Don Tonino Bello, trent'anni dopo. Gli altri e gli ultimi, "volti da accarezzare"
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
I conflitti e tutte le guerre, diceva don Tonino Bello “trovano la loro radice nella dissolvenza dei volti”. E noi, aggiungeva cinque anni fa Papa Francesco, nella Messa al porto di Molfetta, dopo aver pregato sulla tomba del suo vescovo, piegato dal cancro a soli 58 anni il 20 aprile 1993, che condividiamo il Pane di unità e pace, “siamo chiamati ad amare ogni volto, a ricucire ogni strappo, ad essere, sempre e dovunque, costruttori di pace”. In questo 2023, nel quale cade il trentesimo anniversario della scomparsa del vescovo Tonino Bello, dichiarato venerabile nel novembre 2021, la sua “sposa”, la diocesi di Molfetta, sta riflettendo “Alla riscoperta dei volti”. Questa sera, alle 19, sarà il cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza episcopale italiana, a presiedere, nella cattedrale di Molfetta, la concelebrazione eucaristica.
Un anno "Alla riscoperta dei volti"
Ma è dall’8 dicembre 2022 che la diocesi pugliese di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi si confronta sui “volti” ricercati e amati da don Tonino. Per lui, a lungo presidente di Pax Christi, la pace “è convivialità”, ricordava ancora il Papa nel 2018. È “mangiare il pane insieme agli altri, senza separarsi, mettersi a tavola tra persone diverse”, dove “l’altro è un volto da scoprire, da contemplare, da accarezzare”. Così i cattolici molfettesi si sono incontrati, tra febbraio e marzo, nel convegno pastorale diocesano “Alla riscoperta dei volti… della Chiesa”, anche in chiave sinodale. Chiesa come casa, servizio e strada. Poi il 18 marzo hanno riflettuto sulla “riscoperta dei volti… della carne sofferente di Cristo” con una celebrazione presieduta dal cardinal Gualtiero Bassetti, già presidente della Cei e arcivescovo emerito di Perugia-Città della Pieve. Ma da qui all’8 dicembre 2023, quando si chiuderà questo anno dedicato a don Tonino, riscopriranno anche i volti dell’educazione, degli ultimi, del dialogo, della pace, e infine di Maria e di Cristo.
Don Vito, ordinato dal vescovo Tonino Bello nel 1987
Per ricordare questo pastore così amato, sepolto oggi nella sua Alessano, nel salento leccese, e per dieci anni vescovo a Molfetta, abbiamo raccolto la testimonianza di don Vito Bufi, direttore dell’Ufficio pastorale della diocesi, oggi guidata da monsignor Domenico Cornacchia, che nel 2018, per i 25 anni dalla morte di don Tonino Bello, accolse Papa Francesco, in visita ad Alessano e a Molfetta. Don Vito era seminarista al Seminario regionale quando nel 1982, da parroco di Tricase, don Tonino arrivò con la sua 500 a Molfetta il giorno dopo la nomina, per incontrare la Chiesa che gli era stata affidata. Il 16 maggio 1987 il vescovo lo ordinò sacerdote in cattedrale, e negli ultimi mesi di vita, dall’11 febbraio a quel 20 aprile, don Vito, allora responsabile della pastorale giovanile, con altri sacerdoti, lo andò a trovare in episcopio e davanti al letto dove era costretto, celebrava la Messa insieme a lui.
Il Papa nel 2018: "Capire i poveri per lui era la vera ricchezza"
Don Vito ci parla del pastore per il quale, sono parole di Papa Francesco nel 2018 davanti al cimitero di Alessano, “capire i poveri era la vera ricchezza”. Tanto da uscire la sera dall’episcopio “e andare alla stazione per incontrare i barboni che dormivano nella sala d’attesa”. Don Tonino chiamava la sua Puglia “terra-finestra”, perché, ricordava Francesco, “dal Sud dell’Italia si spalanca ai tanti Sud del mondo”. Per questo cercava di “scoprire i volti” dei migranti che cominciavano ad affacciarsi nella regione, e per i tanti marocchini islamici, “chiese ad una parrocchia di Ruvo una stanza perché potessero pregare”. Pastore di una “Chiesa non mondana, ma al servizio del mondo”, sono sempre parole del Papa, il vescovo Bello, quando parlava in cattedrale ai giovani, “la riempiva di credenti ma anche non credenti”, ci dice don Bufi.
