In Mali dialogo complicato tra giunta militare e civili
Giancarlo La Vella – Città del Vaticano
Dal colpo di Stato militare del 18 agosto scorso, che ha esautorato il presidente Keità e il suo governo, il Mali è ancora nella prima fase della transizione. La Comunità degli Stati dell’Africa Occidentale (Ecowas) sta facendo pressioni, affinché si giunga quanto prima alla nomina di un presidente e di un primo ministro per la gestione di questa fase, che dovrebbe riportare, attraverso un processo di reale democratizzazione, i civili alla guida del Paese. Un punto, questo, su cui non c’è ancora identità di vedute tra la giunta militare, che ha dato vita al “Comitato Nazionale per la Salvezza del Popolo” e l’opposizione civile, che fa capo al “Movimento 5 giugno”, in quanto la prima vorrebbe un guida militare. Intanto in attesa che i colloqui tra le parti diano un risultato positivo, l’Ecowas ha imposto sanzioni al Mali, che verranno abolite quando saranno scelti leader civili di transizione.
Una transizione nell’anniversario dell’indipendenza
E’ auspicabile, da parte dei mediatori, che il tutto prenda il via in occasione dell’anniversarioil 22 settembre, dell’indipendenza del Paese dalla Francia avvenuta nel 1960. Secondo fonti locali, oltre al presidente e al primo ministro, dovrebbe essere previsto un collegio formato da cinque rappresentanti della giunta, due del “Movimento del 5 giugno”, due religiosi e due membri della società civile.
La mediazione dell’Algeria
Oltre all’azione diplomatica dell’Ecowas, anche l’Algeria, che condivide una lunga linea di confine al nord del Mali, sta portando avanti una sua linea di dialogo con Bamako. Il ministro degli Esteri del Paese nordafricano, Sabri Boukadoum, si è recato in Mali almeno due volte in un mese. Quello che preoccupa Algeri, secondo Enrico Casale, della rivista “Africa”, è che il terrorismo jihadista, che imperversa nel nord del Mali, possa sconfinare. Comunque il Paese, afferma l’africanista, sta attraversando una difficile fase di stallo in cui rimangono in piedi, oltre al terrorismo tutti i vecchi irrisolti problemi.
R. - Ci sono trattative in corso tra la giunta militare e l’opposizione civile con i vari interventi delle organizzazioni internazionali, come la Comunità Economica dell'Africa Occidentale e l’Unione Africana. Il nodo che deve ancora essere sciolto è quale sarà il risultato di questa transizione, se sarà una transizione a guida militare oppure a guida civile. L'opposizione vorrebbe una guida civile, ma i militari fanno resistenza, quindi siamo ancora in una fase di stallo delle trattative. Ma il vero problema è se i militari, qualora rimangano al potere, sapranno risolvere le gravi questioni del Mali? Perché il Paese sta attraversando una situazione veramente difficile.
Si tratta di problemi che sono ancora drammaticamente in piedi?
R. - Il problema più grosso che sta attraversando il Mali è quello del terrorismo jihadista, che da anni oramai sta sconvolgendo gran parte del Paese, soprattutto il nord. Questo problema gravissimo viene combattuto sia da Bamako che dagli altri Paesi confinanti, come, ad esempio, il Burkina Faso, il Niger e l’Algeria. A questo, si sommano anche i problemi causati dalla criminalità comune con il traffico di stupefacenti e il traffico di sigarette. Penso anche alle rotte delle migrazioni che passano attraverso l’Africa occidentale. Questi sono grossi problemi di carattere nazionale e internazionale, ai quali si aggiungono quelli interni del Mali, che, come tutti gli altri Paesi del mondo, è alle prese con il Covid e con i relativi problemi di carattere economico dovuti al lockdown.
Un'altra forte richiesta della gente è quello di porre fine alla corruzione. Almeno su questo aspetto è stato fatto qualcosa da parte della giunta militare?
R. - La corruzione è un problema endemico di quasi tutta l’Africa. Esso non si può risolvere in 20 giorni, quanti ne sono passati dal golpe. Quindi si cercherà di combatterlo, però bisogna vedere con quali effetti e soprattutto quale struttura politica si creerà dopo questo golpe: se effettivamente ci sarà una democrazia, se ci sarà un'alternanza. Sono tutte punti di domanda importanti che possono incidere anche sulla lotta alla corruzione.
In questo momento l'Algeria si sta facendo avanti per aiutare il Mali nel cambiamento. Qual è il ruolo del Paese nordafricano?
R. - L’Algeria non fa parte dell’Ecowas, ma è un attore che si muove da solo in quanto ha degli interessi molto forti nella crisi del Mali. Pensate alle centinaia di chilometri di frontiera che condivide con il Mali, proprio quella frontiera sulla quale operano tutti i movimenti jihadisti. Quindi Algeri vede nella crisi del Mali un problema internazionale, perché il terrorismo tocca tutti, ma anche nazionale, perché potrebbe coinvolgere anche direttamente l’Algeria.
Algeria, ricordiamo, che già ha fatto i conti nei decenni scorsi con il terrorismo jihadista…
R. - L’Algeria è stato il primo Paese che ha fatto i conti con il terrorismo jihadista. Negli anni ’90 è stato sconvolto da un’ondata di violenza, che ha portato all'uccisione di migliaia e migliaia di persone, soprattutto civili. A farne le spese sono stati soprattutto i musulmani, ma anche la piccolissima Chiesa cattolica algerina è stata duramente colpita. Ricordiamo, tra gli altri, la morte di quattro Padri Bianchi e la morte dei “martiri di Tibhirine”.
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