Manuel de los Ríos, lo schiavo che trovò la libertà al servizio di Maria
Fratel Mario Chiarapini, Fsc
Non ci sono catene o prigioni che possano condizionare la libertà di uno spirito libero. Chi è interiormente libero non sarà mai soggetto ad alcuno, tranne che lo voglia essere per sua scelta. Questa in sintesi la personalità di Manuel Costa de los Ríos, lo schiavo capoverdiano chiamato “Negro Manuel” che con il Battesimo e l’amore per la Santissima Vergine divenne un uomo interiormente e socialmente libero, tanto che con capacità decisionale, prerogativa basilare appunto di chi è davvero libero, dopo aver subito violenza, messo in catene ed essere stato schiavo degli uomini, decise di sua volontà di mettersi al servizio della Vergine Maria.
Fatto schiavo a 25 anni
Manuel era un giovane nero nato nel 1604 a Capo Verde, forse nell’isola di Santiago, allora colonia portoghese e triste crocevia della tratta degli schiavi e del traffico che avveniva tra il continente africano e l’America del sud. Un commercio umano che ha segnato vergognosamente la storia dell’umanità, per cui uomini e donne erano strappati ai loro affetti e alla loro terra e, in condizioni disumane, condotti oltre Oceano in catene. I principali punti da dove venivano tratti erano la Guinea (Costa de los Rios), l’Angola, le isole di Capo Verde e l’isola di São Tomé nel golfo di Guinea. Le destinazioni più importanti: la Colombia, le isole caraibiche, il Messico, il Venezuela e il Brasile.
A 25 anni, il “Negro Manuel” venne dunque catturato a Capo Verde, venduto e condotto a Pernambuco-Recife in Brasile, passando probabilmente per Cartagena de Indias (Colombia), subendo sofferenze indicibili e profonde umiliazioni. Dopo la quarantena, insieme a tutti gli altri schiavi venne sottoposto a un’asta pubblica, durante la quale fu acquistato dal capitano di nave Andres Juan (André João), portoghese, contrabbandiere che aveva sperimentato anche la prigione per i suoi traffici illeciti. Tuttavia, nei confronti di Manuel si comportò sempre con molta umanità.
Battezzato nel Natale del 1629
Nel nuovo Paese Manuel fu battezzato nella notte di Natale del 1629 e registrato con il nome di Manuel Costa de los Ríos (con riferimento ai fiumi Gambia e Senegal e ad altri fiumi), essendo forse quella costa africana il luogo d’origine della maggior parte degli schiavi imbarcati insieme a lui. Ma nel testamento che il capitano Andres Juan dispose in favore del suo amico e protettore Bernabé Gonzalez Filiano, al momento della sua malattia, tra le altre cose lasciava “ventinove pezzi di schiavi e schiave di colore, vecchi e giovani, tra loro Manuel Caboverde, sposato con Beatriz, sua moglie creola”. Dunque il “Negro Manuel” si può considerare con certezza capoverdiano.
Il cambiamento di vita
Dopo aver ricevuto il battesimo, pur continuando la sua vita da schiavo, Manuel si sentì un’altra persona. In virtù del sacramento infatti, ormai “uomo nuovo” in Cristo, e grazie al suo naturale candore, cominciò ad avere una concezione diversa della vita e dei suoi simili, ritenuti ormai non più nemici o padroni ma fratelli. La nuova identità di cristiano gli diede la possibilità di vedere sotto un’altra luce tutto ciò che gli accadeva. Con il suo stesso padrone, che non lo considerava più uno schiavo, ma un confidente, si instaurò un rapporto collaborativo e di fiducia. Questa profonda trasformazione fu determinata dal fatto che Manuel viveva ormai in Cristo e di Cristo, nella sua grazia. La sua fede semplice e genuina gli permise di guardare il mondo, le persone e gli eventi con gli occhi puri di un bambino.
In viaggio con due statue della Madonna
Pochi mesi dopo il battesimo, il capitano Andres Juan si mise in mare con la sua imbarcazione (una patache, un brigantino) per portare all’amico Antonio Farías de Sáa Deve una statua in terracotta della Santissima Vergine, che gli aveva chiesto per la Cappella che aveva intenzione di costruire in una sua proprietà a Sumampa, nella regione di Santiago del Estero. Il capitano portoghese ne procurò addirittura due per poter dare la possibilità all’amico di scegliere. Si mise dunque in viaggio e portò con sé lo schiavo Manuel, passato alla categoria di “schiavo domestico” e divenuto ormai suo uomo di fiducia. Si imbarcarono sul brigantino San Andrés e in pochi giorni arrivarono (21 marzo 1630) nel porto della Santissima Trinità di Buenos Aires. Appena sbarcati però, Andres Juan fu costretto a cambiare programma, molto probabilmente per motivi di salute o per sopravvenuti impegni, perciò delegò il il fidato Manuel, a portare a termine per via terra la consegna delle due statue in terracotta della Vergine Maria, delle quali una rappresentava la Madonna Immacolata, l’altra la Madonna della Consolazione con il Bambino tra le braccia.
