Verso un nuovo piano per l'antiterrorismo europeo
Antonella Palermo – Città del Vaticano
Migliaia di tweet da ogni parte diffusi oggi in omaggio alle vittime della strage che il 13 novembre 2015 devastò la capitale della Francia, un Paese che ha continuato ad essere bersaglio della ferocia anti-occidentale: dalla uccisione di 86 persone sul lungomare di Nizza, nel 2016, al massacro, rivendicato dall'Isis, di padre Hamel, dall'assalto ai mercatini di Natale a Strasburgo alla decapitazione, il mese scorso, del professor Paty a cui è seguito l'attacco all'arma bianca di nuovo a Nizza.
Uniti contro il terrore
Nel quinto anniversario dell'attacco al Bataclan, Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue, ribadisce la determinazione a costruire un'Europa che protegge. "Fluctuat nec mergitur", (è sbattuta dalle onde ma non affonda), ha scritto il premier Jean Castex, riprendendo lo storico motto latino di Parigi, che in questi ultimi anni è stato spesse volte usato in risposta al terrore. “Ogni attentato è un attacco contro la società inclusiva che noi difendiamo. Dobbiamo restare uniti”, così il presidente del Parlamento europeo, ricordando quella “giornata nera”.
I ministri europei: risposta globale contro il terrorismo
"Gli Stati dell'Unione - si legge nella bozza di dichiarazione dei ministri dell'interno europei riuniti oggi in video conferenza - devono garantire una risposta globale. Solo insieme possiamo battere i terroristi e i loro sostenitori. Data la natura transnazionale del terrorismo, le misure a livello europeo sono importanti e necessarie. Per preservare e rafforzare il funzionamento di Schengen e rafforzare le nostre frontiere esterne – si legge ancora - dobbiamo continuare con l'attuazione della legislazione europea sulle nuove banche dati e la loro interoperabilità. Dobbiamo controllare efficacemente le nostre frontiere esterne, registrare gli ingressi e le uscite, e cooperare più strettamente con i Paesi terzi al fine di combattere le minacce terroristiche".
La responsabilità e la regolamentazione dei social media
Nella bozza di dichiarazione si fa anche riferimento a nuovi approcci come l'intelligenza artificiale che possono essere utilizzati per il lavoro di polizia. E inoltre si sottolinea l'importanza della conservazione, raccolta, condivisione e analisi dei dati, sempre “nel rispetto dei diritti fondamentali e della giurisprudenza”. Si aggiunge che “i social media hanno la responsabilità di assicurarsi che i loro servizi non siano utilizzati per attività illegali che promuovono la criminalità, il terrorismo o l'odio”. Ci si impegna a fissare i negoziati riguardo al regolamento sui contenuti terroristici online entro fine anno e di creare un nuovo ed efficace strumento operativo per l'eliminazione dei contenuti terroristici entro un'ora o meno dalla loro segnalazione.
L'appello del presidente degli imam di Francia
Le proposte emerse nella conferenza di oggi saranno discusse al vertice del 10 e 11 dicembre prossimo. A caldeggiare un rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne, miglior risposta a propaganda e "contenuti terroristici" online, sono Austria e Francia, che invocano anche il monitoraggio e l'arresto dei combattenti jihadisti tornati nell'Unione. E' stata sollevata anche la questione relativa alla formazione degli imam in Europa, proprio mentre il presidente della Conferenza degli imam di Francia Hassen Chalghoumi, imam della moschea di Drancy, nella banlieue parigina ha dichiarato: “Dobbiamo combattere l'islamismo con una posizione forte, avere il coraggio di dire chi finanzia l'islamismo”. Chalghoumi è arrivato a sollecitare anche sanzioni per gli Stati che finanziano il terrorismo e ha chiesto “una posizione a livello di governi, che devono agire con fermezza, ma anche di società. Bisogna modificare l'ideologia dell'odio”, ha scandito.
