Nuovi attacchi in Siria. Ne discute l'Onu
Elvira Ragosta – Città del Vaticano
La crisi siriana è al centro dell’incontro convocato per oggi dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, mentre sul terreno la situazione resta critica. Ieri due attentati dinamitardi nel Nord del Paese hanno provocato otto morti e una decina di feriti. Gli attacchi si sono verificati in zone controllate dalle forze turche e vicino alla linea del fronte con forze curdo-siriane e governative. Mark Cutts, vice coordinatore regionale per le operazioni umanitarie dell'Onu in Siria, via Twitter, ha parlato di un "orribile" attacco avvenuto nel pomeriggio ad al Bab, cittadina tra Aleppo e il confine turco, dove sono state uccise cinque persone, di cui tre agenti di polizia. Poche ore dopo un'altra autobomba, nella località frontaliera nord-occidentale di Afrin, ha ucciso almeno tre persone. Nel sud del Paese, invece, vengono attribuiti ad Israele i raid avvenuti nella tarda serata di ieri in un area meridionale di Damasco. Per l’Osservatorio siriano per i diritti umani sarebbero almeno otto i morti tra i miliziani non siriani, appartenenti alle milizie filo-iraniane operativi in Siria, ma l’agenzia governativa Sana riferisce di soli danni materiali e che i jet, partiti dalle contese Alture del Golan, hanno preso di mira obiettivi militari non meglio precisati a sud della capitale.
Ungari: la Siria, dimenticata dalla grande diplomazia
Quella siriana è una situazione complessa, dichiara a Vatican News Andrea Ungari, curatore dell’Atlante geopolitico del Mediterraneo e professore ordinario di Storia Contemporanea all’Università Guglielmo Marconi: “Una situazione che in qualche maniera vive tutta la drammaticità di uno scontro che è sempre attivo. Anche perché c'è una forte penetrazione di queste milizie iraniane nella parte nord-est del territorio, volta a mantenere il controllo di questo territorio ma nel contempo a procedere a una conversione, e immaginiamo che sia una conversione forzata, da sunniti a sciiti”.
Il quadro geopolitico
Dal punto di vista geopolitico, osserva Ungari, il quadro internazionale risente del passaggio di consegne nell'amministrazione americana, ma anche di una certa empasse della diplomazia che evidentemente non riesce a risolvere la questione, che un po' è stata lasciata, soprattutto da parte statunitense, alle realtà locali, quindi al ruolo della Russia, della Turchia e a anche quello dell’Iran. “L’Iran – aggiunge il professore – sta giocando una partita nel quadrante siriano abbastanza rilevante e che è poi uno dei motivi che spiega l'intervento di Israele. Un intervento volto proprio evitare che ci sia l’installazione di una struttura permanente, da parte delle milizie iraniane nel Sud della Siria, che possa minacciare le alture del Golan”.
Il cammino diplomatico
Il docente di Storia contemporanea sottolinea poi che quello siriano è in questo momento uno dei conflitti dimenticati dalla grande diplomazia e che sono stati gli avvenimenti di carattere militare delle ultime ore, ad aver riportato sulla scena la questione della Siria. Per Ungari, inoltre, è importante attendere l’evoluzione della posizione statunitense, che sarà diversa da quella della precedente amministrazione Trump, che ha cercato di disimpegnare gli Stati Uniti da questo conflitto. “La nomina di Blinken a Segretario di stato e di Sullivan alla Sicurezza nazionale - secondo lo storico - potrebbe determinare un nuovo interventismo statunitense, che potrebbe portare alla permanenza delle truppe Usa sul territorio ma anche spingere la diplomazia a trovare una soluzione e un’intesa con la Russia”.
Le cifre della crisi
La guerra in Siria, dal 2011, ha causato più di 380 mila vittime e circa la metà della popolazione è stata costretta ad abbandonare le proprie case per sfuggire alla guerra, alle violenze e alle distruzioni. Se attualmente ne Paese si contano circa 4 milioni di sfollati interni, sono 6 milioni i profughi siriani all’estero, la maggior parte dei quali ospitati negli Stati vicini di Turchia, Giordania, Libano, Iraq. Inoltre, stando alle cifre fornite dalle Nazioni Unite, nel corso del 2020 sono 132 i civili rimasti vittime degli attacchi che purtroppo proseguono.
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