Talitha Kum: la tratta degli umani non si vince da soli ma in rete
Eugenio Bonanata - Città del Vaticano
La parola “condividere” è probabilmente quella più sentita tra gli operatori nella decima Giornata mondiale di riflessione e di preghiera contro la tratta di persone. Il fenomeno dello sfruttamento delle persone è drammaticamente in ascesa in tutto il mondo e tocca da vicino molte delle nostre comunità. La forma più nota è la prostituzione, sebbene sia preoccupante anche la declinazione del fenomeno nel mondo digitale che ha subito una forte accelerazione durante la pandemia. C’è poi lo sfruttamento sul lavoro e ci sono anche tutte le varie “forzature” che coinvolgono in matrimoni e persino le attività di donazione degli organi.
Sogni traditi
Altro capitolo riguarda l’accattonaggio. “Dietro alle persone che chiedono l’elemosina per strada spesso ci sono organizzazioni malavitose”, afferma a Telepace suor Adina Bălan, coordinatrice per l’Europa di Talitha Kum, l’ente internazionale che assieme ad altre realtà ha gestito l’organizzazione della Giornata mondiale culminata con il messaggio di Papa Francesco e la maratona di preghiera online svoltasi con il coinvolgimento di una cinquantina di Paesi. “Sono persone che arrivano nelle nostre città con un sogno, ma trovano chi compra e tradisce questo sogno”, prosegue ricordando i tanti bambini protagonisti - loro malgrado - di tali vicende. “Vengono sottratti loro i documenti e costretti a dormire in una stanza con tante altre persone mangiando solo un pezzo di pane al giorno”.
Prevenzione e interventi diretti
Cosa fare a fronte di queste situazioni? “Il Papa ha chiesto di pregare”, risponde la religiosa. E la preghiera è fondamentale anche per affidare al Signore le nostre vulnerabilità e la nostra incapacità ad offrire aiuto”. In altri casi l’aiuto concreto potrebbe non bastare, per questo motivo occorre incrementare la consapevolezza e sensibilizzare l’opinione pubblica. Inoltre, ci sono esigenze specifiche per gli addetti ai lavori. “Serve mettere insieme tutti gli attori coinvolti nel lavoro contro la tratta”, precisa suor Adina che sottolinea: "È difficile agire contro la tratta nella solitudine. Occorre creare reti per rispondere a tutte le domane sulle problematiche che incontriamo quando lavoriamo nella prevenzione e anche nell’intervento diretto con le vittime”. Ad esempio, spiega, “per i professionisti non è facile distinguere i segni di una persona sfruttata e di una persona vittima della tratta quando arriva in un ospedale”.
Contro un "business" ignobile
Ecco perché è fondamentale ciò che è successo in questi giorni a Roma, meta ‘fisica’ della settimana di mobilitazione iniziata lo scorso 2 febbraio. C’è stata appunto l’occasione di incontrarsi e confrontarsi, condividendo le pratiche adottate in contesti geograficamente distanti per rispondere ad un problema simile. In genere, precisa suor Adina, le persone che vivono questi drammi hanno bisogno di ascolto. L’obiettivo è di offrire un supporto per ripartire, per curare le ferite dell’anima e soprattutto per riprendere a sperare. Tutto comincia dalla presenza sul territorio e successivamente dalla presa in carico. Eppure, anche in questo caso, non è facile districarsi. “Le persone di nazionalità africana - osserva la religiosa - non solo le sole cadere nella rete: sono soltanto più facili da identificare a causa del colore della loro pelle”. Ma ci sono anche tanti uomini e donne di nazionalità italiana, sia dalla parte delle vittime sia dalla parte dei carnefici. Basti pensare al ruolo delle organizzazioni malavitose che sono radicate un po’ ovunque e che gestiscono il business derivante dallo sfruttamento delle persone.
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