Sudan: una donna cristiana nel Consiglio che gestirà la transizione nel Paese
Benedetta Capelli – Città del Vaticano
“Un buon segnale”. Così fonti religiose locali commentano a Vatican News la nomina di Rayaa Nicol Abdel Masih, cristiana copta, chiamata a far parte del Consiglio sovrano del Sudan insieme ad altri 10 membri. Si tratta di un avvocato e le sue competenze legali – riferiscono ancora le fonti - potranno essere d’aiuto nella transizione democratica verso un governo civile. Un percorso di tre anni che è frutto dell’accordo, siglato lo scorso 17 agosto, tra la Giunta militare (Tmc) e l’opposizione riunita nelle Forze per la libertà e il cambiamento; una strada che porterà alle elezioni del 2022.
Il dopo Bashir
Del Consiglio sovrano fanno parte 5 civili e 5 militari e sarà guidato dal generale Abdel Fattah al-Burhan, già a capo del Consiglio militare, in carica per 21 mesi e che poi sarà sostituito da un civile per i rimanenti 18. Oggi il suo giuramento e quello degli altri membri del Consiglio. L'organismo sostituisce il Consiglio militare di transizione che si è insediato dopo mesi di proteste di strada e che hanno fatto crollare, in aprile, il controverso presidente Omar al-Bashir.
Un futuro ancora da scrivere
L’agenzia spagnola Efe, sulla nomina di Abdel Masih, riporta il commento di un esponente dell’opposizione che parla di una scelta per “esprimere la tolleranza religiosa e la diversità nel Paese”. “Bisogna avere un cauto ottimismo”, spiegano le fonti religioni interpellate in Sudan che, comunque, apprezzano l’apertura e il coinvolgimento delle minoranze religiose ed etniche. Prudenza è quella espressa dall’analista di Nigrizia, Raffaello Zordan:
R. - Se è un buon segnale lo vedremo nelle prossime settimane. Si tratta di capire dove porterà davvero questo Consiglio sovrano, praticamente un governo provvisorio, che dovrebbe durare in carica tre anni e di fatto aprire la strada a riforme. Più profondamente dovrebbe sancire il fatto che dovremmo trovarci di fronte, poi, ad un governo laico, quindi non più ad una dittatura islamista, ma un governo laico. Molti dei professionisti che facevano parte delle associazioni che hanno promosso i moti di piazza pacifici di questi mesi restano però alla finestra; tentano di fare pressione ma non sono entrati nell’esecutivo. Credo sia una partita molto complicata e che questa transizione non sarà semplice. Per cui dobbiamo essere prudenti.
Fonti religiose del Paese ci hanno detto che è anche un segnale di speranza il fatto che la cerimonia della ratifica di questo accordo sia stata segnata dalla preghiera di uno sceicco, ma anche di un prete copto. Questo può essere un segnale di apertura, di tolleranza religiosa?
R. - Questi segnali “simbolici” hanno comunque un valore e vanno presi in considerazione. Dopo di che mettersi all’interno del governo e modificare le cose credo sia una partita difficile, perché stiamo parlando di un Paese che dal 1989 – quindi da trenta anni – era retto da Omar al-Bashir. Cos’ha fatto quest’uomo in questi anni? Ha praticamente destrutturato lo Stato e ha giocato delle partite terribili come quella del Darfur. Il punto è che oggi chi comanda, chi ha in mano il potere, la forza, in Sudan è un personaggio come Mohamed Hamdan Dagalo, che è praticamente il numero due dei militari; ma è anche colui che ha in mano le milizie, le famose Forze di Supporto Rapido. Non dimentichiamo anche un’altra cosa: l’ottanta percento dell’amministrazione pubblica è stata messa lì da al-Bashir quindi anche quello sarà un lavoro complicato. Poi, terza questione che si pone sempre quando ci sono cambiamenti molto forti, è che un conto è fare le manifestazioni di piazza, un altro è tradurre in pratica le cose che chiedi in piazza. La speranza è che questo avvenga senza che ci siano interventi militari, gli ultimi dei quali sono stati nei primi di agosto e sono state uccise delle persone. Quando dico militari non intendo l’esercito sudanese, perché probabilmente quest’ultimo in quanto tale non esiste; esistono tante milizie, persino le milizie degli ex servizi segreti. Quindi stiamo parlando di un terreno minato. È giusto dare credito a questo nuovo esecutivo provvisorio, ma bisogna sapere che si cammina sul filo del rasoio.
Tra l’altro non bisogna dimenticare che ci sono anche delle forze esterne che in un certo modo guidano il destino del Sudan. Il generale Dagalo è una sorta di rappresentante degli interessi di Arabia Saudita, Emirati Arabi, Egitto …
R. – Esattamente. Dagalo utilizza le sue milizie sul terreno dalla Libia fino allo Yemen, perché era molto vicino a Omar al-Bashir e poi da un momento all’altro, nell’aprile scorso, lo ha messo da parte, entrando nel consiglio militare transitorio.
Per quanto riguarda invece il rapporto con il Sud Sudan è già possibile ipotizzare una politica di questo nuovo Sudan o no?
R. - No, è difficile ipotizzarla perché il Sud Sudan si trova ancora in una fase di assestamento. Certo, se Khartoum diventasse uno Stato guidato da un governo laico, con una politica di apertura nei confronti di tutti i territori, si presume che guarderebbe anche al Sud Sudan con un atteggiamento di collaborazione. Ma ancora, direi che le due fazioni che si fronteggiano e fanno riferimento al presidente e all’ex vice presidente sud sudanesi sono ancora in una fase tutta da verificare.
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