Avvento, don D’Errico: la parrocchia, casa dei più fragili
Eugenio Bonanata - Città del Vaticano
È costante il richiamo di Francesco a vivere l’Avvento nel nome dell’essenzialità, del silenzio, della preghiera e soprattutto dell’accoglienza dei bisognosi. “Francesco ha sempre sottolineato che non ci si può dire cristiani se si opera un’esclusione nei confronti di chiunque”, commenta a Telapace don Luigi D’Errico, responsabile del Servizio pastorale per le persone con disabilità della diocesi di Roma e da poco anche assistente ecclesiastico del Movimento apostolico ciechi. Il sacerdote pensa in modo particolare ai disabili. “Sarebbe bello se un giorno riuscissimo a non trovare più appellativi per le persone che hanno delle fragilità, ma a riconoscerli come persone”, afferma. “La Chiesa - ribadisce - può contribuire fortemente a superare le barriere nei cuori della gente se accoglie fino in fondo le intenzioni di Gesù che sono quelle di non mandar via mai nessuno”.
Condivisione quotidiana
Don Luigi opera da diversi anni nella parrocchia dei Santi Martiri dell’Uganda, nel quartiere ardeatino. Nel 2020 è stato insignito del titolo di commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana per il suo impegno al fianco degli ultimi. Tuttavia, non ama le definizioni ampollose: “Sono uno dei tanti parroci di Roma che cerca ogni giorno di fare in modo che la parrocchia sia un luogo libero e aperto dove poter incontrare, farsi conoscere e condividere anche le fragilità”.
Nella comunità parrocchiale di don Luigi, oltre alle iniziative di supporto per i meno abbienti, da tempo è attiva la catechesi per e con le persone disabili. “Ci tengo a dire che io non sono l'artefice di questa catechesi”, spiega. “Gli artefici sono tanti ragazzi, ragazze, genitori e adulti che hanno scelto di conoscere le persone con disabilità”. Il percorso, senza troppi fronzoli, ruota attorno alla relazione. “Pian piano - racconta - le persone sono diventate delle storie e dei volti familiari di cui non si può fare a meno”.
Lo strumento più efficace
Inutile chiedere lumi su strategie, metodi e strumenti adottati. Per don Luigi “una volta che si entra in questa familiarità, ci si dà da fare per scoprire quale può essere lo strumento più utile per comunicare nella maniera più efficace”. Tuttavia, avverte, “lo strumento fondamentale è il cuore: prima di tutto si diventa accoglienti e in questo nasce un’intelligenza che è l’intelligenza della fede che ci fa arricchire”. “Tutto sommato - prosegue - l’accoglienza di Gesù, pur nella sua difficoltà oggettiva, è tanto semplice quanto condivisibile da tutti”.
Un villaggio per il “dopo di noi”
Questo approccio si sta espandendo e sta confluendo in un progetto denominato “dopo di noi”, in corso di realizzazione. “Si tratta del giardino di una parrocchia”, come lo chiama don Luigi. Una sorta di villaggio alle porte di Roma, nei pressi del santuario del Divino Amore, destinato all’accoglienza di persone con disabilità e rispettive famiglie per le quali la domanda su cosa sarà dopo di loro, guardando alle fragilità dei propri figli, diventa spesso drammatica. Ma questo luogo vuole essere aperto a chiunque, non un’oasi felice o qualcosa di lontano dal mondo. “Un luogo umano, dove ci si sente a casa”, chiosa il religioso. “Uno spazio dove la gente passa, si ferma e resta per il tutto il tempo che vuole condividendo la vita con le persone che vi abitano”.
Necessità di sostegno
Servono fondi per completare l’opera che sorge in un’area di sette ettari e al momento è difficile prevedere i tempi. Intanto, passando da lì è molto probabile trovare il sacerdote al lavoro sul trattore. “Stiamo realizzando quello che ci è possibile”, spiega. Non solo la messa in sicurezza, pulizia e la recinsione, per intenderci. “Abbiamo cominciato a fare anche delle piccolissime opere di aiuto al quartiere, come ad esempio delle visite mediche: per chi abita nelle periferie è più complesso, per tempi e costi, andare negli ospedali del centro”. Inoltre, le zone all’aperto sono a disposizione gratuitamente per i gruppi.
Attualmente il complesso “dopo di noi” comprende alcune abitazioni e la Chiesa Santa Maria ad Magos, dedicata ai Re Magi e dunque a tutti i popoli. Già vi risiedono tre suore. “Provengono dal Congo”, precisa don Luigi. “Conoscono il lavoro nei campi e ci stanno aiutando nella realizzazione”, aggiunge il sacerdote invitando a visitare e conoscere la realtà. “Questi luoghi - conclude - non vanno solo annunciati, vanno anche visti”.
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