Il “miracolo del carro” presso il rio Lujan
Nel secondo giorno di marcia, nei primi del mese di maggio del 1630, la comitiva guidata da Manuel giunse presso il rio Lujan. Ai margini del fiume, a 67 chilometri da Buenos Aires, i buoi che trainavano il carro su cui erano le statue della Vergine, si fermarono improvvisamente e non vollero proseguire, nonostante i vari tentativi di incitamento. Ogni sforzo di smuovere i buoi risultò inutile, anche aggiungendo ulteriori animali da soma. Nell’intento di alleggerire il peso del carretto, si cominciò a scaricare alcune cose. Appena fu tolta una delle due casse, dove erano state sistemate le statue, i buoi ripresero a camminare speditamente. La cassa conteneva l’immagine della Vergine Immacolata. Manuel interpretò l’evento, chiamato in seguito “miracolo del carro”, come il desiderio della Madonna di volersi fermare in quel luogo. Lo schiavo cercò allora una casa nelle vicinanze e trovò adatta quella del presbitero don Diego Rosendo de Oramas. Vi portò la statua della Madonna Immacolata, dopo di che costruì un piccolo altare per collocarvela. L’altra statua, come era previsto, fu portata a Sumampa, nell’azienda di Antonio Farías de Sáa Deve.
Manuel, libero ma al servizio della Madonna
In seguito, Manuel chiese al nuovo padrone, forse Bernabé Gonzalez Filiano, cui Andres Juan l’aveva ceduto, di poter consacrare la sua vita a Lujan facendosi servo della Madonna. Così il “Negro Manuel” da quel momento, divenuto “liberto” nei confronti degli uomini, si fece "schiavo" della Vergine Immacolata, consacrandole la vita. Qualche storico ipotizza che, al momento del miracolo del carro, Manuel si trovasse già nel podere di Gonzalez Filiano, destinato al servizio domestico come manovale nel ranch vicino al fiume Lujan e lì fosse stato testimone oculare, insieme ad altri, del miracolo. E così ebbe inizio la devozione alla Vergine di Lujan, essendosi subito diffusa la notizia. Sul posto cominciarono ad affluire numerosi pellegrini. Manuel iniziò lentamente a recuperare la sua dignità, pur portando sempre nel suo corpo e nella sua anima i segni indelebili di una umiliante storia condivisa con tanti altri esseri umani che erano stati catturati e portati schiavi in tutte le parti del continente americano.
Il matrimonio con Beatriz
In quel periodo, Manuel conobbe e si innamorò di Beatriz, una ragazza creola, anch’ella schiava presso una famiglia, e la sposò, probabilmente nel 1638. Beatriz fu una sposa fedele fino alla morte, avvenuta nel 1670, e seguì il marito nell’impegno di mantenere vivo il culto della Santissima Vergine. Manuel rimase il custode esclusivo della Vergine di Lujan ed era solito dire: “Non ho altra Signora fuorché la Vergine”. Come sacrestano si prese cura del suo culto e della lampada che illuminava la statua. Una tradizione dice che fosse anche un abile cordaio, impegnato a realizzare utensili e cordoni che vendeva agli abitanti e ai pellegrini per il culto della sua Padrona. Un suo biografo scrive: “Aveva riposto in lei tutto il suo cuore, perché lei era il suo tesoro e la sua vera Padrona. A lei si era offerto come schiavo, e lui capiva perfettamente cosa significava una tale donazione, si riconosceva come vero schiavo della Vergine di Lujan. Così rimase circa quarant’anni servendo con somma pace e gioia la sua unica e amata Padrona; e Dio che solitamente guarda con amore le anime semplici colmandole di favori, gli ha fatto sperimentare in quel piccolo eremo ineffabili consolazioni”.
Custode della statua
La famiglia de Oramas fece costruire una cappella e molti altri fedeli si misero in pellegrinaggio da molte parti del Paese, fra il 1630 e il 1674. L'immagine fu battezzata la Virgen Estanciera e Patroncita Morena e il luogo fu chiamato Lugar del milagro. Quando don Diego Rosendo de Trigueros fu trasferito per il suo ministero dalla cattedrale di Buenos Aires a curato della città di Corrientes affidò l’amministrazione dei suoi beni al fratellastro don Juan de Oramas, che non mostrò molto interesse per la proprietà vicina al fiume Lujan. La proprietà rimase abbandonata, ma il servo Manuel rimase costantemente a custodire la piccola statua della Vergine. Dopo un po’ di tempo, Ana de Matos, proprietaria di un’azienda vicina, chiese e ottenne dall’amministratore dei beni di don Rosendo, don Juan de Oramas, la cessione della statua della Vergine, con la garanzia che avrebbe fatto costruire una cappella adatta a ricevere i pellegrini che diventavano sempre più numerosi; a Manuel però non fu più permesso di custodire l'icona.
