La testimonianza di Nedo Fiano non morirà mai
Andrea De Angelis – Città del Vaticano
Diceva sempre: “Il giorno dopo il sole sorge”. Anche questo è stato Nedo Fiano, morto lo scorso 19 dicembre all’età di 95 anni. La frase la pronuncia oggi il figlio, Emanuele, deputato del Pd. “Quelle parole le ripeteva ogni sera a Birkenau, con gli altri deportati”, rivela ricordando il padre. Impiegato, scrittore, Fiano è stato testimone instancabile degli indicibili orrori dell’Olocausto, nelle scuole come nel mondo della cultura.
La deportazione
Nato a Firenze il 22 aprile 1925, appena tredicenne fu costretto ad abbandonare la scuola perché di religione ebraica. Negli anni ‘40 più volte cambiò casa con la famiglia, fino all’arresto avvenuto il 6 febbraio 1944. Il giovane Nedo, quasi diciannovenne, dopo una breve prigionia fu trasferito al campo di transito di Fossoli, assieme ad undici familiari. Nel maggio di quell’anno fu deportato presso il campo di concentramento di Auschwitz insieme a tutti i parenti. Il viaggio durò una settimana. La madre morì il 23 maggio, il giorno stesso dell’arrivo, nelle camere a gas. La deportazione di Nedo durò quasi dieci mesi. L’11 aprile 1945, pochi giorni prima del suo ventesimo compleanno, fu liberato dalle forze alleate nel campo di concentramento di Buchenwald, dove era stato da poco trasferito. Sarà l’unico sopravvissuto della sua famiglia.
La vita riparte. Ed è bella
Tornato in Toscana, lì dove abitava trova solo macerie. I cugini sono gli unici parenti ancora in vita. Inizia a studiare con l’obiettivo di diventare perito tessile, poi trova un impiego in quel settore. A 24 anni si sposa con Rina Lattes, negli anni i due avranno tre figli: Enzo, Andrea ed Emanuele. Nel 1968 si laurea, poco dopo aprirà una società di marketing. Non ancora cinquantenne, inizia a portare la sua testimonianza in giro per l’Italia e nelle scuole. Negli anni attraverso il cinema e l’editoria contribuisce a mantenere vivo il ricordo dell’Olocausto. Pubblica nel 2003 il libro “A5405, Il coraggio di vivere”, ed è uno dei consulenti di Roberto Benigni per il film “La vita è bella”. I suoi racconti, dolorosi e terribili, sono come altri - pensiamo a quelli di Piero Terracina, morto un anno fa - balsamo per custodire la memoria.
Una persona straordinaria
“Nedo Fiano è stata una persona straordinaria, importante perché con grande forza e lucidità è riuscito a testimoniare fatti anche duri da ricordare”. Lo afferma, nell'intervista a Vatican News, Claudio Procaccia, direttore del Dipartimento Cultura della Comunità Ebraica di Roma. “Non sempre i testimoni si addentrano nei particolari di queste vicende, e - prosegue - posso immaginare il perché. Con Fiano abbiamo invece molti particolari per riuscire a capire, senza mai poter ovviamente comprendere completamente, ciò che accadde davvero”.
“La cosa sorprendente è che le testimonianze più importanti si sarebbero potute avere quando erano in vita la maggior parte dei sopravvissuti. In realtà ciò non è stato fatto con la sistematicità con cui viene fatto oggi. Questo perché è stata complessa l’elaborazione di quella tragedia sia da parte di chi l’ha vissuta direttamente, che della società in generale. C’è stata - aggiunge Procaccia - una sorta di omertà che ha compromesso in alcuni casi la possibilità di acquisire informazioni preziose, così da lasciare ai posteri documentazioni corpose e significative. A maggior ragione oggi i testimoni sono così importanti".
Storia ed educazione civica
"Va fatto conoscere anche quello che era il mondo ebraico italiano ed europeo prima della Shoah. Far comprendere quello che si è perso, così come - sottolinea lo storico - raccontare l’ebraismo dopo la Shoah. Le testimonianze vanno inserite all’interno di un contesto di educazioni civiche, allora rappresenteranno una difesa dei valori democratici, che non sono mai acquisiti. In questo senso - conclude Procaccia - noi lavoriamo costantemente per custodire e far conoscere, nel mio caso chiaramente soprattutto con gli ebrei di Roma. Far capire anche quanto fu difficile il ritorno alla normalità dopo quell’immane tragedia".
I Papi ad Auschwitz
Sono tre i Pontefici recatisi ad Auschwitz.Il primo, il 7 giugno del 1979, fu Giovanni Paolo II, a meno di un anno dall’inizio del suo pontificato. Su questo "Golgota del mondo contemporaneo", il Pontefice polacco si inginocchia davanti a tombe in gran parte senza nome. “Auschwitz è un tale conto con la coscienza dell’umanità attraverso le lapidi che testimoniano le vittime di questi popoli, che - affermò - non lo si può soltanto visitare, ma bisogna anche pensare con paura a questa che fu una delle frontiere dell’odio”. Poi, 27 anni dopo, sarà la volta di Benedetto XVI, che visitò il campo di sterminio nazista il 28 maggio 2006. “Il luogo in cui ci troviamo - sottolineò Ratzinger - è un luogo della memoria, è il luogo della Shoa. Il passato non è mai soltanto passato. Esso riguarda noi e ci indica le vie da non prendere e quelle da prendere”. Dieci anni dopo è stato Francesco a farsi pellegrino in quel luogo tragico: era il 29 luglio 2016. Il suo fu un cammino silenzioso, denso di significato. In diverse altre occasioni il Papa ha parlato dell’Olocausto.
La libertà religiosa come diritto fondamentale
Il 5 novembre 2018, ricevendo in udienza un gruppo di delegati del World Congress of Mountain Jews provenienti da diversi Paesi del Caucaso, Papa Francesco ha voluto ricordare l’Olocausto. “Commemorarlo è necessario, perché del passato resti una memoria viva. Se non impariamo dalle pagine più nere della storia a non ricadere nei medesimi errori, la dignità umana - diceva il Papa - rimarrà lettera morta. Quando si è voluto sostituire il Buon Dio con l’idolatria del potere e l’ideologia dell’odio, si è arrivati alla follia di sterminare le creature. Perciò la libertà religiosa è un bene sommo da tutelare, un diritto umano fondamentale, baluardo contro le pretese totalitariste. Ancora oggi, purtroppo, atteggiamenti antisemiti - proseguiva Francesco - sono presenti. Come più volte ho ricordato, un cristiano non può essere antisemita. Le nostre radici sono comuni. Sarebbe una contraddizione della fede e della vita. Insieme siamo invece chiamati a impegnarci perché l’antisemitismo sia bandito dalla comunità umana”. In diverse altre occasioni il Papa ha parlato di antisemitismo, come nel 75.mo anniversario della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz – Birkenau, lo scorso gennaio.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui