Alfie. Tribunale decide data distacco dei sostegni vitali
Debora Donnini-Città del Vaticano
L'Alta Corte di Londra ha fissato la data e l'ora per il distacco dei sostegni vitali ad Alfie Evans, ma non si sa quando questo avverrà: dovrà rimanere privato. Questa la conclusione dell’udienza di oggi pomeriggio sul caso di Alfie Evans, il bimbo inglese di 23 mesi, affetto da una malattia neurodegerativa, non ancora diagnosticata. Già tre sentenze inglesi avevano dato ragione ai medici dell’Alder Hey Children’s Hospital di Liverpool, dove il piccolo è ricoverato, mentre i giovani genitori, Thomas e Kate, fino alla fine si sono battuti perché non fosse percorsa questa strada. Rimane così inascoltato il loro appello a far trasferire il loro piccolo in Italia, con la disponibilità ad accoglierlo del Bambino Gesù di Roma. Chiedevano di poter accompagnare il figlio, curandolo fino alla fine naturale ed evitando la morte per soffocamento causata dalla sospensione della respirazione assistita.
Molte voci si sono levate a loro sostegno: una vasta mobilitazione popolare con iniziative di preghiera, petizioni e mobilitazioni di piazza. Un appello per Alfie era venuto anche da oltre 100 parlamentari italiani. Il Papa in un tweet del 4 aprile aveva chiesto che potesse “essere fatto tutto il necessario per continuare ad accompagnare con compassione il piccolo Alfie”. “La profonda sofferenza dei suoi genitori - aveva chiesto - possa essere ascoltata. Prego per Alfie, per la sua famiglia e per tutte le persone coinvolte”.
Morresi: atto eutanasico, in gioco la libertà di cura
Una vicenda che ricorda da vicino quella di Charlie Gard, come ci conferma Assuntina Morresi, membro del Comitato Nazionale di Bioetica:
“Questa vicenda purtroppo ricorda quella di Charlie Gard e conferma che, per quanto riguarda bambini, minori, con una prognosi di morte - diciamo - non imminente ma certa, senza neanche un periodo ben stabilito, con una bassa qualità di vita, non ci si pone il problema di accompagnarli alla morte ma ci si pone il problema di interrompere questa vita perché non sarebbe di loro massimo interesse continuare a vivere”. “Parliamo di bambini - spiega - con malattie molto gravi, neurodegenerative. Quella di Alfie non ha neppure un nome ma fa parte di questa triste famiglia di patologie però ormai vediamo consolidare un metodo: una sorta di atto eutanasico di tipo omissivo – diciamo - cioè si sospendono sostegni vitali ancora efficaci. In questa parte la vicenda di Alfie è molto simile a quella di Charlie, nella prima parte no”.
Il padre di Alfie aveva chiesto con forza la possibilità che il figlio fosse trasferito in Italia. Perché non è stato concesso?
R. – Per lo stesso motivo per cui non è stato lasciato a Charlie Gard e – vorrei ricordare – anche al piccolo Isaiah Haastrup. Nel momento in cui comincia un contenzioso nelle Corti, poi la sentenza va applicata: una volta che inizia il contenzioso, poiché i medici decidono che il massimo interesse per quel bambino è morire, per loro quella sentenza va eseguita. E, in questo caso, tutti i gradi di giudizio interni inglesi hanno confermato questa posizione dei medici dell’Alder Hey, cioè hanno detto che quella posizione era corretta dal punto di vista legale. E anche la Corte dei diritti umani di Strasburgo, ormai per la terza volta dopo Charlie e Isaiah, ha ritenuto opportune – diciamo così – le procedure inglesi. Ma questi genitori – i genitori di Alfie così come quelli di Charlie – non volevano portare il loro bambino da un ciarlatano, volevano spostarlo da un ospedale internazionale importante, come l’Alder Hey, a un altro ospedale importante a livello internazionale come il Bambino Gesù. Quindi è veramente in gioco la libertà di cura in questo caso.
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