Leone Pontecorvo. Sfuggito al nazismo, grazie alla Chiesa
Paolo Ondarza - Città del Vaticano
“Un’esperienza che non dimenticherò mai, che mi ha segnato nella vita e rafforzato nell’identità ebraica”. Leone Pontecorvo, 85 anni, ebreo, descrive così a Vatican News i nove mesi trascorsi al riparo dalle persecuzioni naziste nel Convento delle Suore Oblate del Sacro Cuore di Gesù a Roma.
I documenti falsi
All’epoca aveva otto anni. Era l’ottobre 1943. Con il fratellino minore Bruno, di 4 anni, fu accolto nell’istituto maschile gestito dalle religiose: il loro cognome per quel periodo divenne Buoncristiani. Il padre di Leone riuscì ad ottenere e falsificare i documenti di identità di una famiglia deceduta sotto i bombardamenti di Cassino.
Il calcetto e lo scambio di santini
Solo la madre superiora e la direttrice della scuola erano al corrente della verità. Nessun altro. La custodirono gelosamente. “Furono eccezionali: noi eravamo come tutti gli altri bambini”, ricorda Pontecorvo. Subito i due fratelli si adattarono alle rigide regole del convento: sveglia all’alba, acqua fredda per lavarsi, studio, preghiera, ma anche tanta umanità e momenti di svago. Leone, divenuto Cino Buoncristiani, si fece addirittura promotore di un torneo di football all’interno delle mura del collegio. Neanche il fratellino si annoiò mai: diede vita con i coetanei dell’asilo ad un singolare “ce l’ho, mi manca”. Oggetto dello scambio: non le figurine dei calciatori, ma i santini disponibili in grandi quantità nella casa delle suore.
Le preghiere in latino e il servizio all'altare
Nonostante l’apprensione per la sorte dei genitori, nascosti a loro volta in una stanza murata in un appartamento di amici cristiani, la vita della scuola coinvolse e distrasse i due bambini. “Dopo le prime settimane – prosegue - mi ero adattato a tutte le regole della vita del convento. Dalla recita delle preghiere in latino, al servire la messa”. Leone, ora Cino, si distinse tra i più bravi del collegio: “Osservando le raccomandazioni dei miei genitori volli recitare al meglio quella finzione, al punto che divenni il più bravo tra i chierichetti: in due occasioni importanti come il Natale e la Pasqua – racconta – fui chiamato a servire messa accanto al vescovo. Fui scelto io tra oltre cinquanta bambini cattolici della scuola”. “Una letterina scritta ai miei genitori in occasione della Pasqua – ricorda ancora – è la lettera di un bambino cattolico al cento per cento. Ma non ricevemmo mai pressioni per convertirci al cristianesimo”.
La paura
Tanti e vivi nella memoria i ricordi di Pontecorvo: da quelli più belli come il volto, “uno dei più belli che abbia mai visto”, di una suora che amorevolmente si prese cura di lui quando era a letto malato con un febbrone, a quelli più drammatici. Un giorno risalendo le scale del convento, trovò una signora che tratteneva per un braccio il fratellino dicendogli: “Io lo so chi sei. Tu non sei Bruno Buoncristiani, sei Bruno Pontecorvo! Io sono come te!”. Subito Leone intervenne, liberando il piccolo in lacrime dalla presa della donna. “Probabilmente sarà stata ebrea anche lei, scappò via e da quel giorno non l’ho più vista”.
L'aiuto offerto dalla Chiesa agli ebrei
Lacrime, di commozione, i due bambini le versarono dopo la Liberazione quando il 4 giugno 1944 dovettero lasciare la casa delle Suore Oblate. Il cuore di Leone è ancora colmo di gratitudine nei confronti delle religiose. Non le ha più riviste. “Tra tante polemiche, mi sono sempre schierato dalla parte di Pio XII: il Papa aprì le porte di tutti i conventi. Diede disposizione di offrire aiuto agli ebrei. Solo a Roma ne furono protetti 5mila”. Pontecorvo, pur confidando di non comprendere da un punto di vista storico la scelta di Papa Pacelli di agire in modo silenzioso, riconosce: “Pio XII merita le più grandi lodi e gratitudini del mondo. L’ospitalità da lui disposta per gli ebrei all’interno di chiese, conventi e monasteri è stata straordinaria”.
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