Trenta anni fa spariva il “Checkpoint Charlie”, ultimo simbolo della Guerra Fredda
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Quel cartello in inglese, russo, francese e tedesco che campeggiava dal lato americano del “Checkpoint Charlie” era un monito per chiunque dovesse avventurarsi al di là del Muro, nella Germania socialista satellite dell’Unione sovietica. “You are now leaving the American sector” avvisava, “State lasciando il settore americano”. Era il terzo posto di blocco tra Berlino Ovest, isola americana e “capitalista” circondata da una Germania Est sovietica e comunista, con capitale Berlino Est, ma sicuramente il più famoso.
Il Checkpoint “C”, nel cuore della Berlino divisa
Charlie come “C”, nell’alfabeto fonetico della Nato, veniva dopo Alpha, valico autostradale tra le due Germanie a Helmstedt e Bravo, posto a sud tra Berlino Ovest e la Ddr, la Germania Est, a Dreilinden, una specie di grande autogrill del socialismo reale ancora ben visibile a chi arrivi in auto a Berlino da sud. Ma il “Checkpoint Charlie” era nel cuore di Berlino, sulla Friedrichstraße, all'altezza dell'incrocio con Zimmerstraße, e collegava, fin dal 1945 e la caduta del nazismo, il quartiere di Mitte, controllato dai sovietici, da quello di Kreuzberg, in mano agli statunitensi. E dal 13 agosto 1961, con la costruzione del Muro, da dogana divenne il simbolo del passaggio tra comunismo e capitalismo, tra regime ormai poliziesco e libertà.
Prima i bulldozer sul Muro, poi la gru per “Charlie”
Dal 22 giugno 1990 la guardiola di legno, passaggio obbligato per chi volesse spostarsi legalmente da una Berlino all’altra, non è più lì, sostituita da una più piccola riproduzione di quella americana in funzione fino al 1961, e da una copia del celebre cartello. La struttura venne spostata (per finire poi nel Museo degli Alleati dove si trova oggi) nei giorni dell’abbattimento ufficiale del Muro, iniziato il 13 giugno, anche se la “caduta” e la sua apertura avvenne il 9 novembre 1989. Furono impegnati prima i militari della Ddr e poi quelli della Rft, la Repubblica federale dell’Ovest, usando bulldozer, ruspe e camion e sei mesi dopo fu completamente abbattuto, tranne in sei frammenti. “Checkpoint Charlie” fu chiuso e smantellato alla presenza dei quattro ministri degli esteri delle potenze occupanti (Usa, Urss, Gran Bretagna e Francia) e di quelli delle due Germanie.
In quell’incrocio, la “sfida del Panzer”
Oggi, sopra la finta guardiola divenuta attrazione per turisti, due manifesti dell’artista tedesco Frank Thiel riproducono due giovani militari, uno statunitense e uno sovietico, uno da un lato, uno all’altro, come i dieci carri armati M-48 posizionati dal generale statunitense Lucius Clay il 27 ottobre 1961, nel pieno del “caso Lightner” (dal nome del diplomatico Usa che al checkpoint rifiutò di farsi controllare i documenti dai Vopos, la polizia militare della Germania Est, riconoscendo la sola autorità dei militari sovietici), di fronte ai T-55 sovietici, ma in forza all’esercito della Germania Est. Per oltre mezza giornata nessuno si mosse, in un drammatico momento che fu chiamato Panzerkonfrontation, “la sfida dei Panzer”. Solo una telefonata di Kennedy a Krusciov, il giorno dopo, diede il via alle trattative ed evitò il rischio che la Guerra Fredda divenisse la Terza Guerra Mondiale. Mosca rinunciò a chiedere il ritiro degli Alleati da Berlino Ovest, mentre Washington accettò la presenza del Muro e la divisione fisica della città.
La guardiola originale è al “Museo degli Alleati”
L’originale guardiola del “Checkpoint Charlie” è oggi nel “Museo degli Alleati”, alla periferia ovest di Berlino, ma presto anche la copia potrebbe sparire, sostituita da un museo della Guerra Fredda, che prenderà il posto anche del piccolo “Museo del Muro”, uno spazio privato con testimonianze sulla vita e la morte di chi ha tentato la fuga per la libertà verso l’Ovest. Lo prevede una risoluzione del governo della città-stato di Berlino, approvata a dicembre 2019, dopo le celebrazioni per il trentennale della caduta del Muro, che vuole porre fine al fenomeno dei finti militari a stelle e strisce che si fanno fotografare, a pagamento, con i turisti, davanti alla copia dello storico posto di blocco.
La spettacolare fuga di Heinz e Margarete
Il progetto dell’amministrazione della capitale tedesca prevede una nuova piazza cittadina per riorganizzare lo spazio, oggi molto disordinato, in cui i visitatori sciamano come le api. Però si dovrà trovare una collocazione alle testimonianze raccolte nel “Museo del Muro” voluto dall’attivista Rainer Hildebrand, sulle persone che sono riuscite a superare “die Mauer” e su quelli che non ce l’hanno fatta. Finì bene la spettacolare fuga dell'austriaco Heinz Meixner che ad Ovest noleggiò una Austin-Healey Sprite rossa fiammante, si spostò a Berlino Est per recuperare la fidanzata Margarete Thurau, conosciuta lavorando nella Ddr, e sua madre, che sistemò nel portabagagli. Il 5 maggio 1963, sgonfiate un po' le ruote dell'auto e tolto il parabrezza, Meixner guidò fino al “Checkpoint Charlie”. Raggiunto il punto in cui le guardie avrebbero ispezionato il veicolo, si chinò, diede gas, e scivolò giusto al di sotto della barriera abbassata.
La terribile fine di Peter Fechter
Nel “Museo del Muro” si ricorda che nel 28 anni di esistenza di quei 150 chilometri di barriera alta 3,6 metri e spessa 2 alla base, 5075 persone riuscirono a fuggire all’Ovest superandola, ma le vittime furono 245 oltre a 38 morti naturali, soprattutto d’infarto durante i controlli. Nei pressi del checkpoint, il 17 agosto 1962, fu colpito alle spalle e lasciato morire dissanguato il diciottenne muratore Peter Fechter, nel suo tentativo di fuga insieme a Helmut Kulbeik, che invece trovò la libertà. Proprio nel posto di blocco venne ucciso nel 1974 il giovane vopos Burkhard Niering, che prese in ostaggio un addetto al controllo passaporti e cercò così di superare il confine, prima di venir ucciso dai compagni poliziotti della Ddr.
La liberazione di Pryor e lo scambio tra Powers e Abel
E sempre al “Checkpoint Charlie”, nel 1962, i sovietici rilasciarono l'economista statunitense Frederic Pryor, che era stato arrestato sei mesi prima a Berlino est, dove l'allora dottorando dell'americana Freie Universität Berlin era incautamente andato per incontrare un professore della Ddr. Riuscì a rientrare in Occidente grazie allo scambio tra il pilota Usa Francis Gary Powers e la spia sovietica Rudolf Abel, raccontato da Spielberg nel film “Il ponte delle spie” del 2015, con Tom Hanks.
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