Giornalisti del Mediterraneo. Padre Driga: educare all'accoglienza
Gabriella Ceraso - Città del Vaticano
A fronte di un'epoca contraddistinta da un forte fenomeno migratorio dove le popolazioni si mescolano come mai prima di ora, il dialogo interreligioso può contribuire a realizzare una prospettiva di coesione e non di scontro? La domanda è stata al centro di uno dei workoshop in programma alla decima edizione del festival Giornalisti del Mediterraneo in corso a Otranto.
Protagonista dell'accoglienza
Interlocutore, tra gli altri, il padre Mikhail Driga della comunità ortodossa romena di Bari, che a Vatican News parla di quanto sia importante l'educazione all'accoglienza e al confronto. Innanzitutto, afferma, "io stesso ho fatto esperienza di emigrazione, sono romeno e sono stato accolto e aiutato in Italia; ora sono io a voler fare lo stesso, a voler ricambiare insegnando agli altri ciò che ho appreso sulla mia pelle". Padre Driga ribadisce il valore fondante nel dibattito attuale sulle migrazioni, dell'educazione e della preparazione di chi è preposto a educare. Sia la Chiesa, che la famiglia, la politica, la società. Ognuno deve fare la sua parte".
Educare da bambini all'accoglienza
Padre Mikhail, che ancora ricorda la visita del Papa a Bari in occasione della preghiera ecumenica e ne sottolinea la diffusa sensibilizzazione al tema della pace generato nella popolazione, rimarca il lavoro che la comunità ortodossa compie a Bari con progetti dedicati ai bambini. "L'altro, per i più piccoli, è il nuovo non il diverso; nei bambini non c'è pregiudizio, c'è una disponibilità e un'apertura che gli adulti perdono. E' con loro dunque che va fatto innanzitutto l'esercizio della convivenza". Luoghi deputati "sono i luoghi di culto veri e propri - spiega - ma anche la chiesa domestica, cioè la famiglia e poi la scuola e la società tutta".
Le migrazioni come sfida. Il caso Libia
Intanto però, la cronaca continua a proporre storie che fanno paura e che incutono il timore e il rifiuto dell'altro. E la Libia, con i tanti casi di naufragi ignorati, di "orrori" che avvengono nel silenzio del mare, la fa da padrona. Al festival ne parla Michela Marcuri, docente di Storia contemporanea dei Paesi del Mediterraneo all'Università di Macerata, che viene a presentare il suo ultimo libro intitolato " Incognita Libia". Che ne sarà di questo Paese? Come si è arrivati al caos odierno e come ricostruire?
Impossibili elezioni entro l'anno, prima stabilità
"Impossibile", afferma, rispondendo alle provocazioni della cronaca ovvero alla convinzione della Francia che si possano svolgere elezioni nel Paese nordafricano completamente "sgretolato su se stesso dal 2011". "Non è il voto la precondizione alla stabilizzazione", spiega "ma è esattamente il contrario". Il Paese nordafricano "ha un'economia prevalentemente illegale, il reddito procapite è precipitato e le possibilità per i giovani di un'alternativa ai traffici criminali o all'arruolamento nelle milizie armate sono ad oggi, nulle". Tra le priorità che la Marcuri scandisce per una ripresa, ci sono il far "ripartire l'economia, disarmando le milizie, rafforzare la centralizzazione anche della Banca e redistribuire i proventi della ricchezza petrolifera. Poi occorre creare un dialogo inclusivo tra attori locali".
Serve più Europa non soluzioni tampone
Finora si è sbagliato tutto in Libia afferma Michela Marcuri: politiche tampone come quelle dell'Italia, ingerenze come quelle della Francia, indifferenza sostanziale di tutta l'Europa. La professoressa rilancia una piena assunzione di responsabilità da parte dell'Unione Europea, che permetterebbe anche un più efficace contrasto della criminalità, che oggi gestisce il traffico di esseri umani, e l'apertura di corridoi umanitari che resta tuttora una soluzione possibile al dramma dei migranti.
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