Le tensioni internazionali, brodo di coltura del terrorismo
Colmare le lacune in materia di sicurezza, investendo di più sul mandato dell'Agenzia Europol, servirà? Sarà utile, risponde ai nostri microfoni, il professor Germano Dottori, docente di Studi Strategici all'Università Luiss di Roma, ma non sarà sufficiente:
R. - Sicuramente il moltiplicarsi degli attentati cui si sta assistendo ha determinato l'insistenza di un check-up per disporre delle misure rafforzate di coordinamento. Sicuramente non è inutile, però io eviterei di alimentare eccessive illusione circa il carattere decisivo delle misure che verranno assunte. Sono utili, ma serve qualcosa di più che non è nella disponibilità degli ministri degli Interni dei Paesi europei di conseguire.
Cosa serve, allora?
R. - A mio avviso la risorgenza del fenomeno va interpretata alla luce del mutare delle condizioni internazionali: ci sono due elementi nuovi, degli ultimi mesi, che concorrono ad alimentare questo triste revival. Il primo è rappresentato dalle forti tensioni che si sono determinate nel Mediterraneo orientale per effetto della contrapposizione tra Grecia e Turchia e dell'inserirsi della Francia in questa dinamica. Il secondo fattore è probabilmente da collegarsi alla firma dei cosiddetti 'Accordi di Abramo', che sono una strada di composizione del conflitto tra israeliani e palestinesi, che non piace a molti e a cui diversi attori politici si oppongono. Secondo me le due cose si intersecano e tutto questo genera un brodo di cultura in cui le persone fortemente radicalizzate si inseriscono con azioni che provocano vittime e generano tanta preoccupazione nell'opinione pubblica e anche a livello di coloro che devono mantenere l'ordine pubblico nei nostri Paesi.
Intravede un filo rosso tra gli attentati terroristici dal Bataclan in poi?
R. - E' il combinarsi delle due circostanze di politica internazionale cui ho fatto riferimento e che a loro volta hanno un elemento unificante: Grecia e Francia, da una parte, e Turchia, dall'altra, sono collegate a due rispettivi schieramenti, quello che sostiene gli Accordi di Abramo e quello che invece li avversa.
Un rapporto di Europol individua nel clima di tensione generato dalla pandemia, il radicalizzarsi degli estremismi. E' d'accordo?
R. - Questo sicuramente contribuisce, però c'è da sottolineare come l'Europol conduca la propria attività investigativa e di analisi tenendo conto soprattutto dei fattori di ordine interno. Non gli compete l'analisi strategica di uno scenario più ampio, che in questo caso è determinante nello spiegare la risorgenza del fenomeno.
Ci sono Paesi ad oggi più a rischio?
R. - Sicuramente ci sono Paesi più esposti, ma quanto è accaduto in Austria ci dà prova che possono esserci delle manifestazioni anche in Paesi non direttamente investiti. Dopotutto, il terrorismo può servire a tanti scopi: può essere uno strumento di segnalazione; uno strumento che tende a condizionare l'opinione pubblica, può essere anche uno strumento che serve a determinare degli allineamenti politici internazionali differenti. E' qualcosa di molto complesso e di cui coloro che si dedicano a questa forma di violenza non sono nemmeno consapevoli. E' un clima generale che viene generato a un più alto livello che alimenta, diciamo, da lontano l'innesco di questi atti che poi le forze di Polizia debbono affrontare e alla cui cognizione giungono in ultima battuta. Si fa spesso una differenza in questo campo tra antiterrorismo e contro-terrorismo. Da un lato, il contro terrorismo si impegna a eliminare le condizioni politiche entro cui viene maturata la decisione di perpetrare un attentato, mentre l'antiterrorismo opera a valle ed è tutto l'insieme delle misure che debbono essere messe in atto per evitare che la decisione di compiere un attentato dia il suo effetto in un'azione che concretamente si manifesta. Sono due cose diverse. La grande politica internazionale tra gli Stati agisce a un livello superiore e contribuisce al depotenziamento delle cause del fenomeno.
E' su questo fronte che bisogna, dunque, investire di più?
R. - Sì, ma in ultima analisi gioca la divergenza tra gli Stati che sono in competizione per ristrutturare lo spazio politico del Mediterraneo allargato.
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