Vescovi Usa: giustizia e non violenza per i fatti di Minneapolis
Fausta Speranza – Città del Vaticano
Le immagini sono tra le più drammatiche della storia recente degli Stati Uniti. Nei disordini scoppiati dopo la morte di George Floyd, un uomo è stato ucciso a Louisville, in Kentucky, due le vittime e un ferito in una spartoria a Davenport, nell' Iowa. Nelle ultime ore, quattro agenti di St-Louis sono stati colpiti con arma da fuoco da manifestanti, ma non sono in pericolo di vita. A Washington per mantenere l'ordine pubblico sono stati dispiegati anche agenti della Dea, l'Agenzia federale antidroga. In tutto il Paese finora in manette oltre 4.400 persone e il coprifuoco è in vigore in quasi 40 città di 20 Stati: da Los Angeles a Washington, da San Francisco a Minneapolis, passando per Atlanta, Chicago, Denver e Miami. L'8 giugno è fissata la prima udienza per l'ormai ex poliziotto che ha colpito a morte, la settimana scorsa a Minneapolis, George Floyd, afroamericano accusato di spendere banconote false di 20 dollari. L'autopsia esibita dalla famiglia avrebbe accertato una morte per “asfissia causata da compressione al collo e alla schiena”.
Il razzismo tollerato troppo a lungo
“Un’uccisione brutale e insensata, un peccato che grida giustizia al cielo”. Sono parole del presidente della Conferenza episcopale statunitense, l'arcivescovo di Los Angeles monsignor José H. Gomez, che in un comunicato diffuso domenica ha sottolineato: "Prego per George Floyd e i suoi cari e a nome dei vescovi condivido l’indignazione della comunità nera e di chi è al suo fianco a Minneapolis e in tutto il Paese”. Insieme con tutto l'Episcopato, monsignor Gomez esprime l'auspicio che le autorità civili condurranno un'inchiesta che assicuri alla giustizia i responsabili, affermando di comprendere "la frustrazione e la rabbia" degli afroamericani che "ancora oggi subiscono umiliazioni, trattamenti che degradano la loro dignità e discriminazioni a causa della loro razza e del colore della loro pelle”. "Il razzismo è stato tollerato troppo a lungo”, afferma. Si deve andare “alla radice dell’ingiustizia razziale che ancora infetta tante aree della società statunitense”, sottolinea, avvertendo però che la violenza cui si è assistito in questi giorni non porta da nessuna parte ed è anzi “autodistruttiva”. Di qui il forte appello a proteste pacifiche: “Non dobbiamo permettere che sia detto che George Floyd è morto invano. Dobbiamo onorare il suo sacrificio eliminando il razzismo e l’odio dai nostri cuori e rinnovare il nostro impegno per realizzare la sacrosanta promessa della nostra nazione di essere una comunità che garantisce la vita, la libertà e l'uguaglianza a tutti”, conclude.
Le dichiarazioni di Trump e la reazione della Chiesa
Dal Rose Garden di una Casa Bianca blindata dai militari e assediata dai manifestanti, Donald Trump definisce le proteste un "atto di terrorismo interno" e invoca l'Insurrection Act del 1807 che assicura al presidente il potere di dispiegare militari all'interno del territorio. "Io sono il presidente dell'ordine e della legalita'", ha scandito Trump, mentre in sottofondo si udiva l'eco degli spari dei gas lacrimogeni lanciati dalla polizia militare contro i manifestanti che, sfidando il coprifuoco, stavano protestando pacificamente. "Non possiamo permettere che le proteste pacifiche vengano manipolate da anarchici di professione", ha affermato il capo della Casa BIanca, che successivamente si è fermato davanti alla Saint John Epyscopal Church alzando un braccio e mostrando alle telecamere una Bibbia. Un gesto da cui ha preso immediatamente le distanze il vescovo episcopaliano di Washington, Mariann Edgar Budde, dicendosi “indignata” e tornando a denunciare l'uso della violenza in proteste pacifiche.
Dal fratello minore di Floyd l'appello contro altra violenza
Tra tanti cittadini che sfilano per sottolineare la propria richiesta di giustizia, si moltiplicano funzionari e agenti delle forze dell'ordine, bianchi e non, che si uniscono ai dimostranti in segno di solidarietà. Marciano insieme, a volte si inginocchiano ripetendo il gesto contro il razzismo del quarterback del football americano Colin Kaepernick, come si è visto nella capitale, a New York, a Miami, a Santa Cruz, a Ferguson. “Basta con i saccheggi, basta violenze. Bisogna chiedere giustizia, ma usando i metodi pacifici, e andare a votare a novembre per cambiare il nostro destino”. Sono parole che il fratello minore di George Floyd, Terrence, che vive a Brooklyn, pronuncia arrivando a Chicago Avenue a Minneapolis, dove suo fratello è morto. “E dopo che avremo distrutto le nostre comunità, le nostre case, i nostri negozi, cosa resterà?”: è l'interrogativo che Terrence lancia a tutti chiedendo che “si cambi strategia: basta altra violenza”.
I fatti di Minneapolis
La sera del 25 maggio l'afroamericano di 46 anni George Floyd si reca a comprare un pacchetto di sigarette in un negozio di Minneapolis porgendo però all’impiegato una banconota da 20 dollari falsa, l’impiegato se ne accorge e chiama il 911. La polizia arriva. Uno dei poliziotti, Derek Chauvin, ferma l’uomo, lo blocca: come si vede nei video girati da testimoni, per otto minuti spinge il suo ginocchio contro il petto di Floyd che ripete “non riesco a respirare”, il poliziotto non si ferma, Floyd muore. Il tutto è ripreso con i telefonini dei testimoni, il video finisce sul web, esplode il caso, poi la protesta, si riempiono le piazze, l’America è in rivolta al grido di “Black lives matter”, “le vite nere contano”.
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