Le francescane di Via Poggio Moiano che salvarono gli ebrei
Fabio Colagrande - Città del Vaticano
È il 2008, in un quartiere di Roma Nord, un signore dai capelli bianchi suona il campanello di un convento dietro Piazza Vescovìo. Alla religiosa che gli risponde al citofono dice poche parole: “Sono un ebreo e da bambino ho abitato in questa casa con mia madre e mio fratello. Vorrei parlare con una suora”. Entra e si guarda intorno commosso, riconoscendo quei luoghi impressi nella sua memoria dal 1943, quando aveva cinque anni e con la sua famiglia era stato costretto a vagare disperato per Roma, dopo il drammatico rastrellamento del 16 ottobre. Quell’uomo oggi ha 86 anni, si chiama Lello Dell’Ariccia, ed è un ebreo testimone della Shoah. Ottanta anni fa, in una città occupata dai tedeschi, fu accolto con la madre e il fratellino in quella casa. Nascosto dai nazisti che gli davano la caccia per deportarli nei campi di concentramento, assieme a una cinquantina di ebrei e perseguitati.
"Il civico giusto"
Sul portone secondario del convento di via Poggio Moiano delle "suore francescane della Misericordia di Lussemburgo" a Roma, il 25 gennaio 2023 è stata collocata una targa affissa da “Il civico giusto”, un’associazione che “nasce dalla considerazione che la memoria, il ricordo di persone e fatti non può affidarsi solo al racconto, alla narrazione, ma che ha bisogno di simboli, di luoghi”. In quella casa, infatti, dall’ottobre del 1943 fino ai primi di giugno del 1944, furono messi in salvo decine di ebrei, così come avvenne – secondo gli storici – in circa 200 case religiose della Capitale, la maggior parte delle quali femminili, per un totale di circa 4300 persone. Lo stesso convento, tra il ‘41 e i primi di ottobre del ’43, poco prima di ospitare le famiglie ebree, era stato occupato dai nazisti che vi avevano allestito un ospedale militare.
"Lo voleva il Papa"
“Accolsero la prima famiglia ebrea pochi giorni dopo il rastrellamento del 16 ottobre. Il Papa voleva che anche i conventi si aprissero per l'accoglienza degli oppressi”, racconta oggi suor Clara Maria Oberkofler, la religiosa francescana che, assieme a poche altre suore, vive ancora a Via Poggio Moiano ed è testimone indiretta dell’opera delle sue consorelle di allora. “Per loro è stato talmente logico aiutare: lo voleva il Papa e dunque era Nostro Signore che lo voleva. Non avevano la minima difficoltà a pensare che andasse fatto. Il Vangelo parla di accoglienza. Per loro fu normale, naturale, compiere quel gesto.”. “Per me - prosegue suor Clara - hanno dato una testimonianza del Vangelo, è sicuro. Ci hanno insegnato come si vive il Vangelo, nella consapevolezza che è il nostro Signore che sta dietro a tutti gli eventi”.
Lo stile di san Francesco
Eppure suor Clara e le altre religiose, quando qualche anno fa ricevettero l’invito ad apporre all’ingresso della loro casa la mattonella del “civico giusto”, inizialmente si opposero. “Noi abbiamo detto: abbiamo fatto del bene, però non è necessario che tutto il mondo sappia quello che è successo. Non è il nostro stile. San Francesco pure non lo voleva. Se fate il bene fatelo, però - dice Nostro Signore - quello che fa la sinistra non lo sappia la destra e viceversa. E forse è un po’ questo lo stile che cerchiamo di adottare nel nostro vivere. Semplice, però nella semplicità si dà se stessi, no?”. Poi le suore accettarono, ma ottennero che la mattonella con l’albero di carrubo, simbolo dei “Giusti fra le nazioni”, fosse apposta sul portone secondario, quello della cappella, da dove effettivamente allora potevano entrare indisturbati gli ebrei, confondendosi con i fedeli.
L'umanità dei "Giusti"
“Fra i giusti dovremmo inserire anche le suore di piazza Vescovìo, perché sono quelle che ci hanno aiutato, salvato la vita e rischiato la vita per noi”, racconta oggi Lello Dell’Ariccia, che presiede l’Associazione Progetto Memoria proprio per dare un senso ai ricordi drammatici della sua famiglia. “Quello che a me preme - spiega - è che la morte nei lager nazisti di milioni di persone, ma in particolare di mia nonna, di mia cugina, di mio zio, non diventi un simbolo stereotipato, non diventi un emblema, un’effigie come un santino”. “Vorrei che si capisse che dietro c'era sangue, nervi, paura. Come in quella di tutti. Perché poi insieme agli ebrei sono morti i Rom e i Sinti, sono morti i testimoni di Geova, sono morti gli omosessuali, i portatori di handicap, milioni di prigionieri militari sovietici fatti morire di fame. Quindi il discorso della Shoah è un capitolo in un libro molto più grosso che si chiama Seconda guerra mondiale e nazifascismo”. Per Lello Dell’Ariccia l’opera dei cosiddetti “giusti”, coloro che in quegli anni rischiarono la vita per salvare gli ebrei e non solo, fu un segno di grande umanità. “Erano persone speciali, persone mosse non da un sentimento politico sicuramente non da un'ideologia, religiosi e non religiosi, credenti e non credenti, ma persone dotate di un'umanità e di una sincera generosità”. “Misero a rischio la loro vita e la vita dei loro familiari per salvare dei disperati e di fronte al terrore ci regalarono speranza e vita e a loro va la nostra riconoscenza più elevata”.
"Una bellissima pagina di vita religiosa"
Una piccola grande storia, quella del convento di Via Poggio Moiano, che si iscrive nel capitolo dell’opera compiuta dalle congregazioni femminili e maschili a Roma, ottanta anni fa, per mettere in salvo i perseguitati dal nazifascismo. Per suor Grazia Loparco, salesiana e storica della Chiesa, è stata “una bellissima pagina di vita religiosa nella città di Roma”. “Non di suore separate, non di un mondo a parte, ma di religiose pienamente inserite nella realtà locale, nella realtà della guerra, nella realtà dell'emergenza, che non toccava soltanto chi era fuori, ma che toccava anche l'interno della comunità religiosa”. La storica sottolinea che quelle vicende di salvataggio, spesso rocambolesche, sono un esempio di “fantasia della carità” e un esempio di convivenza e solidarietà fra persone di fedi diverse. “Sotto lo stesso tetto, si sono ritrovate persone che non si conoscevano e in un momento di emergenza hanno partecipato dello stesso rischio. Hanno condiviso la fame, la povertà, la paura, hanno condiviso tutto quello che avevano. E non poteva essere diverso da un certo punto di vista, perché il Vangelo parla di amare Dio e amare anche il prossimo, no?”.
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