Speranze di pace tra Etiopia ed Eritrea
Salvatore Tropea – Città del Vaticano
Per la prima volta in venti anni una delegazione eritrea, guidata dal ministro degli Esteri Osman Saleh, è arrivata nella capitale etiopica Addis Abeba per parlare della fine del decennale conflitto tra i due Paesi e avviare così dei colloqui per una pace stabile e duratura. L’evento, definito storico anche da Papa Francesco, è un passo importante verso la risoluzione dei rapporti tra i due Paesi del Corno d'Africa. I legami diplomatici, infatti, erano stati interrotti nel 1993, quando l’Eritrea chiese l’indipendenza dall’Etiopia.
La speranza di una pace stabile
L’incontro di qualche giorno fa è il primo di una serie di dialoghi sulle riforme proposte da quando Abiy Ahmed è diventato primo ministro etiope. Parlando a nome dell’intero Paese, Ahmed ha detto: “questa disputa si conclude con questa generazione: che inizi l'era dell'amore e della riconciliazione”. La speranza dei due paesi è quella che si possa arrivare “ad una pace utile per i cittadini e non solo per i governi e che sia quindi stabile e duratura”, come spiega ai nostri microfoni don Mussie Zerai, sacerdote dell’eparchia di Asmara, da anni cappellano degli eritrei in Europa (Ascolta l’ Intervista a don Zerai sui colloqui di pace tra Etiopia e Eritrea).
Religioni fondamentali per la riconciliazione
A dare il benvenuto alla delegazione eritrea era presente anche il cardinale Berhaneyesus Souraphiel, Presidente dell’Associazione delle Conferenze Episcopali Membri dell'Africa Orientale (Amecea), oltre che Presidente della Conferenza Episcopale dell'Etiopia e Arcivescovo Metropolita di Addis Abeba. L'arcivescovo ha definito questo evento “un momento felice per le Chiese cattoliche in Etiopia ed Eritrea” affermando che i fedeli di entrambi i paesi hanno pregato per la pace dall’inizio del conflitto. Come racconta don Zerai, il ruolo delle religioni è fondamentale per arrivare ad una pace duratura. Il primo ministro etiope ha infatti convocato i leader religiosi e questo conferma l’importanza di tutte le religioni affinché “riescano a preparare e a predisporre la popolazione alla riconciliazione, senza rancori e senza vendette”.
Un esempio per tutto il continente africano
Il primo ministro dell’Etiopia sta inoltre spingendo – sottolinea don Zerai – per una pace “che non sia solo tra questi due paesi, ma anche con quelli vicini come Sudan, Gibuti e Somalia, quindi tutto il Corno d’Africa”. In questa prospettiva, una pace duratura e diffusa può diventare “un esempio per tutto il continente perché ad oggi – racconta il sacerdote – ci sono più di venti conflitti latenti e non diffusi in tutta l’Africa”.
Una guerra devastante
La guerra scoppiò nel 1961 a seguito dell'annessione forzata dell'Eritrea da parte del governo etiope e si prolungò fino al 1991, concludendosi con la vittoria eritrea e la proclamazione dell'indipendenza nel 1993 a seguito di un referendum. Un conflitto tra i due Paesi si ebbe però anche tra il 1998 e il 2000, per questioni legate alla definizione dei confini. “Il conflitto – spiega don Mussie Zerai – ha causato oltre 70 mila vittime anche e soprattutto dopo la sua fine. Molte persone, infatti – sottolinea il sacerdote – sono morte sia per le tante scaramucce che rinascevano di tanto in tanto lungo i confini, ma anche per il problema delle migrazioni, una tragica conseguenza proprio della guerra”.
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