Acs lancia una nuova campagna di solidarietà per i cristiani siriani
Barbara Castelli – Città del Vaticano
“La guerra in Siria non è finita”: Aiuto alla Chiesa che Soffre non si rassegna e cerca di “ribellarsi all’indifferenza”, sostenendo, ancora una volta, le minoranze perseguitate. Il direttore di Acs, Alessandro Monteduro, spiega con queste parole il senso della nuova iniziativa della Fondazione a sostegno di due differenti progetti per i cristiani siriani. “C’è un solo modo per rispondere all’oppressione – rimarca – sostenere le minoranze: innanzitutto le minoranze religiose e ancor di più la minoranza cristiana povera e oppressa”.
Una mano tesa per Aleppo e Damasco
Il primo progetto avrà luogo ad Aleppo, dove anni di conflitto hanno lasciato ferite profonde e dolorose. Il futuro è per molti drammaticamente incerto, anche a causa della difficile situazione economica. Acs ha, quindi, risposto all’appello di mons. Georges Abou Khazen, vicario apostolico di Aleppo dei latini, il quale ha chiesto aiuto per l’acquisto di pacchi viveri da distribuire alle famiglie cristiane più povere. “I siriani oggi non sono più alla ricerca della libertà – prosegue Alessandro Monteduro, nell’intervista concessa a Vatican News – sono alla ricerca del pane quotidiano, dell’acqua, del gas per cucinare, di qualche litro di carburante, di medicine. Noi proviamo a dare loro una mano da questo punto di vista e chiediamo ai nostri benefattori, che sono di una generosità fenomenale, di aiutare ancora una volta questi nostri fratelli”.
Il secondo progetto ha, invece, luogo a Damasco, dove sono molti i cristiani malati che, pur avendo bisogno di cure costanti, non possono acquistare medicine perché troppo costose. Il patriarca della Chiesa di Antiochia dei Greco-Melkiti Youssef Absi ha chiesto aiuto alla Fondazione per l’acquisto di farmaci e per l’assistenza medica a domicilio.
I cristiani sono costruttori di ponti
Dal 2011, inizio della guerra in Siria, fino a fine 2018, Aiuto alla Chiesa che Soffre ha donato circa 30 milioni e 400 mila euro alle chiese locali, e in molte aree in cui è garantita la sicurezza ha già iniziato a sostenere un piano per la ricostruzione di chiese e case. “Quello che dobbiamo fare è comprendere – aggiunge il direttore di Acs – che sostenere queste minoranze in Medio Oriente è uno straordinario strumento, uno straordinario vaccino contro i virus dell’oppressione e dei fondamentalismi, perché i cristiani non sono solo pacifici: sono soprattutto pacificatori, capaci cioè di costruire ponti di dialogo”.
Siria ancora nel sangue
La cronaca in Siria, intanto, riporta ancora pagine di violenza. Oggi 4 militari governativi sono morti e altri 14 sono rimasti feriti in un attentato dinamitardo nella regione meridionale di Daraa. Ieri, invece, a perdere la vita sono stati 11 civili, tra cui tre bambini, nel corso di raid aerei nella regione di Idlib.
R. – Cerchiamo di non rassegnarci e cerchiamo di ribellarci all’indifferenza. Del resto, sono i contenuti del messaggio pasquale Urbi et Orbi che lo stesso Santo Padre ha voluto lanciare. La guerra in Siria, avviatasi nel 2011, secondo quella che è la narrazione globale, sarebbe terminata. In realtà, non è vero perché il 40% del territorio siriano non è ancora sotto il controllo di colui il quale viene considerato il vincitore del conflitto, vale a dire il governo Assad. In modo particolare, nell’area nord- ovest del Paese, il cui epicentro è Idlib, negli ultimi mesi si è concentrato il conflitto più cruento, perché a Idlib si sono rifugiati i ribelli. Lì, ci sono 150 mila sfollati interni! I nostri francescani, che sono ancora eroicamente presenti, raccontano delle storie drammatiche di decine, centinaia di siriani – cristiani e non – che chiedono loro rifugio perché non hanno altro luogo presso cui recarsi e che, quindi, accettano di dormire sotto gli alberi addirittura! Aiuto alla Chiesa che Soffre allora, attraverso questa azione, vuole riportare o tenta di riportare la Siria al centro della discussione.
Aleppo e Damasco sono i punti cardine di questa iniziatica. Cosa si può fare con un piccolo gesto di vicinanza?
R. - Si può fare moltissimo! I siriani oggi non sono più alla ricerca della libertà; sono alla ricerca del pane quotidiano, dell’acqua, del gas per cucinare, di qualche litro di carburante, di medicine. Noi proviamo a dare loro una mano da questo punto di vista. Chiediamo ai nostri benefattori, che sono di una generosità fenomenale, di aiutare ancora una volta questi nostri fratelli per una ragione semplice: in primo luogo, glielo dobbiamo. È inutile stare a sottolineare cosa vuole significare per noi lo spirito solidaristico per questi nostri fratelli nella fede che magari, poveri tra i poveri, non hanno neppure quei denari sufficienti per poter lasciare la Siria. Ma ancor di più, perché c’è un solo modo per rispondere all’oppressione: sostenere le minoranze. Innanzitutto le minoranze religiose e ancor di più la minoranza cristiana povera e oppressa. Questa volta lo facciamo in Siria.
Papa Francesco, come accennava, segue sempre con attenzione la situazione in Siria, pensando anche a quanto sia importante la presenza dei cristiani in queste terre …
R. - Siria e Iraq sono le nostre culle. È un fatto certamente di fede e giustamente il Santo Padre lo richiama, ma oltre alla fede noi ci rivolgiamo anche a chi non ha fede provando a dire: lì c’è una grande comunità, una comunità che, otto anni or sono, era un esempio per l’intera area mediorientale e che ha bisogno di noi. Quello che dobbiamo fare è comprendere – ecco perché ci rivolgiamo non solo agli uomini e alle donne di fede – che sostenere queste minoranze in Medio Oriente è uno straordinario strumento, uno straordinario vaccino contro i virus dell’oppressione e dei fondamentalismi, perché i cristiani non sono solo pacifici: sono soprattutto pacificatori, capaci cioè di costruire ponti di dialogo.
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