Alfie. Morresi: si tende sempre più ad abbreviare la vita
Debora Donnini-Città del Vaticano
La vicenda di Alfie Evans, il bimbo inglese di 23 mesi, affetto da una malattia neurodegenerativa per la quale non c'è diagnosi, a cui i medici vogliono sospendere la ventilazione artificiale con l'approvazione dei giudici, "conferma un andamento generale di prassi mediche, per cui, nel caso di malattie terminali, si tende sempre di più ad abbreviare la vita anziché ad accompagnarla fino all’esito che la malattia darebbe, cioè fino alla morte però nei tempi della malattia". Così Assuntina Morresi, membro del Comitato Nazionale di Bioetica, che, chiarendo di parlare "a titolo personale", si sofferma sul caso del piccolo ricoverato in un ospedale di Liverpool. I genitori si oppongono al distacco della ventilazione artificiale. Avevano chiesto l'intervento del Papa che, ieri, in un tweet ha auspicato "che possa essere fatto tutto il necessario per continuare ad accompagnare con compassione il piccolo Alfie Evans".
Sulla differenza fra accompagnamento ed eutanasia, la Morresi spiega che "accompagnamento vuol dire per esempio con cure palliative e terapia del dolore, rispettare i tempi della malattia, non abbreviare la vita, ma rendere anche vivibile, con dignità, l’ultima parte della vita che la persona malata ha, e non interrompere la vita quando noi pensiamo che non valga più la pena viverla".
Questo tweet del Papa è importante in questo momento?
R.- Sì, assolutamente. Ha acceso i riflettori su questo caso e ha smentito un’interpretazione "tendenziosa", che il giudice principale di questo caso aveva fatto delle parole stesse del Santo Padre. Papa Francesco in un messaggio ad un convegno internazionale di medici si era pronunciato con chiare parole contro l’accanimento terapeutico, cioè contro cure futili e sproporzionate. Questo giudice aveva usato "strumentalmente" queste parole per sostenere l’ipotesi dei medici dell’ospedale di staccare il sostegno vitale come se la respirazione di Alfie fosse un accanimento terapeutico mentre il Papa non usa ovviamente l’accanimento terapeutico per sostenere forme eutanasiche.
Ci sono poi altre due questioni: i genitori hanno chiesto la possibilità di trasferire il bimbo in altra struttura e anche qui, come nel caso di Charlie Gard, gli è stato negato. E poi c’è la questione del “miglior interesse”. Come mai vengono marginalizzati i genitori?
R. – Perché si è affermata la dottrina per cui il "massimo interesse" del minore è ciò che viene deciso dallo Stato, a prescindere dalle capacità genitoriali. Questa dottrina nata in nome dell’autodeterminazione di fatto sta diventando una eterodeterminazione, cioè è lo Stato, nella figura dei giudici o dei medici, a decidere cosa sia il meglio e quindi viene anche negata la libertà di cura perché potersi spostare da un ospedale all’altro è un diritto di scegliere il medico curante, che qui viene negato in maniera abbastanza inspiegabile.
I giudici si appoggiano su alcuni pareri medici…
R.- Sì ci sono alcuni pareri medici perché per esempio il Bambin Gesù - a leggere la prima sentenza – aveva detto che la tracheostomia, il tubo in gola, che permette una migliore gestione anche a casa del bambino insieme alla PEG, il sacchetto con il buco nello stomaco, e anche ad un'assitenza organizzata, poteva essere una soluzione per accompagnare Alfie fino alla fine. La non diagnosi, cioè riconoscere che c’è una malattia sconosciuta neurodegenerativa ad esito letale, era invece condiviso da tutti i medici. Quindi si tratta di un atteggiamento diverso nei confronti della morte e delle fasi finali della vita.
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