Giornata della Memoria, Liliana Segre: raccontare l’orrore senza seminare odio
Fabio Colagrande e Antonella Palermo - Città del Vaticano
“L’anniversario dell’indicibile crudeltà che l’umanità scoprì settantacinque anni fa sia un richiamo a fermarci, a stare in silenzio e fare memoria. Ci serve, per non diventare indifferenti”. Così Papa Francesco, ricevendo recentemente in Vaticano una delegazione del Simon Wiesenthal Center, si è riferito al 75° anniversario della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau che ricorre quest’anno proprio il 27 gennaio, Giorno della memoria. “Se perdiamo la memoria, annientiamo il futuro”, ha detto ancora in quell’occasione il Papa. Queste parole sono state commentate, ai microfoni di Radio Vaticana Italia, dalla senatrice a vita Liliana Segre che, sopravvissuta al campo di concentramento di Auschwitz, dove fu deportata a 13 anni, è oggi testimone della Shoah:
R.- Mi batto da tanti anni affinché nulla vada perduto di tutto il dolore di così tante vittime. Nulla vada dimenticato dei fatti orribili e indicibili che sono accaduti ad Auschwitz e negli altri campi. Per questo, credo che sia molto importante lo studio della storia, che va d'accordo con la memoria, perché senza storia non c'è memoria. E quindi, modestamente, faccio mie queste parole del Papa "se perdiamo la memoria annientiamo il futuro", pur non avendone l’autorità. Le faccio mie perché le sento profondamente, dopo aver vissuto quel periodo che per me è indimenticabile e di cui, per forza di cose mi sono fatta testimone. Per tanti e tanti anni ho incontrato ragazze e ragazzi raccontando la mia storia, ma senza mai parlare di odio. E anche questo è un altro aspetto in cui mi trovo d'accordo con il Papa: "dissodare il terreno su cui cresce l’odio, seminandovi pace".
Il presidente della Repubblica Mattarella, in un incontro allo Yad-Vashem di Gerusalemme, nel 75° della liberazione di Auschwitz, ha definito la sua testimonianza “un patrimonio prezioso dell'Italia”...
R.- Ringrazio il presidente che ha sempre una grande attenzione per me. Ma io non avrei mai il coraggio di giudicarmi un ‘patrimonio’. Io so solo che dopo tanti anni di silenzio, a un certo punto, ho trovato la forza per parlare in prima persona di quello che da ragazzina avevo vissuto. Certamente ci sono dei punti fermi nel mio racconto dell’esperienza nei campi di sterminio nazisti, che è fatto sempre ‘da nonna’ e non solo da sopravvissuta. Il mio racconto vuole essere sempre un monito per i ragazzi, perché diventino forti e sappiano fare le scelte giuste. Imparino a non ascoltare quello che grida più forte, anche se spesso è più facile, ma abbiano, invece, molta fiducia in sé stessi. Perché io ho sperimentato la forza che si può avere, anche nei momenti più duri, per andare avanti - ‘una gamba davanti all'altra’ - senza lasciarsi andare.
Forse, è proprio questo insegnamento che io spero di riuscire a trasmettere, come nonna: non odiare e non vendicarsi, ma nello stesso tempo non dimenticare. Essere forti per gli altri, oltre che per sé stessi.
Cosa significano per lei i 75 anni della Liberazione di Auschwitz?
R.- Per me hanno un significato molto particolare perché io non ero lì, ad Auschwitz, il 27 gennaio, quando i russi sono entrati e hanno scoperto quell'orrore. Io già da giorni stavo facendo la cosiddetta ‘Marcia della morte’ che durò mesi. Ho letto dopo la guerra che fummo quasi in 56.000, noi prigionieri dei vari campi, obbligati dai nazisti a lasciare quei luoghi dove stavano arrivando i russi. Quel giorno del 1945 quindi non ero lì: ero su una strada polacca, o su una strada tedesca, che mi trascinavo sulla neve, cercando di farcela ad andare avanti per non morire. Quando sono stata liberata io, ormai era primavera avanzata. Era la fine di aprile, forse i primi di maggio. Sulla Liberazione di Auschwitz ho letto solo in un secondo momento, quando sono tornata alla vita cosiddetta 'civile'. Trovo giusto, però, che quella data sia diventata un simbolo: sicuramente è un modo per fare memoria, è un modo perché nelle scuole si insegni - non so per quanto ancora - che cosa è avvenuto in quel luogo che è stato il peggiore fra tutti i campi di sterminio, se è possibile fare una graduatoria.
È preoccupata per i sentimenti di xenofobia che oggi sembrano, di nuovo, abbastanza diffusi in Italia e in Europa?
R.- Io sono stata considerata ‘diversa’, a causa delle leggi razziali fasciste, quando avevo 8 anni. E quindi so come ci si sente a essere considerati ‘diversi’, quando invece ci si sente così ‘uguali’. Quindi è ovvio che con grande preoccupazione seguo, da anni, questo riaffacciarsi di sentimenti odiosi che sono il contrario dell'accoglienza, che sono il contrario della fraternità. Sì, devo dire che sono molto preoccupata di questa onda, che non è anomala ma è il risultato della crisi economica, ma anche il risultato di insegnamenti molto sbagliati, di sovranismi e populismi che hanno fatto in modo che l'uomo e la donna comuni abbiano paura del loro vicino.
Lei ha recentemente annunciato che ha deciso di sospendere gli incontri con le scuole e gli studenti che porta avanti da anni come testimone della Shoah… Ce lo conferma?
R.- Mi viene quasi da ridere a sentire lo stupore di qualcuno di fronte alla scelta di una donna di 90 anni come me - perché è l’età che compirò in questo 2020 - che per 30 anni ha cercato di fare il suo dovere di testimone e che a un certo punto dice basta. Intendiamoci: io, finché avrò vita, su questo argomento ci sarò sempre. Ma non andrò più di scuola in scuola, perché non me la sento. Perché il ricordo di quella ragazzina che ero, con il tempo, è diventato per me traumatico ora che sono arrivata a essere la nonna di me stessa.
Cosa le ha dato questa esperienza di incontro con i ragazzi?
R.- Mi ha dato moltissimo. Quello che posso avere dato io a loro, da nonna, è poco in confronto a quello che migliaia di nipoti ‘elettivi’ hanno dato a me. Li rincontro a volte, dopo anni, ora che sono adulti e a volte insegnanti loro stessi. Questi incontri sono sempre estremamente affettuosi e hanno arricchito tanto la mia vita.
Grazie davvero senatrice Segre per questa ennesima testimonianza ai microfoni di Radio Vaticana…
R.- Sono io che vi chiedo di ringraziare Papa Francesco per le sue parole. Grazie.
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