Don Bufi: "Si faceva vicino a tutti"
Voleva essere sempre chiamato don Tonino, come è inciso sulla sua tomba, perché, parola del Pontefice, voleva “farsi piccolo per essere vicino, accorciare le distanze, offrire una mano tesa”. Andava a cercare “le altre persone, le altre religioni, le altre ideologie – è il ricordo di don Vito - per mettersi in dialogo con tutti, uomini e donne di quel tempo, non per parlare di Dio, ma per parlare dei valori della pace, della giustizia, della salvaguardia del creato”. Ecco la sua testimonianza degli anni vissuti accanto a don Tonino Bello.
Qual è il suo ricordo degli ultimi giorni di vita di don Tonino Bello? Come visse quella malattia e la fine, così prematura, del suo cammino terreno?
Il mio ricordo fa riferimento al fatto che agli inizi di gennaio il vescovo, d'accordo con i familiari, decise di andare a casa sua perché la malattia si aggravava. E quindi fu deciso che don Tonino andasse ad Alessano, nella sua casa natale. Per cui io, dopo qualche settimana, ricordo che era l'11 febbraio 1993, decisi di andare a trovarlo perché ero convinto che da lì a poco non avrei più avuto la possibilità di parlargli, perché la malattia si aggrava sempre di più. E proprio quel giorno don Tonino aveva preso la decisione, insieme ai suoi familiari, di lasciare di nuovo casa sua e di ritornare a Molfetta. E quando io andai a trovarlo, lui era nel letto, fu contentissimo di vedermi e a me, giovane sacerdote, chiese se avesse fatto bene a prendere quella decisione, perché mi disse, come poi disse a tutto il popolo molfettese, che aveva fatto questa scelta perché aveva deciso di morire della diocesi che era stata la sua sposa. Da quel momento, ogni giorno a Molfetta, in episcopio, io sono andato a trovarlo. Qualche volta abbiamo celebrato insieme la Santa Messa, qualche volta era lui che offriva qualche pensiero di riflessione durante l'omelia, ma la maggior parte delle volte eravamo noi sacerdoti che, presiedendo l'Eucarestia, offrivamo a lui un pensiero omiletico, proprio perché lui aveva poche forze, non aveva più la possibilità di presiedere l'Eucarestia. Lui era nel letto e noi con un tavolino accanto al letto nella sua stanza, presiedevamo l'Eucarestia. Così fino alla fine. La cosa più bella è stata proprio la Messa crismale, l'8 aprile, prima della sua morte, ha ritrovato la forza fisica e spirituale di dire alla diocesi che aveva servito, che l'amava tanto e che era contento di morire per la Chiesa che l’aveva amato sin dall'inizio.
E un suo ricordo personale degli anni di magistero del suo primo vescovo? Come lo conobbe prima da seminarista e poi da giovane sacerdote, ordinato proprio dal vescovo Tonino Bello?
