Play4You, oltre le mura dell’ospedale
Eliana Astorri – Città del Vaticano
I ragazzi ricoverati, in Day Hospital o a casa si incontrano ogni pomeriggio su una piattaforma digitale per condividere le sensazioni che riguardano la loro malattia e il loro iter di cura. Scambio di pensieri, timori, ma anche gioco e distrazione. Fondamentali gli incontri virtuali con Play4You in questo periodo in cui la cautela ancora impedisce la relazione ravvicinata. Un modo per non bloccare la vita dei giovani pazienti all’interno di un percorso di malattia, come racconta il dottor Giuseppe Maria Milano, oncologo dell’Ospedale pediatrico della Santa Sede e referente del Progetto Play4You:
Play4You è il nuovo progetto affinché gli adolescenti con malattia oncologica possano confrontarsi, socializzare e giocare, condividendo la loro esperienza. Come funziona?
R. – Funziona attraverso una piattaforma digitale che è Zoom, che noi tutti abbiamo imparato a conoscere in questo periodo e che permette di mettere insieme diverse persone. Con i nostri psicologi ed i nostri educatori utilizziamo dei giochi da tavolo, quelli di una volta, come Memory, Lupus in fabula, Taboo e altri giochi di questo genere. I ragazzi possono stare insieme in questa ‘stanza’ continuando a condividere anche progetti, pensieri, paure, speranze ed essere supportati dal personale della nostra équipe ospedaliera.
Si possono collegare tutti i giovani pazienti ricoverati nei reparti di oncologia insieme a coloro che vengono trattati in Day Hospital e anche quelli che sono a casa?
R. – Assolutamente sì. E’ questa, infatti, la potenza di Play4You, perché riesce a mettere insieme ragazzi che si trovano in diverse situazioni di “isolamento”. Chi in ricovero per chemioterapie, chi in casa perché deve rimanere, appunto, in casa, o in ambulatorio Day Hospital perché deve fare i controlli. Semplicemente attraverso una piattaforma digitale. Ogni giorno si riuniscono cinque ragazzi, per un paio d’ore stanno insieme, giocano e fanno tutto quello che, altrimenti, non potrebbero fare.
E’ uno strumento che potrà essere utilizzato contro la solitudine della malattia anche quando, si spera, si tornerà ad una vera normalità?
R. – Dal momento in cui abbiamo scoperto il successo di questa idea, abbiamo immaginato immediatamente di utilizzarlo anche dopo la pandemia che ci ha colpito, e utilizzarlo in maniera continua all’interno del Dipartimento, dall’interno del Dipartimento stesso. Quindi, anche i nostri operatori, psicologi ed educatori, che sono anche loro in smart working in questo momento, potranno continuare a farlo ma stando qui con noi. Questo ci permetterà di utilizzare Play4You anche per progetti futuri. E’ sicuramente uno strumento che abbiamo scoperto tardi e che abbiamo immediatamente già immaginato domani di utilizzarlo.
Gli incontri virtuali hanno avuto una risposta favorevole da parte dei giovani pazienti?
R. – Abbiamo iniziato a metà marzo e già a fine marzo eravamo passati da quattro pazienti a venticinque rapidamente e adesso siamo oltre i trenta.
Quindi, sono stati contenti di questa vostra iniziativa per rimanere in contatto l’uno con l’altro…
R. – Assolutamente sì, perché, ripeto, è uno strumento che permette anche il confronto ‘con i pari’, come vengono definiti i pazienti con la stessa tipologia di malattia, della stessa età. Questo confronto dei pari permette di mantenersi allacciati alla realtà, permette ai ragazzi – supportati dai nostri psicologi – di sentirsi naturalmente protetti e, quindi, di potersi anche esprimere, poter esprimere le loro paure che, in questo momento, sono sicuramente maggiori rispetto a qualche settimana fa, ma anche poter sentire dei messaggi positivi da parte degli altri ragazzi che sono insieme a loro in questa ‘stanza’, confrontarsi e non sentirsi isolati.
La stanza virtuale Play4You è un’iniziativa che appartiene ad un progetto più ampio nato tre anni fa: Adolescenti4You. Di cosa si tratta?
R. – Il progetto Adolescenti che abbiamo instituito qui al Bambino Gesù è un progetto nato dalla necessità di dedicare un trattamento sia oncologico, quindi un trattamento clinico, che un supporto sociale e psicologico adeguato a questa fascia d’età, perché è una popolazione delicata, è una popolazione che ha bisogno di più strumenti rispetto alle altre sicuramente, perché è l’età in cui l’uomo e la donna si formano per diventare l’adulto di domani. La malattia ti congela quando ti colpisce, specialmente la malattia oncologica o ematologica che ti blocca per un periodo medio di nove mesi durante il tuo percorso di vita. Ecco, questo progetto nasce proprio per permettere di continuare il percorso di vita all’interno della cura e non bloccare la vita all’interno di un iter di malattia. Sembrano giochi di parole, ma in realtà è il concetto vero di queste iniziative. Un progetto come questo, che viene da esperienze internazionali, nasce per dare il miglior supporto possibile sia da un punto di vista clinico-oncologico, quindi la possibilità di accedere alle migliori cure, ai migliori trattamenti, ma anche di permettere questo percorso. Ricordo anche che un paziente adolescente trattato all’interno di un ospedale pediatrico con i protocolli di un ospedale pediatrico dedicati a queste malattie ha una chance di guarigione che sfiora il 70% e qualche volta la supera. Al contrario, lo stesso adolescente, se trattato con protocolli dedicati all’adulto, ha una chance di cura inferiore al 40%. Questa forbice è il motivo per cui è essenziale che gli adolescenti si rivolgano per patologie oncologiche pediatriche a strutture pediatriche e vengano trattati con protocolli pediatrici. Ed ecco il perché questi progetti stanno prendendo piede anche in diversi altri ospedali italiani e non solo.
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