In India morti e feriti per la legge sulla cittadinanza
Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
E’ coprifuoco nell’area nord-est della capitale indiana dove si è concentrata la maggior parte degli scontri e dove è stato richiesto l’intervento dell’esercito. Le proteste con le conseguenti violenze sono scaturite dalla discussa nuova legge sulla cittadinanza voluta dal premier Modi, ritenuta discriminatoria nei confronti dei musulmani. Si parla di oltre venti morti e di circa 200 feriti a causa di quelle che sono state definite le peggiori violenze settarie avvenute in decenni a Nuova Delhi.
In India è a rischio il pluralismo religioso
La nuova legge prevede la cittadinanza legale per alcune minoranze religiose che sono perseguitate in altri Paesi soprattutto in Afghanistan, Bangladesh e Pakistan, ed esclude gli immigrati musulmani dalla possibilità di essere regolarizzati. Alle proteste dei musulmani si sono aggiunte anche quelle dei laici che tendono a difendere la laicità dello Stato. “Modi appartiene al partito nazionalista BJP (Bharatiya Janata Party ndr) che da sempre ha una impronta di discriminazione religiosa”, spiega Cecilia Brighi esperta di questioni asiatiche e Segretario Generale di Italia-Birmania. “Il premier – aggiunge la Brighi – punta a far sì che la religione abbia un ruolo fondamentale nella politica, tanto è vero che la Costituzione indiana che garantisce la laicità dello Stato è messa in discussione proprio da questa legge sulla cittadinanza”- Per la Brighi c’è quindi un tentativo di far sì che il nazionalismo e la religione indù possano diventare l’elemento centrale dello Stato indiano, cosa che non è accettata dalla maggioranza della popolazione, poiché l’India è un Paese in cui c’è la forte presenza di 4 religioni importanti. Questo nazionalismo è la conclusione: “non contribuisce certo alla creazione di una situazione di pacificazione interreligiosa”.
Il timore dei vescovi indiani per lo pseudo-nazionalismo
Soltanto pochi giorni fa un appello contro lo “pseudo-nazionalismo” era stato lanciato dalla Conferenza episcopale indiana alla fine dell’assemblea plenaria. Il documento finale dei vescovi ribadiva che la religione non può mai essere una discriminante tanto più in una società come quella indiana in cui il tratto distintivo è sempre stato il pluralismo.
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