Indice Globale della Fame 2020: situazione grave in 51 Paesi
Andrea De Angelis – Città del Vaticano
L’Indice Globale della Fame 2020 presenta un livello in miglioramento rispetto ad inizio secolo: nel 2000 infatti esso era grave, mentre oggi è moderato; tuttavia, in molte zone il progresso è troppo lento e la fame rimane acuta. La percentuale di persone denutrite nel mondo è dunque, da un punto di vista percentuale, stabile, ma il numero assoluto è, seppur lievemente, in aumento: nel 2019 la popolazione mondiale denutrita era pari all'8,9%, per un totale di 690 milioni di individui.
Quattro indicatori
L’Indice Globale della Fame (Global Hunger Index, GHI) realizzato da Welthungerhilfe e Concern Worldwide e curato da Cesvi per l’edizione italiana, è uno dei principali rapporti internazionali per la misurazione multidimensionale della fame nel mondo. La quindicesima edizione è stata presentata oggi in un incontro digitale moderato dal giornalista di Radio 24 Giampaolo Musumeci, con la partecipazione del geologo e divulgatore scientifico Mario Tozzi, della Presidente Cesvi Gloria Zavatta, della Head of Mission in Kenya e Somalia Cesvi Isabella Garino e della Advocacy Coordinator Cesvi Valeria Emmi. Il GHI è uno strumento sviluppato per misurare e monitorare complessivamente la fame a livello mondiale, regionale e nazionale, sulla base dell’analisi di quattro indicatori: denutrizione, deperimento infantile, arresto della crescita infantile e mortalità dei bambini sotto i cinque anni.
51 gli Stati in cui la situazione è allarmante o grave
Dall’Indice Globale della Fame 2020 emerge che, a livello mondiale, la fame è sì ad un livello moderato, in miglioramento rispetto a venti anni fa, ma resta alto l’allarme fame e malnutrizione in numerosissime realtà:11 Paesi registrano livelli di fame “allarmanti” e sono addirittura 40 quelli che appartengono alla categoria “grave”. Secondo le agenzie delle Nazioni Unite sono quasi 700 milioni le persone denutrite, di cui 144 milioni di bambini che soffrono di arresto della crescita e 47 milioni di deperimento.
Le regioni più colpite
Sono l’Asia meridionale e l’Africa a Sud del Sahara le regioni con i livelli di fame più elevata, rispettivamente con 230 e 255 milioni di persone denutrite. In queste aree, un bambino su tre soffre di arresto della crescita. L’Africa a sud del Sahara ha il più alto tasso di mortalità infantile al mondo, mentre l’Asia meridionale ha il più alto tasso mondiale di deperimento infantile. Venendo ai singoli Paesi, gli 11 in cui il livello della fame è allarmante, sono Ciad, Timor Est, Madagascar, Burundi, Comore, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Siria, Somalia, Sud Sudan e Yemen.
L’impegno di Cesvi
La Fondazione Cesvi , ong presente in 22 Paesi, intende fare dell’intervento umanitario l’occasione per costruire progetti di lungo periodo che promuovano l’autosviluppo ed il protagonismo dei beneficiari. Nel mondo protegge i bambini più vulnerabili attraverso le Case del Sorriso ed in Italia opera per la prevenzione e il contrasto del maltrattamento infantile e nell’integrazione di minori stranieri non accompagnati. Nel 2019, Cesvi ha aiutato quasi un milione di persone, investendo l’88% delle proprie risorse sul campo. “L’Indice Globale della Fame 2020 - sottolinea il presidente di Cesvi, Gloria Zavatta - mostra che la lotta alla fame globale deve essere sempre di più un impegno comune e una sfida sempre più urgente, resa ancora più complessa dalla pandemia di Covid-19 e dalle sempre più drammatiche conseguenze del cambiamento climatico”.
Ognuno può contribuire ad invertire la rotta
"Il processo va invertito, qui ed ora altrimenti non riusciremo a raggiungere gli obiettivi che la comunità internazionale si è prefissata". Si esprime così Valeria Emmi, Advocacy Coordinator Cesvi, ai nostri microfoni. "Quando interveniamo come Cesvi nell'ambito della malnutrizione, andiamo ad operare su tutto lo sviluppo umano", sottolinea, rimandando così al concetto di sviluppo umano integrale tanto caro a Papa Francesco. "Le scelte di ciascuno - prosegue Emmi - sono importanti, perché incidono non solo sul territorio in cui si vive, ma anche a livello globale e questi effetti devono essere conosciuti, resi noti".
