La strage delle Fosse Ardeatine 75 anni dopo: un abisso di dolore
Gabriella Ceraso - Città del Vaticano
Sono trascorsi 75 anni dall'episodio più drammatico della guerra partigiana italiana, espressione della "violenza deliberata dell'uomo sull'uomo" come disse nel 2011 Papa Benedetto XVI visitando il sacrario delle Fosse Ardeatine simbolo, dal 1944, di una tragedia collettiva. Prima di lui Papa Paolo VI nel 1965 e poi Giovanni Paolo II nel 1982 avrebbero visitato questo luogo di dolore, per pregare, per rinnovare la memoria ma anche per rilanciare un messaggio di fratellanza, contro ogni progetto di potenza e sopruso. "Fa o Signore che ci togliamo i calzari dell'egoismo e dell'indifferenza e attraverso il roveto ardente di questo mausoleo ascoltiamo in silenzio il tuo nome" avrebbe detto nella sua preghiera Papa Francesco, che in silenzio percorse, il 2 novembre del 2017, le grotte del Sacrario sfiorando le lapidi dei defunti identificati e deponendovi mazzi di fiori.
La storia
Il 24 marzo del 1944 a Roma, all'interno delle cave di pozzolana sulla Via Ardeatina, per rappresaglia ad un attentato avvenuto il giorno precedente in Via Rasella contro un reparto armato tedesco, 335 persone furono brutalmente uccise: erano militari e civili, giovani e anziani, tra loro anche un sacerdote, don Pietro Pappagallo, prigionieri politici e 75 ebrei . "Una pagina di orrore che ferì l'intera Italia: doveva essere una rappresaglia circoscritta a prigionieri e condannati a morte e invece rappresentò una vera e propria vendetta contro tutti coloro che, anche senza alcuna responsabilità politica, in Italia si opponevano al nazismo". Sono le parole del professor Emilio Gentile emerito di Storia contemporanea all'Università La Sapienza di Roma con il quale ripercorriamo quelle tragiche pagine italiane. Il contesto è quello di Roma città occupata come divenne tra l'11 settembre 1943 al 5 giugno del 1944, ovvero a partire dalla firma dell'Armistizio dell'8 settembre quando la Germania nazista da alleata cambiò il suo volto in occupante, sotto la guida del generale Albert Konrad Kesselring e del capo della polizia Herbert Kappler, autore dell'eccidio alle Fosse Ardeatine. Una dura repressione tenne la popolazione romana in condizioni di miseria e di paura, e l'odio maturò tra le file della resistenza.
L'attentato e la rappresaglia
Tutto si compie rapidamente e drammaticamente in due giorni: il 23 marzo del 1944 i Gruppi d’Azione Patriottica fanno scoppiare una bomba in un carretto da spazzino, laddove ogni giorno alla stessa ora passava un reparto militare degli occupanti, e in Via Rasella sul terreno restano 32 soldati tedeschi. "Fu l'attacco più grave della resistenza in tutti i paesi occupati e la reazione fu la più feroce", spiega il professor Gentile. L'ordine partì direttamente da Hitler e la ferocia contraddistinse non solo il rastrellamento per le strade di Roma, ma soprattutto l'esecuzione che vide gli stessi carnefici restii a portare a termine l'ordine: un colpo alla nuca su persone inginocchiate al buio su file di cadaveri. "L’entità - commenta il professor Gentile - è proporzionata soprattutto al fatto che tutto avvenne in una città, capitale d’Italia, appena dichiarata 'città aperta' e inoltre sede del Papato, due cose che sembravano metterla al riparo dalla guerra civile che imperversava nel resto d' Italia e dalle azioni più efferate. Da questo punto di vista l’attentato assunse anche per i tedeschi l'aspetto di una carneficina senza eguali che meritava una rappresaglia dalle proporzioni impensabili con tute le polemiche cha ha portato con sè in settant'anni".
La memoria e le giovani generazioni
Cosa è cambiato da allora? Quale insegnamento ne è stato tratto? "Nonostante tutti i mali lasciati nella società europea - commenta il professor Gentile - l’Europa dal 1945 alla feroce guerra balcanica non ha conosciuto più una guerra. Quindi qualcosa è stato appreso dall’esperienza di quella guerra e la stessa volontà di unificare il vecchio continente nata dalle forze democratiche europee, sta a significare che qualcosa di profondamente più umano si era realizzato dopo la disperata esperienza della seconda guerra mondiale, combattuta per lo più sul suolo europeo. Purtroppo però manca la capacità di conservare stabilmente questo insegnamento e si scivola verso qualcosa che fa dimenticare queste tragedie o addirittura induce ad avere l'illusione che non si ripeteranno". Ciò che auspica il professor Gentile è di non ricordare solo periodicamente la storia ma di acquisire una consapevolezza costante che viviamo sempre sul limite di un abisso e non è facile tenersene fuori.
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