Via Crucis a Cutro, in migliaia a pregare per i migranti morti in mare "carne di Cristo"
Salvatore Cernuzio – Inviato a Crotone
Una felpa grigia taglia 24-36 mesi è in mezzo alla spiaggia di Steccato di Cutro, coperta di sabbia, pietruzze e “cannizzi”, come i cutresi chiamano le canne di legno. Qualcuno ha creato a fianco un piccolo altarino, con candele, fiori e una croce. Anna, una donna di Cutro con in braccio il suo cagnolino, è in ginocchio ad accarezzare la manica. Intanto piange così forte che le si è sciolto il trucco: “Chissà il freddo in quell’acqua gelida, la paura… Sono venuti da noi a cercare la vita e hanno trovato la morte”. Le parole della donna si perdono in mezzo ai canti e le preghiere delle cinquemila persone che partecipano alle 14 stazioni della Via Crucis che l’Arcidiocesi di Crotone-Santa Severina ha organizzato oggi pomeriggio per commemorare i naufraghi inghiottiti dalla “tomba d’acqua” che è all’alba di domenica 26 febbraio è divenuto il mar Ionio, quando un barcone partito dalla Turchia si è distrutto su una secca buttando in acqua uomini, donne e bambini.
La croce con il legno dei barconi
Su quella riva dove sono riemersi dall’acqua i corpi di 71 migranti – principalmente afghani e pakistani –, denudati dalla violenza delle onde, la gente di Crotone e del circondario cammina in processione dietro un enorme crocifisso sbilenco in legno. Non un legno qualsiasi ma il legno del barcone frantumato, con gli stessi bulloni e gli stessi chiodi che l’urto ha fatto saltare in aria. L’ha realizzata, “nelle ore successive il dramma”, l'artista locale Maurizio Giglio e sarà custodita nella parrocchia di Le Castella, spiega il parroco don Francesco Loprete. “Vedendo travi e legni ho pensato alla croce di Gesù: questo legno grezzo e freddo porta il corpo di tanti innocenti morti per colpe che non hanno commesso, porta impresso il sogno di fratelli e sorelle”, dice. “Il mare si sta portando via tutto. Il rischio è che anche noi possiamo cancellare dalla nostra mente questo dramma che ci ha toccato tantissimo”.
Parrocchiani e sindaci a portare il crocifisso
A portare a turno la croce sulle spalle durante la processione sono i fedeli delle parrocchie di Botricello, Rocca Bernarda, Belcastro, Le Castella, Isola Capo Rizzuto, San Leonardo e tutti i comuni vicini. Nelle spiagge di alcuni di questi paesini, a causa della corrente, sono stati recuperati corpi nelle scorse ore. A fare da cruciferi nella penultima stazione sono invece i sindaci dei comuni del circondario.
L'arcivescovo e l'imam in processione
Dietro a loro, sotto l’ombra delle due braccia lignee, camminano fianco a fianco l’arcivescovo Angelo Raffaele Panzetta e l’imam della Moschea di Cutro, Mustafa Achik, l’uno accanto all’altro a pregare insieme per le anime delle vittime, la maggior parte delle quali di fede islamica. Il vescovo con la stola rossa e le mani giunte; l’imam, affiancato dalla figlia quattordicenne Malak, tenendo in mano il tappetino usato dai musulmani per le loro cinque preghiere giornaliere. Una immagine potente, come quella del primo marzo quando i due si sono messi in ginocchio alla camera ardente sulle 66 salme allineate nel Palamilone per invocare "il Dio della vita". Panzetta appena arrivato, dopo aver baciato la croce e benedetto i presenti, ha subito detto che la Via Crucis si svolgeva “in unione ai nostri fratelli musulmani, per pregare insieme l’unico Dio”.
