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Migranti del campo di Lipa in Bosnia Migranti del campo di Lipa in Bosnia 

Balcani, rischio catastrofe umanitaria. La Caritas: dignità per i migranti

Nessun aiuto e nessuna alternativa di accoglienza ai migranti destinati al campo di Lipa, prima bruciato e ora in fase di ricostruzione. Le condizioni di vita non sono accettabili, bisogna rispondere con alternative significative. Il racconto della Caritas da Sarajevo: "Un futuro migliore è possibile"

Tiziana Campisi e Gabriella Ceraso - Città del Vaticano

In Bosnia ed Erzegovina si rischia la catastrofe umanitaria. Dieci giorni fa un vasto incendio ha distrutto il campo per rifugiati a Lipa, mandando in fumo le speranze e la stabilità, seppur precaria, di circa 1200 persone di diverse provenienze intenzionate a raggiungere l'Europa centrale e settentrionale.

 

Nessuna soluzione è stata trovata, anzi, tutte le proposte alternative sono state boicottate dalla popolazione e dai sindaci di diverse località con manifestazioni e proteste: impossibile riaprire l'ex campo Bira (nella città di Bihac) o allestire l’ex caserma in località Bradina (non distante da Sarajevo). E così - ci spiega da Sarajevo Daniele Bombardi della Caritas italiana che ha lanciato l'allarme - ora, dopo aver passato giorni al gelo in strada o in autobus di fortuna, le persone saranno ricollocate nello stesso campo che l'esercito sta ricostruendo. "Una soluzione inadatta e grave perché mancano le condizioni minime per una sopravvivenza dignitosa". Il campo era ed è pericoloso e poi, spiega Bombardi, ancora per chissà quanto tempo sarà sprovvisto di elettricità, acqua potabile e riscaldamento, in una zona in cui le temperature scendono sotto zero.

Ascolta l'intervista a Daniele Bombardi

Servono luoghi sicuri e scelte inclusive

Caritas Italiana ritiene necessaria un’iniziativa istituzionale immediata per mettere a disposizione strutture adeguate di accoglienza che offrano un riparo a chi sta rischiando la propria vita, ma servono anche - e ce n'è la possibilità - soluzioni di lungo termine. Bombardi spiega che i tempi così lunghi di persistenza in Bosnia, per famiglie e bambini, sono assolutamente deleteri: si possono e si devono organizzare corsi scolastici, corsi di lingua, avviamento ad una professione per riuscire sia a livello territoriale a far crescere il meccanismo dell'integrazione sia a livello personale a non far spegnere le speranze in una vita migliore. Bombardi ci parla delle vite, dei volti, delle aspettative, delle fughe da guerra, povertà, crisi ambientali e sociali che ciascuna delle persone incontrate racconta alla Caritas. "Nessuno è contento di fuggire - spiega - nonostante i pericoli cui si va incontro: ma tutto è meglio di quello che si lascia". 

Aiutiamo a costruire un mondo migliore

Come mantenere viva, in queste condizioni, la speranza in un futuro e di una vita migliore? Per la maggior parte di queste persone, racconta ancora Bombardi, la speranza vince, nonostante le condizioni siano tutte avverse. Solo alcuni si arrendono e decidono di restare o addirittura di tornare indietro. "Qui ci sono famiglie bloccate da un anno con bambini piccoli e in un contesto estraneo, ed è la prova più dura. L'impegno della Caritas è anche questo, sottolinea, cioè non solo rispondere alle esigenze primarie con soluzioni strutturali dignitose, ma proprio alimentare la fiammella della speranza dando a ciascuno un sostegno concreto. E poi ci sono le decisioni politiche quelle che dovrebbero garantire ingressi protetti e sicuri e non percorsi difficili, lunghi e rischiosi. "Cerchiamo di lavorare perchè le loro competenze siano sviluppate e consentano loro di essere pronti a rifarsi una vita: si lavora sul breve e lungo periodo perchè il futuro migliore è possibile, per quanto duro possa sembrare". 

Il lavoro sulla rotta balcanica

Per la Caritas Italiana la situazione della Bosnia Erzegovina deve far puntare l’attenzione sulla Rotta Balcanica che inizia in Grecia e finisce in Italia o in Austria. Una rotta che vede bloccate migliaia di persone in vari campi profughi e in altre soluzioni inadeguate, tanto più che con l’emergenza sanitaria causata dalla pandemia di Covid-19, molti migranti in transito, ospitati in strutture inidonee, sono in quarantena in condizioni proibitive. Strutture e campi, già di per sé inadeguati e sovraffollati, si sono trasformati in luoghi in condizioni estreme e non più sostenibili: senza servizi, in condizioni igieniche pessime, con gravi rischi per la salute psichica per i migranti, molti dei quali sono costretti a vivere all’addiaccio. Da ricordare, nel settembre dello scorso anno, l’incendio nel Campo di Moria nell’isola di Lesbo, nel quale sono andate distrutte tutte le strutture di accoglienza già fatiscenti, in una situazione di abbandono e disinteresse da parte delle autorità locali ed internazionali.

L'impegno congiunto delle Caritas

Fin dal 2015, Caritas Italiana è presente lungo tutta la Rotta Balcanica a fianco dei migranti e a supporto di tutte le Caritas locali (Grecia, Albania, Macedonia, Bosnia Erzegovina, Serbia) che stanno offrendo sostegno con servizi di accoglienza, supporto psico-sociale, protezione dell’infanzia, tutela dell’igiene, distribuzione di cibo e di beni necessari per decine di migliaia di persone. Nelle scorse settimane, grazie a un contributo della Cei e una donazione di Papa Francesco, Caritas Italiana e Caritas Bosnia e Erzegovina hanno potuto avviare nuovi servizi nei campi di transito dell’area di Bihac e di Sarajevo, oltre che di distribuire articoli invernali (sciarpe, guanti, cappelli, scarpe) a oltre 1.500 ospiti dei campi. Ma sono necessarie iniziative più ampie che coinvolgano le istituzioni per aiutare i migranti. 

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04 gennaio 2021, 12:20