L’Unicef lancia un appello per i figli dei foreign fighters in Siria e in Iraq
Barbara Castelli – Città del Vaticano
“Sono bambini che vanno trattati come vittime”: si tratta di circa 29.000 figli di foreign fighters, “molti sotto i 12 anni”, che “affollano campi, centri di detenzione, orfanotrofi”, soprattutto in Siria e in Iraq. Andrea Iacomini, portavoce Unicef Italia, racconta ai microfoni di Vatican News un’altra drammatica conseguenza della guerra legata allo Stato Islamico: “bambini tra i più vulnerabili al mondo”, che “vivono in condizioni terribili, con minacce costanti alla salute, alla sicurezza, al loro benessere, e con poco supporto familiare”. “Sono dei bambini che vengono doppiamente respinti – prosegue – perché da una parte vengono stigmatizzati dalle comunità e dall’altra sono emarginati dai governi. Affrontano poi problemi enormi di tipo legale, logistico e politico per accedere a servizi di base oppure per ritornare al loro paese di origine”. Si tratta di piccoli “nati in zone di conflitto, non per colpa loro”: “spesso sono stati manipolati per supportare gruppi armati, spesso lo hanno dovuto fare per sopravvivere”. “Sono tutti vittime di circostanze tragiche – aggiunge il portavoce Unicef Italia – e tutti vanno trattati come bambini: non c’è alcuna distinzione tra loro e i nostri figli”.
L’appello di Unicef
L’Unicef riconosce il diritto sovrano di ciascun Paese di proteggere gli interessi di sicurezza nazionale, ma chiede agli Stati membri di rispettare parimenti i propri impegni in accordo con la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. In modo particolare, il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia esorta a fornire i documenti civili ai piccoli che sono loro cittadini o che sono nati da loro cittadini; a impedire che questi bambini siano o diventino apolidi; a sostenere il loro ritorno sicuro, dignitoso e volontario e il loro reinserimento nei Paesi di origine. Inoltre, per i minorenni in stato di fermo, chiede di garantire che la detenzione sia una misura di ultima istanza e per il più breve tempo possibile; e, per i minorenni che hanno superato l’età della responsabilità penale e che sono accusati di atti criminali, di assicurarsi che siano applicate le norme riconosciute a livello internazionale per un processo equo e la giustizia minorile. “Questi bambini vanno trattati come vittime”: insiste Andrea Iacomini, “non come colpevoli e ogni decisione che li riguarda, compreso il rimpatrio, deve essere presa in considerazione del loro superiore interesse, in accordo con gli standard giuridici internazionali”.
L’educazione e il processo di reintegrazione
Il portavoce Unicef Italia parla, inoltre, dell’educazione dei bambini come “elemento strategico” per un’effettiva reintegrazione: “perché restituisce loro consapevolezza”; “li reinserisce in un contesto che hanno perduto”; consente loro “di interagire”, sviluppando “una consapevolezza e un nuovo orientamento rispetto a quello che hanno vissuto”. “Si tratta di bambini profondamente violati – conclude – quindi l’istruzione diventa fondamentale”.
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