Eventi inspiegabili
Da quel giorno iniziarono una serie di eventi inspiegabili, riconosciuti successivamente come miracolosi. Sistemata l'immagine della Vergine nel nuovo oratorio, la signora Ana de Matos, il mattino dopo scoprì che l'icona non era più sull'altare dove l’aveva collocata. Pensò subito che Manuel, nottetempo l’avesse trafugata, infatti fu trovata nella vecchia cappelletta assieme a lui. Nei giorni successivi, le sparizioni dell'immagine si ripeterono, e a nulla servì incatenare il servo al pavimento: ogni volta l'immagine veniva recuperata nella vecchia cappelletta. A questo punto la signora de Matos si rivolse al vescovo mons. Cristóbal de Mancha y Velazco e al governatore di Rio de la Plata José Martínez de Salazar. Insieme decisero di organizzare una processione alla presenza delle autorità civili ed ecclesiastiche, alla quale partecipò anche Manuel, divenuto di nuovo il custode dell'immagine. Da quel momento le sparizioni della statua cessarono. L’affluenza dei pellegrini e dei devoti crebbe a dismisura.
La cura dei malati
Manuel divenne l’amico di molti malati che a frotte cominciarono a salire a Lujan per invocare la Vergine Maria. Lui stesso li ungeva con l’olio della lampada che ardeva ininterrottamente davanti all’immagine e fu testimone di numerose guarigioni. Un suo antico biografo ha scritto che “la sua innocente semplicità era tale che qualche volta trattava la Santissima Vergine con estrema familiarità”. La sua morte avvenne nel 1686 all’età di 82 anni e fu sepolto vicino all’altare maggiore, dove era collocata la statua della Madonna.
Un messaggio contro le schiavitù di tutti i tempi
Sicuramente una storia affascinante, dal sapore della leggenda, e in alcuni passaggi probabilmente lo è, ma resta la vicenda dello schiavo Manuel che, affrancatosi dalla schiavitù degli uomini, si volle mettere al servizio della Madonna e godere della libertà dei figli di Dio. Ma ai nostri giorni, cosa può insegnarci la storia di questo schiavo africano, condotto per il traffico disumano degli schiavisti dall’arcipelago di Capo Verde in un Paese lontano? A che cosa può servire la sua beatificazione, e quindi il riconoscimento da parte della Chiesa della sua santità? Proporlo come esempio di santità assumerebbe ai nostri giorni un significato particolare, dal momento che la nostra epoca è di nuovo drammaticamente segnata dal fenomeno della schiavitù, anzi delle schiavitù. La figura dello schiavo Manuel, il Negrito della Vergine, può diventare un modello e un monito per l’intera società, un patrono delle vittime e ideale riferimento per intraprendere politiche di contrasto al fenomeno dello schiavismo, sempre più preoccupante sul piano internazionale, un invito a prendere coscienza del valore di ogni persona umana, anche la più fragile. Anche oggi ci sono degli schiavisti che operano senza scrupoli, basti pensare al feroce e cinico commercio di esseri umani, come quello del traffico di donne e di bambini costretti al lavoro forzato e alla prostituzione, o ai narcotrafficanti che per lucro rendono schiave tante persone, destinandole a una morte certa.
50 milioni gli schiavi di oggi
“Save the Children” nel suo rapporto annuale dal titolo “Piccoli Schiavi invisibili” dichiara che sono 50 milioni le persone vittime delle nuove forme di schiavitù e di queste 12 milioni sono minori, costretti al lavoro forzato e allo sfruttamento sessuale, oppure coinvolti in attività illecite e a matrimoni forzati. Si tratta di una brutale e inaudita violenza da parte di questi nuovi schiavisti che arrivano a distruggere la vita di bambini, bambine, adolescenti e giovani. E la cosa più tragica è che i numeri di questo fenomeno stanno di anno in anno aumentando, aggravate da alcune emergenze globali, quali la crisi climatica, le guerre, il flusso migratorio, con conseguente aumento delle povertà e delle vulnerabilità familiari. I flussi migratori, in particolare, alimentano inevitabilmente la tratta di persone e le varie forme di sfruttamento e di abusi, un vero e proprio replay della tratta degli schiavi dei secoli passati, ma con forme inedite e tragiche. Proteggere le figure più fragili come i bambini, gli adolescenti e le donne, spesso giovani madri con bambini al seguito al loro arrivo nelle zone di frontiera terrestri o marine, deve essere un compito prioritario per la società e per la Chiesa.
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