Io frequentavo il secondo anno del seminario regionale, quindi era il 1982 e arrivò a Molfetta don Tonino. Mi colpì già la prima scelta che fece da vescovo, quella di non attendere una visita di preti, seminaristi o laici giù a Tricase dove lui era parroco ma chiese a noi di rimanere a Molfetta e fu lui il giorno dopo la nomina a venire con la sua 500 a Molfetta e ad incontrare la Chiesa che gli era stata affidata. Quindi già quello, per me, giovane seminarista, fu un gesto importante e anche inconsueto, e mi fece capire che questo vescovo sarebbe stato molto vicino a noi seminaristi prima e poi preti, ma a tutta quanta la Chiesa locale. Negli anni in cui io sono stato sacerdote e lui vescovo - io sono stato ordinato da lui in Cattedrale il 16 maggio 1987 - in quegli anni io ho avuto da lui l'incarico di direttore dell'Ufficio di Pastorale giovanile e con lui abbiamo organizzato tante iniziative a favore dei giovani. Lui era molto vicino ai giovani, sia a quelli che frequentavano le parrocchie, le varie associazioni, Azione Cattolica, scout, ma anche a quelli lontani dalla fede. I giovani che non credevano erano attratti dal suo parlare e dal suo modo di agire, per cui spesso la Cattedrale di Molfetta si riempiva di giovani credenti e non credenti. Questo è un ricordo che mi porto nel cuore, perché veramente don Tonino si faceva vicino a tutti.
In questo possiamo dire che è stato un uomo al servizio della comunione con le altre fedi, anche con chi non crede. “Perché la Chiesa - diceva - non deve collocarsi come un assoluto”…
La sua esperienza di vescovo lui l'ha vissuta anche tendendo la mano a coloro che non erano della religione cattolica. Io ricordo che cominciavano in quel in quegli anni gli arrivi in Puglia di immigrati che venivano ad esempio dal Marocco. E lui, soprattutto nella città di Ruvo, chiese a una parrocchia di allestire una stanza dove gli immigrati marocchini potessero fermarsi a pregare. Ma chiese anche a tutte le parrocchie della diocesi di fare i turni per una mensa a favore di questi extracomunitari che avevano scelto di vivere a Ruvo per poter guadagnarsi il pane lavorando con lavori stagionali. Ma anche l'arrivo degli albanesi a Bari e l'accoglienza che ci fu per lungo tempo a Molfetta, presso il seminario regionale, permise a don Tonino di incrociare altre religioni, soprattutto quella islamica. E poi l'incontro con il popolo della pace, quando scelse di andare a Sarajevo per portare un messaggio di pace in quella terra, la ex Jugoslavia, in quel periodo martoriata dalla guerra.
Per tutto questo, per la sua attenzione agli ultimi, è stato definito un testimone della “Chiesa del grembiule”, la Chiesa che serve l'uomo. Come ha dato questa testimonianza?
L'esperienza più semplice, proprio quella ordinaria che don Tonino ha fatto, è stata quella di mettersi lungo le strade della nostra diocesi, delle quattro città della nostra diocesi, e andare ad incontrare gli ultimi. Preferiva chiamare i poveri “ultimi”, cioè quelli che erano ai margini della società. Quindi la sera lasciava l’episcopio, andava alla stazione per incontrare i barboni che si fermavano a dormire nella sala d'attesa. L'esperienza più bella è quella di aver chiesto alle quattro città di creare dei centri cittadini Caritas. Come pure è l'esperienza, quella che oggi possiamo definire il fiore all'occhiello del suo episcopato, è la nascita della Comunità C.a.s.a, che lui volle fondare per raccogliere giovani e adulti che sceglievano di uscire dal tunnel della droga. Oggi è una bellissima esperienza che è veramente occasione di incontro anche con tanti cristiani e anche tante persone non credenti che vanno a visitare quella comunità che si trova a Calentano, nell’agro di Ruvo, dove alcuni giovani sono lì in percorsi di recupero.
In molti hanno visto nel suo parlare della necessità di una “Chiesa estroversa”, cioè non autoreferenziale, un riferimento alla “Chiesa in uscita” di Papa Francesco. E lei come vede queste similitudini?