Un popolo partecipe
Tutto intorno c’è un popolo commosso e sinceramente partecipe. “Non ci aspettavamo questa grande partecipazione”, dicono gli organizzatori dell’Ufficio Migrantes. “È doveroso essere qui, siamo tutti coinvolti in questa tragedia che ha bussato alle nostre case”, commenta una donna a braccetto col marito. C’è lei, ci sono i pompieri, i gruppi sportivi, i commercianti del luogo, i bambini, gli anziani, intere famiglie, due ragazzi in sedia a rotelle. Ci sono l’arcivescovo di Cosenza, Giovanni Checchinato, e il vescovo di Lamezia Terme, Serafino Parisi.
Canti e preghiere
Piangono, intonano canti con la chitarra a Gesù “Come posso naufragare se al timone ci sei tu…”, recitano preghiere leggendo il libretto inviato dalla Diocesi tramite il canale Telegram e seguono le indicazioni del parroco di Botricello, don Rosario Morrone, tra i primi a recarsi in spiaggia al momento della tragedia. Durante il percorso che fa memoria del cammino di Cristo verso il Golgota, si prega per i bambini innocenti morti per le ingiustizie, per chi soffre per le tragedie del mondo o per “politiche esclusive ed egoiste”, per le mamme che perdono i figli.
Lacrime sulla sabbia
Il cielo, inizialmente terso, si scurisce quando la folla arriva sulla spiaggia, quasi a voler assecondare l’atmosfera di commozione alla vista dei resti del naufragio, rimasti immobili sulla sabbia da sette giorni. Scarpe spaiate, indumenti, salvagenti, giocattoli, scorte di cibo. La risacca ha portato tutto a riva. E qualcuno, forse i parenti o anche gli stessi superstiti che hanno visitato in questi giorni la spiaggia, hanno pensato di raccogliere tutto sotto croci improvvisate in legno e filo di ferro. Su una di queste croci, una signora anziana si inginocchia e poggia un rosario rosso. Si fa il segno della croce, poi si accoda alla folla che intanto si è sparsa ovunque, anche nelle collinette circostanti, per ascoltare le parole conclusive dell’arcivescovo a fianco al relitto.
L'appello di Panzetta: dobbiamo essere accoglienti
Parole forti, dette a braccio e con tono misurato, indirizzate ai singoli fedeli ma anche a chi detiene ruoli di responsabilità. “Come mai dopo 2000 anni di cammino dietro Gesù non abbiamo imparato veramente ad accoglierci? Qualcosa non sta funzionando nella nostra vita…”, scandisce il presule.“Se accogliamo veramente Gesù, dobbiamo lasciarci cambiare il cuore e non permettere alla paura di farci diventare persone dal cuore gelido. Se siamo cristiani non possiamo non essere accoglienti, dobbiamo essere accoglienti, dobbiamo avere il cuore aperto come Gesù e quindi non vogliamo un’Europa col filo spinato, un’Europa nella quale è difficile trovare accoglienza. I poveri sono la carne di Gesù, quelli che hanno perso la vita in questo mare sono la carne di Gesù. E pertanto, proprio guardando questo mare, dobbiamo batterci il petto tutti, nessuno escluso. Perché abbiamo la responsabilità di generare intorno a noi un clima di accoglienza, fraternità, amicizia”, afferma Panzetta. “Chiediamo al Signore questo dono di conversione: vogliamo essere comunità ospitali – prosegue -. È nel Dna della nostra gente, del nostro territorio di avere il cuore spalancato. Non permettiamo alla paura di renderci comunità dal cuore gelido, atterrite di fronte alla diversità. Noi vogliamo una convivialità delle differenze”.
La corona di fiori in mare, come a Lampedusa
Un Eterno riposo recitato in coro conclude la Via Crucis. Al microfono l’imam ringrazia tutti per il sostegno mostrato alla comunità islamica. Insieme a un sacerdote prende una corona di fiori bianchi e la getta in mare. La memoria torna a Lampedusa, dieci anni fa, quando Papa Francesco fece lo stesso gesto simbolico per onorare la memoria dei morti seppelliti non dalla terra ma dall’acqua del Mediterraneo, “cimitero a cielo aperto”. Ancora di più, ora, dopo questa nuova, ennesima, tragedia.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui