Sud Sudan: raggiunto accordo su tregua con mediazione di Sant’Egidio
Marco Guerra – Città del Vaticano
Una dichiarazione di principi che fissa le questioni che saranno al centro dei colloqui per il futuro Stato democratico del Sud Sudan e un accordo per coinvolgere tutti i gruppi ribelli nel monitoraggio del rispetto del cessate il fuoco. Questi sono i due principali risultati raggiunti in quattro giorni di colloqui di pace a Roma tra la delegazione governativa del Sud Sudan e i gruppi ribelli che avevano rifiutato l'accordo del 2018 e che ora sono riuniti sotto la sigla del Sud Sudan Opposition Movement Alliance (SSOMA). Le due fazioni erano rappresentate rispettivamente dall’esponente dell’esecutivo, Benjamin Barnaba, e dal generale Thomas Cirillo Swaka.
Il ruolo di Sant’Egidio
I negoziati erano stati interrotti nel febbraio scorso a causa della pandemia e sono ripresi solo grazie al grande lavoro di mediazione della comunità di Sant'Egidio, riuscita a mettere intorno allo stesso tavolo anche numerosi attori della comunità internazionale impegnati nella stabilizzazione dell'Africa come ONU, Unione africana, Stati Uniti, Unione europea e la diplomazia della Santa Sede. Purtroppo, in questi otto mesi di stallo, si sono verificate numerose violazioni del cessate il fuoco e combattimenti che hanno gravato sulle condizioni umanitarie della popolazione.
Fine dei combattimenti entro 2020
Si è dunque riattivato un processo di pace e di riconciliazione nazionale che vede l'impegno di tutte le parti. L'esponente del governo di Juba, Benjamin Barnaba, ha dichiarato che “le istituzioni centrali e il Ssoma hanno lo stesso interesse a trovare soluzioni per lenire la sofferenza del popolo attraverso un dialogo che sarà portato avanti fino ad un accordo di pace definitivo”. Barnaba ha quindi auspicato di “far tacere le armi entro il 2020 come richiesto dall’Unione africana”. E ha infine ricordato le parole di Papa Francesco, che chiese ai membri del governo e dell’opposizione di “concentrarsi su ciò che li unisce e non su ciò che li divide”
Un esercito comune
Sulla stessa linea, il generale Thomas Cirillo Swaka, il quale ha manifestato la disponibilità dei movimenti che non hanno firmato l’accordo del 2018 a proseguire il dialogo fino al raggiungimento di una pace duratura. Il capo militare dei ribelli si è poi soffermato sulla dichiarazione di principi che guiderà i futuri negoziati, in particolare sul punto che prevede la formazione di un esercito nazionale di professionisti, di cui facciano tutte le comunità che compongono il Paese.
La road map dei negoziati
Le trattative riprenderanno a Roma il 9 novembre con i delegati dell'esercito e delle milizie che si combattono sul terreno. Il 30 novembre, sempre a Roma, sarà la volta dei negoziati politici sulla nuova costituzione, il federalismo, il riconoscimento delle minoranze etniche, la formazione di un esercito nazionale unitario di professionisti e sulle riforme necessarie per il rilancio dell'economia.
Impagliazzo: abbiamo riacceso la speranza
“Queste giornate romane hanno riacceso la speranza, si sono gettate le basi per il dialogo politico che riprenderà alla fine di novembre, l’altra cosa fondamentale raggiunta a Roma è che le parti si sono impegnate per il cessate il fuoco, di questo riparleranno i capi militari molto presto”, così a Vatican News Paolo Impagliazzo, segretario generale della Comunità di Sant’Egidio che ha coordinato la mediazione tra il governo di coalizione e il Ssoma.
Superare le divisioni etniche
Impagliazzo sulle richieste avanzate dei gruppi ribelli aggiunge: “Il federalismo e la possibilità di partecipare alla stesura della carta costituzionale, sono tante le istanze. E su tutte c’è un accordo di massima di proseguire la discussione con grande apertura da entrambe le parti per aggiungere un accordo politico più inclusivo possibile”. Impagliazzo spiega infine che nessuno intende riproporre divisioni etniche ma piuttosto escludere le questioni tribali dalle trattative sulla governance del Paese. “Questo dialogo politico serve proprio a mettere da parte le divisioni etniche”.
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