Sì, io penso che se don Tonino fosse ancora vivo andrebbe molto d'accordo con Papa Francesco, perché questa definizione che Papa Francesco ha consegnato a tutta la Chiesa universale, la “Chiesa in uscita”, è stata la missione di don Tonino. Questo andare a cercare le altre persone, le altre religioni, le altre ideologie, mettersi in dialogo con tutti, uomini e donne di quel tempo, non per parlare di Dio, ma per parlare dei valori della pace, della giustizia, della salvaguardia del creato. Quei valori che poi hanno caratterizzato il suo impegno come presidente di Pax Christi.
In tutto questo, però, è stato anche un uomo di preghiera, un grande contemplativo. Trovava quindi nella preghiera la fonte per il suo impegno per l'uomo. Ed è stato anche un efficace comunicatore…
In episcopio c'è una piccola cappella, come tutti in tutti gli episcopi. E lui la usava spesso e volentieri per pregare e per scrivere, perché la cappella era l'unico luogo dove lui poteva andare senza essere disturbato. E quasi sempre lui pregava e scriveva di notte. Questo ha purtroppo debilitato il suo organismo, ma era l'unico tempo in cui poteva fermarsi davanti all'Eucarestia e poteva fermarsi per scrivere tutto ciò che ci ha consegnato, la ricchezza dei suoi scritti, delle sue lettere e dei suoi discorsi. E lui lo diceva: “Io scrivo a quattro mani, due sole mie, due sono del Signore”. Ma diceva anche che questa cosa avveniva di notte, perché altrimenti durante il giorno lui non poteva dedicarsi all'incontro con la gente.
La Chiesa lo ha dichiarato venerabile, ponendo così la sua testimonianza all'attenzione di tutto il popolo di Dio. Cosa resta oggi della sua testimonianza, nella sua Molfetta? E come avete deciso di ravvivarla in questo anniversario?
Intanto dobbiamo ringraziare il Signore, e dobbiamo ringraziare anche don Tonino, perché ha scritto tanto e quindi sono un tesoro inestimabile i suoi scritti, che sono poi la base anche di tutto il processo di beatificazione. Che è stato prima introdotto in diocesi, poi nella fase romana e ora finalmente è stato dichiarato venerabile. Ora si aspetta il miracolo e quindi l'anno del trentennale della sua morte diventa l'occasione per far conoscere don Tonino alle nuove generazioni, ma anche per intensificare la preghiera perché avvenga il miracolo per intercessione di don Tonino. Per questo motivo abbiamo iniziato un anno celebrativo, che è stato inaugurato l'8 dicembre scorso e si chiuderà il 9 dicembre di questo 2023. D'accordo con il vescovo abbiamo dato un titolo all'anno “Alla riscoperta dei volti”, ricordando un concetto che don Tonino amava spesso usare. Lui l'aveva presa in prestito da un filosofo, Levinas, l'etica del volto, di questo volto da incontrare, questo volto rivolto all'altro. Che ha la sua radice e il suo fondamento nei volti delle tre persone della Santissima Trinità. Questa comunione trinitaria che si riversa nel volto degli uomini, che incontrando gli altri volti e le altre persone, crea comunione, crea comunicazione e crea missione. Abbiamo tenuto il convegno diocesano usando appunto sempre l'idea del volto: “Alla riscoperta del volto della Chiesa”, del servizio, dei giovani, anche declinando i cantieri di Betania che quest'anno ci sono stati consegnati dalla Conferenza episcopale italiana per il cammino sinodale. E subito dopo il 20 aprile ci sarà la premiazione di un concorso che è stato proposto a tutte le scuole e poi ci sarà, come già da tre anni, il premio letterario don Tonino Bello, che coinvolge persone che vogliono mettersi in gioco su alcuni temi molto cari a don Tonino. Poi nel mese di maggio ci sarà una scuola per la pace, dato che don Tonino è stato un “artigiano di pace”, come ama dire Papa Francesco. E in quell'occasione ci saranno tre giorni di incontri con autorevoli relatori che ci permetteranno di riflettere sull'importanza della pace nel nostro tempo.
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