tuttavia di tanti vescovi, sacerdoti, suore, monaci che “hanno saputo vedere Cristo nella gente ferita dalla guerra. Persone affamate, senza niente, che si fidavano completamente di noi”. “Mi commuovo” dice, con voce emozionata. Questi stessi vescovi e sacerdoti ora sono “demoralizzati”: “Ogni giorno devono celebrare i funerali di vittime, militari e civili. ‘Funerali senza fine… non sappiamo più cosa dire’, mi diceva un vescovo”.
“Oggi – conclude Shevchuk - si parla di tante proposte di pace. Il nostro governo ha la sua formula di pace: il primo punto è che l’Ucraina liberi tutti i territori occupati. Altre proposte parlano di un compromesso, un negoziato, di cedere qualche territorio ecc. Ma quando ascolto queste discussioni, mi viene un brivido. Per la Chiesa, non si tratta di territori, ma delle persone che stanno lì. Dobbiamo liberare le persone, i nostri fedeli!”.
Gli "eroici" redentoristi
In tutte le regioni occupate - “il 17% del Paese” - non è rimasto neanche un sacerdote: “Né greco cattolico, né latino… Alcuni sono stati cacciati via, altri imprigionati”, afferma l’arcivescovo, ricordando i due “eroici” padri redentoristi, Ivan Levytskyi e padre Bohdan Heleta, arrestati il 16 novembre a Berdyansk e “da cento giorni sottoposti a torture quotidiane”. “Nessun negoziato, nessuna diplomazia, è stata capace di alleviare i dolori di questi sacerdoti”.
Non chiudere gli occhi
“Preghiamo – è l’appello conclusivo del capo della Chiesa greco-cattolica - affinché il Signore ascolti il sangue che grida dalla terra ucraina verso il cielo. Chiediamo che il mondo non chiuda gli occhi di fronte alle piaghe e alle sofferenze del popolo, che non si stanchi di questo tema. Spesso il dolore ucraino sparisce dai giornali, non fa più notizia, come nel 2014 con l’invasione in Donbass. La verità sempre, come dice pure il Papa, è vittima della guerra. Una guerra di disinformazione. La menzogna e l’indifferenza uccidono, uccidono tanti”.
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