Nigeria: card. Onaiyekan, rinvio elezioni è vergogna per il Paese
Giada Aquilino - Città del Vaticano
Da una parte le violenze, dall’altra un voto presidenziale e legislativo posticipato da oggi al 23 febbraio, ufficialmente perché i materiali elettorali non sono stati consegnati in alcune aree del Paese. La Nigeria vive nuove tensioni, a poche ore dalle violenze che hanno sconvolto ieri lo Stato settentrionale di Kaduna, quando almeno 66 persone, tra le quali 22 bambini e 12 donne, sono state uccise da un gruppo di uomini armati.
La scelta tra Buhari e Abubakar
Il Paese più popoloso d’Africa, con 190 milioni di abitanti, si sarebbe dovuto recare alle urne in queste ore per scegliere, oltre ai rappresentanti dell’Assemblea Nazionale, anche il nuovo presidente: a contendersi la carica, il capo di stato uscente Muhammadu Buhari, del Congresso di tutti i progressisti (Apc), e l’ex primo ministro e imprenditore Atiku Abubakar, del Partito democratico del popolo (Pdp).
Sicurezza e sviluppo economico
Durante la campagna elettorale, già contrassegnata da scontri e attacchi, Buhari aveva difeso il proprio operato, puntando sulla lotta alla corruzione, sulla cessazione del conflitto tra pastori semi-nomadi e agricoltori nella fascia centrale del Paese e sulla neutralizzazione del gruppo jihadista Boko Haram, già dichiarato “tecnicamente sconfitto” dal presidente uscente, ma di fatto ancora operativo in Nigeria e nei Paesi limitrofi: l'ultimo attacco ieri sera a Maiduguri, nel Nord-Est, con almeno otto morti. Abubakar per le consultazioni aveva invece insistito sul tema dello sviluppo economico, puntando a invertire il trend negativo in cui è scivolato il Paese, con un Pil - spiega un’analisi del Centro studi internazionali - calato di quasi il 34% dal 2014 al 2017 e influenzato dal crollo del prezzo del petrolio e dalla vulnerabilità strutturale del sistema produttivo nazionale, basato quasi esclusivamente sull’esportazione di materie prime: la Nigeria è il maggiore produttore di greggio in Africa con oltre due milioni di barili al giorno, ma la miseria continua ad essere devastante.
Il commento del cardinale Onaiyekan
Più che di “delusione” per il rinvio delle consultazioni, il cardinale John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo metropolita di Abuja, parla con Vatican News di “vergogna” davanti “al mondo” per una mancata occasione verso un processo di democratizzazione e pacificazione dell’intero Paese (Ascolta l'intervista al cardinale Onaiyekan).
R. - Non si spiega il rinvio delle elezioni, perché fino a ieri pomeriggio il capo della Commissione elettorale (Inec), il professor Mahmood Yakubu, aveva assicurato a tutti, inclusi gli osservatori internazionali, che tutto era in ordine per le consultazioni previste per oggi. Non ha menzionato alcun problema, anzi ha smentito voci su possibili posticipazioni. Qualunque sia il motivo, la situazione è veramente molto pericolosa: per noi nigeriani è una grande vergogna. Non dico delusione ma vergogna perché davanti al mondo abbiamo fatto veramente una bruttissima figura.
Non tutti i materiali sarebbero stati consegnati alle sedi elettorali…
R. - Come mai ieri non si era a conoscenza del fatto che tutti i materiali non erano stati distribuiti? Abbiamo avuto quattro anni di tempo per preparare le elezioni e sono stati stanziati tanti soldi per queste elezioni!
Potrebbero esserci anche ragioni dovute alla sicurezza? Ci sono stati attacchi armati…
R. - No. Eravamo a conoscenza della situazione riguardo la sicurezza e avevamo deciso che non ci avrebbe impedito di portare avanti il processo democratico del Paese, perché anche per affrontare bene la situazione riguardo la sicurezza nigeriana c’è bisogno di un governo stabile. E per questo servono elezioni.
Un’azione di uomini armati nello Stato di Kaduna ha provocato numerose vittime ieri. Di cosa si è trattato?
R. – Almeno 66 vittime! Purtroppo in Nigeria da più di quattro anni quasi ogni giorno ci sono notizie di persone uccise. E la perdita di 66 anime nell’attacco di Kaduna è passato come un fatto di cronaca e niente più.
Che zona è quella di Kaduna?
R. – È una zona che si chiama Middle Belt, tra il Nord e il Sud. La maggioranza delle persone che abitano in quella zona è di fede cristiana, però per tanti secoli la gente del Nord, musulmani fulani, ha avuto posizioni di potere. Da dieci anni a questa parte la gente ha riconquistato la propria libertà, ma c’è sempre una tensione tra gli hausa-fulani e la gente che loro chiamano gli aborigeni locali.
Certa stampa ha parlato di contrasti tra musulmani e cristiani…
R. - In quella zona non si può semplicemente dire “cristiani” o “musulmani”: c’è un contrasto etnico e politico che purtroppo coincide più o meno, perché il gruppo dei musulmani è anche un gruppo politico particolare, mentre il resto della popolazione, indegna, è a grande maggioranza cristiana.
In questi anni la violenza dei Boko Haram da una parte e gli scontri tra pastori nomadi e agricoltori dall’altra hanno minato in un certo senso la sicurezza nel Paese. Il presidente Buhari aveva dichiarato “tecnicamente sconfitto” Boko Haram. È così?
R. - Il caso dei Boko Haram è diverso da quello degli agricoltori e dei pastori. Quest’ultimo riguarda la zona centrale e meridionale, tra Kaduna, Palteau, Benue e la zona attorno ad Abuja. Ma quello del Nord-Est riguarda gruppi armati che hanno il sostegno di al Qaeda e di Isis.
Quindi sono ancora attivi…
R. - Sono molto attivi.
La lotta a Boko Haram è ancora un tema presente nella sfida presidenziale?
R. - Quando il presidente Buhari entrò in carica quattro anni fa, una delle promesse riguardava il fatto, come musulmano ed ex generale, avrebbe avuto un confronto con i Boko Haram per far tornare la pace nel Paese. Questo è quanto aveva promesso. Poi ha detto che tecnicamente avrebbe vinto, ma di fatto la gente si trova sempre nella stessa situazione. Ogni tanto i miliziani occupano villaggi, hanno dei posti di blocco, uccidono, rubano, sequestrano. La zona è piena di soldati, però sembra non siano ben organizzati, né armati.
Nella prospettiva delle elezioni, a questo punto del 23 febbraio, qual è l’appello della Chiesa?
R. - L’appello della Chiesa è sempre quello di incoraggiare la nostra gente a rimanere ferma, a non perdere la speranza, a votare. Poi c’è anche una campagna spirituale di pregheria in tutto il Paese. Non abbiamo dato indicazioni circa il partito da votare: abbiamo lasciato alla nostra gente la libertà di scegliere qualunque schieramento. Ma abbiamo detto: “Qualunque sia il partito, un cattolico deve farsi vedere come una persona che persegue la via della pace, dell’onesta e della giustizia”.
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