Ma come è possibile che quasi un decimo della popolazione mondiale soffra la fame, quando in tanti Paesi si combatte viceversa contro l'obesità? Dunque è lo squilibrio di risorse il vero tema? "C'è sicuramente chi ha interesse a far sì che certi equilibri non vengano favoriti, ma - ribadisce Emmi - sono anche le scelte dei singoli a creare quell'equità di cui si ha tanto bisogno". Il problema della malnutrizione, inoltre, spesso si somma ad altre questioni spinose: "In questo senso un caso esemplare, purtroppo, è quello della Somalia dove le sfide in questi mesi si sono moltiplicate, compresa quella delle locuste e del Covid-19", conclude l'esponente di Cesvi.
Le conseguenze della pandemia
I punteggi dell’Indice Globale della Fame 2020, basandosi su dati antecedenti alla crisi sanitaria, non riflettono ancora l'impatto del Covid-19 sulla fame e sulla malnutrizione. Secondo le previsioni, la pandemia e le sue conseguenze economiche potrebbero addirittura raddoppiare il numero di persone colpite da crisi alimentari acute, vista la limitazione in alcune aree dell’accesso ai campi e ai mercati, che hanno provocato l’aumento dei prezzi alimentari e ridotto le opportunità di reddito. La pandemia sta avendo effetti anche sulla nutrizione: nel 2020, ad esempio, le scuole hanno chiuso in varie parti del mondo, impedendo spesso ai bambini di ricevere un pasto giornaliero nutriente. Inoltre, la recessione economica globale prodotta dalla pandemia potrebbe provocare un aumento di 80 milioni del numero di persone malnutrite nei soli paesi importatori netti di alimenti.
Il focus sulla Somalia
Tra i Paesi più colpiti dalla malnutrizione c’è sicuramente la Somalia, dove l’impegno di Cesvi è particolarmente importante. “Questo Paese sta affrontando numerose emergenze dal punto di vista climatico, della salute, della fame e dell’economia. Il coronavirus sta avendo gravi conseguenze anche dal punto di vista socioeconomico, ampliando gli effetti di una crisi economica prolungata in un contesto estremamente vulnerabile. A ciò si aggiungono le devastanti inondazioni fluviali che stanno colpendo il Paese e un’immane invasione di locuste iniziata a fine 2019, che incide sulla produzione agricola e sulla sicurezza alimentare. Tutti questi shock impattano fortemente sui mezzi di sostentamento della popolazione, minacciandone la sicurezza alimentare”, dichiara Isabella Garino, Responsabile di Cesvi in Kenya e Somalia. Sono 5,2 milioni le persone bisognose di aiuto umanitario in Somalia, dove Cesvi opera nelle aree della salute, della nutrizione, della sicurezza alimentare, della resilienza, dell’igiene e dell’accesso all’acqua, così da migliorare trasversalmente la resilienza delle comunità e la capacità di reagire agli shock ricorrenti.
L’obiettivo Fame Zero: serve un approccio olistico
Dai numeri presentati oggi, relativi all’anno 2019, emerge che il secondo Obiettivo di Sviluppo Sostenibile, conosciuto come Fame Zero e fissato per il 2030, rischia di non essere raggiunto: al ritmo attuale, 37 Paesi non riusciranno infatti nemmeno a raggiungere un livello di fame basso nella Scala di Gravità. Inoltre, la pandemia di Covid-19 e la relativa recessione economica, unite alle devastanti conseguenze del cambiamento climatico, stanno aggravando l'insicurezza alimentare e nutrizionale di milioni di persone. L’approccio One Health presentato nell’Indice Globale della Fame 2020, basato sul riconoscimento delle interconnessioni tra gli esseri umani, gli animali, le piante e il loro ambiente condiviso, nonché sul ruolo di più eque relazioni commerciali, evidenzia più che mai la necessità di affrontare in modo olistico le varie sfide che ci troviamo di fronte, per evitare future crisi sanitarie, risanare il pianeta e porre fine alla fame.
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